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Ma il cielo è sempre più... celeste!

17.03.2019 17:02

Tirreno-Adriatico, Fuglsang vince a Recanati e dedica il successo a Scarponi; Yates allunga su Roglic sul muro finale. Nibali si fa vedere, Gabburo emoziona


Un po' il magone del giorno è dettato dalla dedica che Jakob Fuglsang ha fatto sul traguardo di Recanati, una vittoria in memoria e onore di Michele Scarponi, "che manca sempre" per stare con le parole del danese, "manca alla squadra ma manca a tutto il ciclismo", e quanto è vero!

Un po' è dettato dal vedere coi nostri occhi l'effetto che fanno i muri marchigiani, ricordarcene visivamente, più distacchi di un tappone alpino, tra un po'; e il pensiero che al Giro queste salite assassine non ci saranno, o saranno presenti ma solo in forma molto soft, parecchio light, abbastanza spot, e sigh e sob, chiaramente fa commuovere l'appassionato all'idea di quel che avrebbe potuto essere e non sarà. Ma Vegni dirà che la Tirreno-Adriatico ha una sua specificità, e che il Giro ha invece altri nodi e snodi a sufficienza, e tutti vivremo lo stesso, pensando alla salute se proprio non potremo essere felici e contenti.

Ha vinto Fuglsang a Recanati, con uno sforzo inferiore al nostro di resistere al titolare su Leopardi nel giorno in cui lo faranno tutti, ma si sa che ci dobbiamo distinguere, noialtri. Per esempio notando cose che nessun altro vi farà notare: tipo Vincenzo Nibali che a un certo punto della tappa insegue lo stesso Jakob Fuglsang, appagando la voglia di pulp che da anni animava i pensieri di parecchi suiveur.

Fuglsang si porta dietro la leggenda di non essere un buon compagno di squadra, un buon luogotenente; di essere uno che pensa troppo a se stesso, pieno di boria al punto da voler fare lui il capitano al Tour senza aver mai dimostrato di poter essere più di un medio corridore da top ten. E negli anni del nibalismo più efferato, quando i due erano insieme in Astana, ciò ha permesso a noi italiani di capire il significato della locuzione "hate speech" ben prima che Facebook svelasse in maniera compiuta le nostre voragini morali interiori.

E invece il buon Jakob è stato spesso benvoluto dai propri compagni, Squalo in testa, tanto che era Vincenzo il primo a volere il nordico nelle formazioni per la Boucle. E tanto per dire, ieri ci era sembrato ben sincero il suo complimentarsi con Alexey Lutsenko all'arrivo; va detto che anche lo Squartatore di Boston si sarebbe intenerito al cospetto di quanto fatto dal kazako a Fossombrone, impresa che una volta sentimmo essere stata fatta da un Gino Bartali vecchio a un Giro di Toscana di tante epoche fa, e pensammo "ma va' che roba, oggi non sarebbe possibile".

Come per Luts, anche la JF-Key (la chiave per Jakob Fuglsang...) è stata la squadra, un'Astana sempre più incomprimibile e incontenibile. Oggi Dario Cataldo ha messo le sue gambe e la sua barba piene di charme al servizio dell'assalto alla diligenza, e con diligenza Fuglsang ha provato poi a finalizzare: il colpo grosso sarebbe stato tappa&maglia, la seconda è sfuggita perché quegli altri hanno infine reagito, la prima è venuta e la festa per il team kazako in un modo o nell'altro continua (leggi anche alla concomitante voce "Parigi-Nizza").

"Quegli altri" sarebbero poi Adam Yates e Primoz Roglic, che oggi sul muro di Recanati se le sono suonate di santa ragione, e la disfida l'ha vinta il britannico ma lo sloveno venderà cara la pelle nella crono di San Benedetto tra due giorni. Sì, per tornare a Vegni in chiusura di questa prolusione, tutto sommato la Tirreno ci va bene così, tappe mosse coi muri (come ieri e oggi), un paio di frazioni da volata per soddisfare le legittime aspettative degli sprinter, e l'esercizio contro il tempo; che ci sia una crono di troppo lo pensiamo (o togli la prima, o togli l'ultima), una tappa simil-Recanati in più e ci leveremmo per sempre dalla testa il pensiero della frazione di montagna mancante.

 

Una fuga con molti Neri e non per caso
I 13 uomini in fuga della quinta tappa della Tirreno-Adriatico 2019, la Colli al Metauro-Recanati di 180 km, si sono mossi in due successive ondate: prima, al km 7, son partiti in 10, ovvero Nico Denz (AG2R La Mondiale), Daniel Oss (Bora-Hansgrohe), Nathan Van Hooydonck (CCC), Ivan Rovny (Gazprom-Rusvelo), Tom Van Asbroeck (Israel Cycling Academy), Tosh Van der Sande (Lotto Soudal), Jorge Arcas (Movistar), Mads Pedersen (Trek-Segafredo) e i due Neri-Selle Italia-KTM Edoardo Zardini e Davide Gabburo. Poi, seconda ondata, un terzetto con un altro Neri (Giovanni Visconti) e con Julien Simon (Cofidis) e Steve Morabito (Groupama-FDJ); la giunzione è avvenuta al km 46, quando il terzetto ha chiuso il gap (che era stato anche di 1'10") rispetto ai primigeni battistrada.

