Professionisti

Gavazzi e una rinascita che allunga la carriera

10.06.2021 06:40

Intervista all'esperto Francesco: "Avrei dovuto smettere a fine anno, ma alla luce delle mie prestazioni primaverili resterò con la Eolo-Kometa anche nel 2022". Riguardo alla corsa rosa: "È stato il mio miglior Giro in assoluto"


In un ciclismo sempre più "teen" c'è ancora spazio pure per qualche colpo di coda degli atleti più navigati del gruppo. Nell'ultimo Giro d'Italia a tenere alta la bandiera dei senatori nostrani è stato soprattutto Francesco Gavazzi, che ha dimostrato quanto la carta d'identità passi in secondo piano di fronte al desiderio di nuove sfide e alla voglia di aggiungere un qualcosa in più alla propria carriera.

Alla soglia delle 36 primavere l'ex Androni non si è limitato a fare da mentore ai tanti giovanotti della EOLO-Kometa, per distacco la migliore delle tre Professional italiane presenti al via, ma ha sfiorato pure il colpaccio nella frazione di Guardia Sanframondi, centrando poi un'ulteriore top 10 pochi giorni dopo a Montalcino. Forte della sua esperienza il lombardo ci ha fatto da Virgilio lungo le mille pieghe della Corsa Rosa, comprese quelle più controverse.

Sei giunto a Milano con un paio di ottimi risultati di tappa ed il 29esimo posto nella generale. Ti sentiresti di definire quest'ultimo come il tuo miglior Giro di sempre?
«Credo proprio di sì. Al di là del mio rendimento nell'arco delle tre settimane sono arrivato davvero vicino alla vittoria a Guardia Sanframondi, mentre a Montalcino non me la sono potuta giocare fino all'ultimo solo per una caduta negli ultimi km. Neanche io mi sarei aspettato di esprimermi ancora ad un simile livello. Dopo un 2020 in cui ho corso pochissimo c'erano dei grossi punti di domanda su questa stagione. Il fatto di aver ritrovato un simile colpo di pedale mi rende davvero felice».

Dover ripartire dopo un'annata quasi di stop ti ha spinto a modificare qualcosa anche a livello di preparazione in questi mesi?
«L'idea iniziale era quella di approcciare forte la stagione, ma una caduta al Laigueglia, a seguito della quale ho rimediato non pochi punti di sutura al gomito, mi ha costretto a stare subito ai box per alcune settimane. In seguito ho dovuto riprendere quasi da capo, con Turchia e Asturie come passaggi per mettere la base per il Giro, senza ritiri in altura. L'avvicinamento quindi è stato un po' diverso da quello canonico. Paradossalmente essermi presentato abbastanza fresco a Torino potrebbe avermi favorito sia a livello fisico che psicologico».

Come squadra la EOLO si è distinta in proporzione più di tante World Tour. Pensate di essere andati oltre le vostre stesse aspettative?
«Alla vigilia il sogno era quello di vincere una tappa. Tra puntare un simile obiettivo e centrarlo c'è di mezzo un mondo, però noi ci abbiamo creduto sin dall'inizio. Al di là dei singoli risultati abbiamo corso sempre bene anche come gruppo, con una mentalità diversa da quella a cui sono abituate altre Professional. Non ci siamo mossi solo per animare le frazioni più scontate o per ottenere una visibilità un po' fine a sé stessa. Credo che questo nostro spirito sia stato apprezzato da tutti».

Prima del via il vostro team manager Ivan Basso parlava candidamente di voler competere per il successo in tot numero di frazioni. La sua presenza e le sue parole vi hanno dato qualcosa in più a livello di convinzione?
«Ivan è stato davvero fondamentale per il progetto Giro. Forse lui ha creduto ancor più di noi nella possibilità di portare a casa determinati risultati. È stato prezioso soprattutto per i giovani come Fortunato. Nonostante Lorenzo si presentasse al via ai più come uno sconosciuto Ivan lo ha sempre trattato come un corridore di rango, a partire dalle riunioni tecniche sul bus. Per un ragazzo alle prime armi sentirsi dire certe cose da un simile campione dà una carica incredibile».

Tu invece come ti sei posto, sia in gara che fuori, coi più giovani del team?
«Diciamo che sono solito creare un rapporto di reciproco scambio. Per loro è importante avere un riferimento d'esperienza in corsa, che possa infondergli tranquillità specie nei frangenti più tesi. Per quanto mi riguarda dai più giovani ricevo invece tanto entusiasmo e quella giusta dose di spensieratezza. In quest'ultimo Giro per fortuna si è creato un clima davvero positivo tra di noi. Quando iniziano ad accumularsi fatica e stress, specie nella terza settimana, capita che possano verificarsi dei piccoli screzi anche all'interno della squadra, mentre in questa occasione ci siamo tutti divertiti dalla prima all'ultima tappa. Avere al proprio fianco dei ragazzi che vivevano ogni giornata come una festa mi ha aiutato a superare anche i momenti più duri».

