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È Formolo la speranza più bella

28.04.2019 20:26

Gli italiani alla Liegi: il veronese centra un gran podio, Nibali 8° ma non punge


Negli ultimi trentacinque anni la Liegi-Bastogne-Liegi è divenuta sicuramente uno degli appuntamenti attesi con maggior trepidazione dal nostro movimento, capace di ottenere proprio in questo lasso di tempo la quasi totalità dei dodici successi complessivi che i nostri connazionali sono riusciti a mettere a referto nella Doyenne.
Nonostante il bersaglio grosso continui a mancare (l’ultimo successo risale al 2007, quando ad imporsi fu Danilo Di Luca), vi era sempre un’attesa un po’ speciale per la decana delle classiche monumento, tanto più che in questo 2019 il ritorno dell’arrivo nel centro di Liegi stuzzicava non poco la fantasia di chi provava ad immaginare il finale diverso da quello divenuto ormai tradizionale ad Ans, dopo aver superato la Cote de Saint-Nicolas (proprio lì dove una buona parte di emigrati si era stabilita per cercar fortuna).
La festa, come dicevamo, è stata rinviata ancora una volta, al cospetto di un Jakob Fuglsang irresistibile e imprendibile nel finale ma i sorrisi in casa Italia non sono di certo mancati: dopo sette stagioni un nostro connazionale è tornato a salire sul podio, grazie all’ottima e significativa prestazione di Davide Formolo ed anche Vincenzo Nibali è riuscito a disputare la miglior Doyenne da qualche anno a questa parte (era stato proprio lui a piazzarsi in seconda posizione nel 2012, quando a trionfare fu anche in quell’occasione l’Astana con Maxime Iglinsky, con Enrico Gasparotto in terza posizione), anche se alla fine l’ordine d’arrivo non lo vede andare oltre l’ottava posizione. Nel complesso, comunque, ci troviamo a commentare una giornata ampiamente sufficiente per i colori azzurri, come andiamo ora a vedere nel dettaglio.

Davide Formolo: speranze che cominciano a diventare certezze
Come anticipato nell’incipit, le note più liete quest’oggi vengono senz’altro da Davide Formolo e forniscono ulteriore materiale per alimentare tutte quelle discussioni che suggerirebbero al veronese di accantonare ogni velleità di classifica generale nei grandi giri, limitandosi magari alla ricerca di qualche bel successo di tappa, per concentrarsi maggiormente sulle classiche a lui più adatte.
Non è un mistero che la Doyenne piaccia particolarmente al ventiseienne della Bora-Hansgrohe, che nel 2017, quando ancora vestiva la casacca della Cannondale, andò vicinissimo al bersaglio grosso, scattando sulla Cote de Saint-Nicholas e venendo ripreso solamente negli ultimi 500 metri, racimolando così un 23esimo posto pieno d’amarezza. I progressi compiuti nella scorsa stagione, in cui abbiamo cominciato a vedere un Formolo anche più reattivo ed esplosivo negli sprint ristretti, si concretizzarono in un settimo posto nel gruppo sfilacciato, lanciato al vano inseguimento di Jungels.
La primavera 2019 forniva quindi una nuova ideale occasione per provarci, sfruttando anche le incognite legate al nuovo traguardo. Inutile dire che l’avvicinamento del veronese all’appuntamento sia stato ottimale, impreziosito dalla splendida impresa solitaria firmata nell’ultima tappa della Vuelta Catalunya, in grado di ribadire anche le notevoli doti di fondo della “Roccia” di Marano di Valpolicella, già mirabilmente esibite in occasione del suo primo successo da professionista ottenuto a La Spezia, nel Giro d’Italia 2015.
In una giornata iniziata in maniera molto difficile a causa delle condizioni climatiche, il veronese ha fatto muovere i propri compagni di squadra, attendendo assieme al tedesco Maximilian Schachmann (poi terzo), il momento opportuno per agire. Occasione naturalmente fornita dalla Cote de Roche-aux-Faucons, ultimo baluardo da superare prima del ritorno a Liegi. Qui Davide si è mostrato il più reattivo assieme al canadese Woods nel cercare di rispondere alla rasoiata di Fuglsang, anche se il ritmo imposto dal danese gli ha pian piano fatto accumulare acido lattico nelle gambe, consentendogli comunque di scollinare in vetta agganciato al treno giusto. Quando sull’ultimo dentello il leader dell’Astana ha forzato ulteriormente, al veronese non è rimasto altro da fare che stringere i denti e spingere a fondo fino al traguardo, per non subire l’ulteriore beffa di vedersi ripreso dal gruppo inseguitore. L’intento, in quest’ultimo caso, è stato centrato e così Formolo ha potuto concludere per la prima volta sul podio di una classica monumento, grazie ad un finale tutto cuore e grinta.
La bontà del risultato del veronese assume grande importanza per due motivi principali: in primis, Formolo potrà concretamente ambire a conquistare la Doyenne in futuro, individuando il punto ideale per l’attacco e per non farsi sorprendere dagli avversari (e limando ulteriormente qualcosa allo sprint, anche l’opzione della volata ristretta potrebbe tornare utile); in secundis, il risultato odierno lo pone anche in una posizione di privilegio nelle gerarchie interne della Bora: oltre ad un solido Schachmann, anche lui in costante crescita, sappiamo infatti che la Liegi-Bastogne-Liegi costituiva inizialmente il nuovo ambizioso progetto di Peter Sagan. In attesa di capire se il fuoriclasse slovacco ci riproverà, l’avere nel team un Formolo già perfettamente in grado di assumersi la responsabilità della finalizzazione costituisce una delle migliori certezze da cui ripartire. Nella Bora-Hansgrohe si è poi messo ancora una volta in evidenza con una prova generosa anche Cesare Benedetti: il corridore trentino è entrato in azione ad una settantina di chilometri dalla conclusione e la sua presenza nell’interessante drappello di una ventina di atleti nato sulle rampe del Col de la Haute-Levée è senz’altro tornata utilissima al team in una fase di corsa che si stava facendo particolarmente delicata.