Il gruppo ha lasciato fare a lungo, tanto che il margine è arrivato a 8'14" intorno al km 100 (a 80 dalla fine), poi qualcosa ha cominciato a muoversi ma ci è voluto l'approdo al circuito recanatese per smontare pezzo per pezzo la fuga. Tale circuito misurava circa 23 km e comprendeva due muri (diversi versanti per ascendere alla città leopardiana) uno più duro dell'altro. I primi a muoversi davanti sono stati Denz e Oss, poi ci ha provato Zardini con Van Asbroeck e Arcas, quindi in contropiede Gabburo, ma il drappello dei 13 ha finito col ricompattarsi ai -53, del resto mancava ancora troppo al traguardo. Il gruppo era tirato dagli Jumbo-Visma di Primoz Roglic, e sottoposto quindi a severa selezione sui due muri.

Al primo passaggio sulla salita dell'arrivo si sono mossi prima Gabburo, poi Rovny, quindi Zardini, e qualcuno ha cominciato ad alzare bandiera bianca (Morabito e Van Hooydonck); Denz, Gabburo e Pedersen hanno raggiunto Zardini in cima alla salitella (45 km al traguardo: due giri del circuito) e il vantaggio accumulato sugli altri superstiti della fuga (38" sul gruppetto Visconti-Oss) ha reso questo quartetto irraggiungibile da costoro. Il plotone in questa fase veleggiava ancora a circa 4' di distanza, ma il gap era in potente regressione grazie appunto al lavoro degli Jumbo.

 

Entra in scena la super Astana
Il penultimo giro del circuito marchigiano ha visto entrare in scena l'artiglieria pesante di marca kazaka, e le trenate del team celeste sul Muro di San Pietro (il primo dei due, ai -34) hanno addirittura spezzato il gruppo, lasciando davanti non più di una decina di uomini a ruota di Dario Cataldo. Sarà stata distrazione (o paura o chissacché?), ma un Julian Alaphilippe s'è fatto trovare nelle retrovie nell'occasione, e ha dovuto piazzare uno scatto vincente già solo per rientrare lì sui migliori. Comunque dopo il muro, ai -31, ci sono stati ulteriori rientri, tra gli altri Vincenzo Nibali che proseguiva così la sua settimana chiaroscura tra Tirreno e Adriatico. Ci ritorniamo tra poco.

Sul successivo muro dell'arrivo (Muro di Porta d'Osimo, cosiddetto) si sono mossi ai -25 Alexis Vuillermoz (AG2R) e Tiesj Benoot (Lotto), mentre Simon Clarke (EF) ruotava con la ruota rotta (sostituita di lì a molto); quindi Alexey Lutsenko (Astana), la maglia azzurra Adam Yates (Mitchelton-Scott), Primoz Roglic (Jumbo), Thibaut Pinot (Groupama) e Wout Poels (Sky) erano i più lesti a seguire i due contrattaccanti; i più lesti insieme a Jakob Fuglsang, certo. Il quale Jakob, non appena il ritmo è calato, è partito a propria volta con una violenta progressione.

Ci ha provato Alaphilippe, poi ci ha provato Pinot, ma nessun francese (né altri esponenti di diverse nazionalità) ha più chiuso su Fuglsang. E lui, il danese, ha potuto cominciare a raccattare strada facendo gli ultimi resti della fuga.

Li avevamo lasciati in quartetto a spartirsi gioie (quali?) e dolori della lunga gittata, li ritroviamo sparpagliati: Zardini aveva tentato un velleitario assolo ai -34, sul primo muro; poi è stato il primo a pagare allorché, sul secondo muro, proprio il suo compagno Gabburo ha dato la stura a una nuova fase di anarchia. Sull'attacco dell'italiano, Denz ha seguito le sorti di Zardini, staccandosi; Pedersen invece si è gestito in maniera perfetta e ha tenuto le ruote dello scatenato Davide; ma era in arrivo il treno danese che avrebbe rimescolato tutte le carte.

 

Ultimo giro con Fuglsang vento in poppa
In cima al Muro di Porta d'Osimo, ai -22 e quindi in avvio di ultimo giro del circuito, Fuglsang di fatto ha raggiunto Gabburo e Pedersen, trascinandosi dietro pure uno stoico Denz. Alaphilippe ha anticipato in questo frangente il gruppo dei migliori destinato però a ricompattarsi con una ventina di unità di lì a un paio di chilometri.

In discesa si segnala una caduta di Clarke (giornatina di quelle, eh!), quindi ai -17 un attacco di Jan Polanc (UAE Emirates) che ha sollecitato la reazione di Nibali. Ecco il già citato inseguimento di Vincenzo a Fuglsang... più in generale, lo Squalo non è chiaramente al meglio della condizione, ma da qui a listare pagine d'allarmismo come fanno certi quotidiani rosa, ce ne passa. È un Nibali discreto quello che stiamo vedendo in questa Tirreno, e se crescerà di condizione come è d'uopo che sia, anche quest'anno qualche sorriso se lo stamperà in faccia. Alla faccia di.