La maggioranza delle frazioni in linea si è conclusa con una fuga andata in porto. Merito della qualità degli attaccanti o il gruppo è stato un po' più morbido quest'anno?
«Direi un mix delle due cose. Una volta presa la maglia rosa la INEOS ha lasciato subito intendere di voler concedere spazio alle fughe. Capito l'andazzo i migliori cacciatori di tappe sono stati quindi stimolati a provarci con più insistenza da lontano. Diverse giornate per paradosso sono diventate quindi più dure nelle fasi iniziali che in quelle conclusive, visto che le azioni buone andavano a sganciarsi dopo anche 50/60 km di battaglia».

Nel corso del Giro hanno tenuto banco anche alcune polemiche relative ai percorsi. A livello di pericolosità come giudichi ad esempio finali cittadini come quello di Cattolica?
«In effetti ci sono stati degli arrivi dal disegno un po' caotico. In alcune di queste occasioni è stato un bene che siano arrivate le fughe, perché con un gruppo compatto si sarebbero potute verificare situazioni un po' al limite. È vero pure tuttavia che determinati pericoli dipendono dal comportamento dei corridori. A riguardo penso sia lampante proprio l'esempio di Cattolica, dove le cadute di Sivakov e Landa sono state innescate più da errori individuali che dal tracciato. Mi rendo conto che in una gara a tappe sia impossibile, specie al giorno d'oggi, trovare sempre strade comode per un plotone di 170 ciclisti. Anche noi corridori dobbiamo imparare ad adattarci».

Ha generato non poche discussioni anche il taglio del Fedaia e del Pordoi nella tappa di Cortina. Qual è il tuo punto di vista riguardo a simili interventi in giornate dal meteo avverso?
«Partiamo dal presupposto che il protocollo meteo stilato dall'UCI è piuttosto ambiguo, anche in merito alle stesse situazioni climatiche a cui possiamo andare incontro. Si parla infatti in modo generico di temperature estreme, senza considerare che la percezione di noi corridori cambia a seconda dei frangenti di gara e della posizione in cui ci troviamo. A tal proposito penso che a Cortina sia stata presa la migliore decisione possibile. In gruppo per intenderci abbiamo patito molto più il freddo nella prima metà della tappa, in particolare scendendo dal Cansiglio. Due ulteriori discese in quota sotto quella pioggia avrebbero forzato al ritiro almeno 30/40 corridori, aggiungendo poco o nulla a livello di spettacolo nella battaglia tra gli uomini di classifica».

In questi casi però l'impressione è che ci sia poca unità anche all'interno del gruppo e che si proceda troppo per ordine sparso. Verità o suggestione?
«Mettere d'accordo 22 team ed oltre 160 atleti è sempre difficile, considerando che ognuno alla fine bada, per così dire, al proprio orticello. Per queste decisioni ad esempio una Professional ha meno voce in capitolo rispetto ad una World Tour, che magari è anche in lotta per obiettivi di peso. In 15 anni di professionismo raramente ho visto tutti remare nella stessa direzione di fronte a simili questioni. A Cortina comunque penso che ci sia stata una certa compattezza, visto che la stragrande maggioranza di noi si era espressa in modo favorevole rispetto al piano B attuato da RCS. È ovvio poi che le prese di posizione dei corridori debbano poi essere bilanciate sia con le intenzioni dei management delle varie squadre che con la volontà degli organizzatori».

La positiva esperienza del Giro ti ha fatto un po' pensare, o ripensare, anche alla durata di questa porzione finale di carriera?
«Ad inizio stagione pensavo che questo sarebbe stato il mio ultimo anno. Con la EOLO ci eravamo accordati infatti solo per il 2021, per consentirmi di chiudere con un'annata diversa da quella passata, in cui in sostanza sono rimasto quasi fermo. Le mie prestazioni di questi mesi tuttavia mi hanno stupito a tal punto da riconsiderare la cosa. Lo stesso Ivan è molto soddisfatto del ruolo che sto ricoprendo per i più giovani e, al momento, stiamo discutendo per un prolungamento fino al 2022, stavolta penso proprio inderogabile».

In precedenti interviste hai palesato la volontà di non rimanere dentro il plotone, magari come DS, una volta appesa la bici al chiodo. Ancora di questo avviso?
«Una volta smesso saluterò i tanti amici che ho in gruppo e mi dedicherò in primis alla famiglia. La nostra è una vita fatta di sacrifici e di lunghi periodi di lontananza da casa. Avendo due figli penso sia giusto intraprendere una strada che mi consenta di stare un po' più con loro».

Per chiudere, quali saranno i tuoi programmi per il prosieguo della stagione?
«La mia prossima uscita sarà al campionato italiano. In estate poi staccherò un attimo dalle corse, l'unica in programma è la Settimana Ciclistica Italiana, così da inserire anche un breve blocco di lavoro in altura. Da settembre in poi si tornerà nel vivo con tutto il calendario delle classiche di casa. Ci sono tante prove che mi si addicono e non mi dispiacerebbe provare a togliermi qualche nuova soddisfazione».
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