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Gira una volta - Lavarone

02.06.2020 10:40

Situato sull'omonimo altopiano, Lavarone fa parte della provincia di Trento e si trova ad una quota di 1174 metri sul livello del mare, con una popolazione di circa 1100 abitanti. Il paese però non ha un nucleo vero e proprio, risultando suddiviso in ben diciannove frazioni (la sede comunale si trova a Gionghi). Sull'origine del nome sono state avanzate numerose ipotesi, la più accreditata delle quali sembrerebbe rimandare a fossa luparia (mutato poi in “lovera” e “lovara”), che ha il significato di fossa scavata per catturare i lupi, mentre altre ipotesi rimanderebbero a luogo in cui crescono le lappole e a paese modulato dalle acque che erodono il suolo. In epoca medievale giunsero in paese coloni bavaresi, che assieme alle popolazioni cimbre lasciarono segni evidenti anche nella toponomastica. Trovandosi in una zona di frontiera tra Italia e Austria inoltre, il paese si trovò direttamente coinvolto nella Grande Guerra, subendo varie devastazioni.

Nel corso del tempo l’altopiano è divenuto rinomato soprattutto nei periodi invernali, grazie ad un gran numero di piste da sci collocate principalmente presso lo Ski Center Lavarone, posto in località Bertoldi. Vi sono anche numerosi percorsi per lo sci di fondo, che raggiungono anche il non lontano Passo di Vezzena. Nei periodi estivi invece particolarmente gradevole risulta il soggiorno presso il Lago di Lavarone, di origine carsica, sulle cui rive amava spesso passeggiare anche il noto psicanalista Sigmund Freud. Tra i luoghi simbolo del territorio vi è poi la fortezza austro-ungarica, meglio conosciuta come Forte Belvedere Gschwent, sorta agli inizi del secolo scorso allo scopo di sorvegliare il confine e che oggi presente, al suo interno, un importante museo dedicato alla Prima Guerra Mondiale.

Una veduta del Lago di Lavarone © Visit Trentino Una veduta del Lago di Lavarone © Visit Trentino[/caption]

Il 22 maggio 1964 il Giro d’Italia, giunto all'edizione numero quarantasette, disputò la settima tappa da Verona a Lavarone di 165 chilometri che, dopo una prima parte priva di sostanziali difficoltà, prevedeva l’ascesa finale con pendenze regolari, non eccessivamente impegnative, fino alla località trentina. La corsa rosa era partita subito con due belle vittorie di Vittorio Adorni (a Riva del Garda) e Michele Dancelli (a Brescia), seguite poi dai trionfi di Bitossi e Taccone. Il monopolio italiano però venne spezzato nella quinta frazione da Parma a Busseto, una cronometro di 50 chilometri in cui il francese Jacques Anquetil ribadì le sue doti di fuoriclasse della specialità, impossessandosi del primato. Due giorni dopo quindi ci fu la prima concreta possibilità per saggiare anche in salita la condizione del transalpino.

La tappa partì su buoni ritmi, con alcuni tentativi di fuga (tra i promotori Dancelli, Miele, Colombo, Novak, Reybrouck) che però non trovarono il beneplacito del gruppo, ottimamente controllato dalla formazione di Anquetil. L'azione decisiva si sviluppò così all'imbocco della salita conclusiva: Anquetil sganciò saggiamente il luogotenente Pierre Everaert e assieme a lui scattarono anche Luigi Maserati, Graziano Battistini, Carlo Brugnami, Nino Defilippis, Ugo Colombo, Bruno Peretti e i due spagnoli Angelino Soler e Antonio Gómez del Moral. L’azione ebbe buon gioco, guadagnando oltre un minuto nei confronti del gruppo maglia rosa, in cui non si registrarono allunghi sufficienti a mettere in difficoltà Anquetil. Così, dopo i tentativi di Brugnami, Defilippis e Battistini, fu lo spagnolo Soler (già vincitore della Vuelta 1961 e di ben tre tappe più la maglia verde di miglior scalatore al Giro 1962) ad operare uno scatto deciso per andare ad agguantare il successo, davanti al connazionale Gómez del Moral, Brugnami e Defilippis, con il resto degli atleti più distanziati. Dal gruppo invece il solo Italo Zilioli tentò un allungo più deciso, che gli consentì di chiudere al nono posto a 50", che gli consentì di guadagnare 17" su Anquetil, giunto a 1'07" in un gruppo comprendente anche i vari Adorni, Balmamion, Taccone e il neoprofessionista Motta.

Il fuoriclasse francese riuscì poi a conservare la maglia rosa fino al termine del Giro, resistendo agli assalti di Zilioli e De Rosso, che assieme a lui salirono sul podio, distanziati rispettivamente di 1'22" e 1'31". Fu il suo secondo e ultimo trionfo nella corsa rosa, in un’annata che lo vide finalmente centrare anche la prestigiosissima doppietta Giro-Tour: proprio il quinto trionfo nella Grande Boucle rappresentò la sua ultima affermazione della carriera in una grande corsa a tappe.

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