Su Polanc-Nibali sono arrivati anche Sam Oomen (Sunweb) e di nuovo Visconti (che era tra i fuggitivi già ripresi dal gruppo), intanto Fuglsang mulinava ottimamente fino a un vantaggio di 40" su Yates e soci. Era Damien Howson, gregario di Adam, a tirare il drappello in quel tratto pre-Muro di San Pietro. Sulla rampa, ai -12, Fuglsang ha subito reso asfissiante la vita a Pedersen e Denz, mentre Gabburo ha resistito 300 metri in più, prima di abbandonarsi al proprio triste destino: in vetta Jakob sarebbe transitato solo.

Nibali e gli altri intercalati erano stati ripresi proprio in avvio di muro, ed era cominciata la lotta per il titolo: e sì, perché tra una cosa e l'altra Fuglsang si accingeva a colmare il ritardo patito in classifica (1'19"), e ciò non poteva lasciare indifferente Yates (e in subordine Roglic). Proprio i due, Yates e Roglic, son partiti ai -11.5, per raggiungere subito Pedersen e poi Gabburo; Roglic non si peritava di collaborare con la maglia azzurra, sicché abbiamo vissuto lunghi chilometri pro Fuglsang nell'attesa del muro definitivo.

 

La "battaglia azzurra" tra Yates e Roglic
In realtà ai -7 Primoz ha cominciato a dare qualche cambio ad Adam, ma c'era sempre un minuto (più o meno, il GPS non aiuta a esser precisi in questi frangenti) da abbattere nei confronti dell'uomo al comando. Ai -5 dal gruppo si è segnalata un'azione di Dumoulin, forse tardiva. Oomen ha dato una mano al capitano, poi anche Pinot s'è portato sull'olandese, e questa coppia ha funzionato fino al muro.

L'ultima scalata ha visto subito fuori i "secondi", ovvero Pedersen e Gabburo (ultimo fuggitivo a mollare le ruote di Yates ai -2.8, in chiusura di una prova che possiamo definire come se non commovente?); quindi Adam ha cominciato a scattare così bene che pareva Simon, e ha finito per staccare Roglic a 1800 metri dall'arrivo. L'azione del gemello è stata entusiasmante, lui peraltro da queste parti aveva vinto una gran tappa non più tardi di 12 mesi fa, a Filottrano: la tappa-Scarponi per eccellenza (ma anche quella odierna può tranquillamente meritarsi un tale appellativo).

Oggi però la vittoria di giornata era lì lì per sfuggire: Fuglsang aveva davvero troppo margine, ne ha sì perso un bel po' su quella rampa infame, ma in definitiva s'è gestito bene sui tratti più arcigni, per poi rilassarsi sul falsopiano in cima, completando l'ultimo chilometro con grandi sorrisi prima di esultare - come scritto in apertura - col ricordo del compianto Michele.

Adam Yates è arrivato 40" dopo Jakob, e ha affibbiato altri 16" a Roglic, terzo a 56" dal vincitore. Quel gran motore di Dumoulin ha chiuso meglio di Pinot, staccandolo nel finale, sicché abbiamo quarto Tom a 1'39", quinto Thibaut a 1'53"; a 1'57" è giunto Wout Poels, uscito benissimo sul muro conclusivo (ma era troppo tardi); a 2'09" Mads Pedersen, ottavo, ha dimostrato di sapersi gestire molto meglio dell'ottimo Gabburo (13esimo a 2'27"); nel gruppetto a 2'12" Vuillermoz ha preceduto Benoot, Clarke, Rui Costa (UAE) e Alaphilippe; Nibali ha chiuso - con Visconti, Alberto Bettiol (EF) e Davide Formolo (Bora) - a oltre tre minuti, intorno alla 20esima posizione (per la precisione, 19esimo il messinese).

La nuova classifica generale, frutto di questa specie di tappone dai maxidistacchi, è sempre colorata di Adam Yates. Il margine del capitano Mitchelton è salito ora a 25" su Roglic, mentre al terzo posto irrompe Fuglsang a 35"; a seguire troviamo Dumoulin a 1'55", Alaphilippe a 2'34", Poels a 2'39", Pinot a 2'46", Oomen a 2'58" (maglia bianca), Clarke a 3'03" e Rui Costa a 3'26". Bettiol è il primo degli italiani, 13esimo a 4'03"; Nibali è 15esimo a 4'36" e nei 20 abbiamo anche Formolo a 4'54". Domani sesta e penultima tappa di questa Tirreno-Adriatico 2019, da Matelica a Jesi per 195 km, una prima metà un po' accidentata, poi decisamente agevole e adatta ai velocisti che saranno chiamati a sprintare in un finale che peraltro tirerà leggermente all'insù (al 2% gli ultimi 700 metri).
Notizia di esempio
Maxifuga in porto a La Popolarissima: vittoria per Nicola Venchiarutti
Marco Grassi
Giornalista in prova, ciclista mai sbocciato, musicista mancato, comunista disperato. Per il resto, tutto ok!