Vincenzo Nibali: un buon avvicinamento ma manca il colpo del ko 
Se quelle su Davide Formolo erano le più ambiziose speranze soprattutto in chiave futura, le certezze di risultato maggiori per i corridori italiani venivano da Vincenzo Nibali. Il leader della Bahrain-Merida era uscito con il morale indubbiamente alto dal Tour of the Alps, concluso con una terza posizione finale frutto di una condotta di gara in cui il siciliano non si è di certo risparmiato per tutta la durata della breve gara a tappe, facendo trasparire così la volontà di volersi testare giorno per giorno nel suo avvicinamento alla Liegi-Bastogne-Liegi. Abbiamo così visto un Nibali tentare lo scatto secco già nella prima giornata, non lesinare tirate in testa al gruppo dei fuggitivi nei momenti cruciali della gara e, dulcis in fundo, abbozzare anche qualche tentativo di sprint ristretto, che nel nuovo finale della Doyenne sarebbe potuto tornare senz’altro utile.
Nonostante i confortanti segnali, era però impossibile pensare ad un Nibali al 100% della condizione così presto, in considerazione del fatto che il siciliano tenterà a breve il nuovo assalto alla maglia rosa, già conquistata in due occasioni in carriera. Il vuoto della Doyenne, in una fase di carriera in cui la ricerca di nuovi obiettivi permetterebbe una miglior selezione degli appuntamenti, si fa ancora sentire, tanto più dopo il capolavoro realizzato a Sanremo lo scorso anno. Impensabile quindi pensare ad un Nibali partecipante senza il chiaro intento di ottenere una buona prestazione.
La difficile giornata dal punto di vista climatico avrebbe potuto far pensare a condizioni ulteriormente favorevoli per Vincenzo, che già in Alto-Adige si era trovato ad affrontare un paio di frazioni caratterizzate da freddo e pioggia, tanto che l’incognita principale sarebbe stata rappresentata unicamente dal finale. Così, dopo una giornata in cui i Bahrain (compreso il fratello Antonio) hanno fatto capolino nelle posizioni buone del plotone e dopo che la Redoute non aveva prodotto alcuno scossone, tutti attendevano le annunciate fiammate sulla Roche-aux-Faucons, aspettando che fosse proprio Nibali a rompere l’equilibrio. Lo scatto secco di Fuglsang ha invece finito per far saltare tutti gli equilibri e nel momento in cui ci si attendeva che potesse accodarsi, Vincenzo ha preferito mollare la presa, continuando a salire del proprio passo per evitarsi il pericoloso fuorigiri.
Nel momento in cui le pendenze si sono fatte più lievi, l’abbiamo ritrovato in testa allo sfaldato gruppo inseguitori, col solo Gaudu a dargli man forte in un primo momento. Col ridursi dei chilometri è apparso chiaro come i buoi fossero ormai scappati e che la Doyenne si sarebbe confermata tabù per il siciliano. A quel punto Nibali ha provato a favorire la volata di Teuns, lanciandola lunga negli ultimi 300 metri e portando a casa un ottavo posto che rappresenta comunque il suo miglior piazzamento ottenuto dal 2012. Sicuramente la speranza di tutti era quella di un Nibali capace di contrastare (se proprio impossibilitato ad agire in prima persona) le sfuriate di Fuglsang ma la gamba del danese palesata nelle ultime settimane non ha dato spazio ad ulteriori ambizioni.
La prova odierna resta comunque un buon viatico per Vincenzo in vista del Giro d’Italia che scatterà tra meno di due settimane, in cui l’auspicio sarà quello di vedere il siciliano in perfetta forma nella terza settimana. In casa Bahrain va senz’altro segnalata la buona prova di Damiano Caruso, ideale testa di ponte per Nibali sia nel momento in cui la corsa ha iniziato ad animarsi attorno ai -75, sia quando si è sviluppato il successivo tentativo ad otto, protrattosi fino alla Redoute. Per il ragusano la prova odierna rappresenta un’iniezione di fiducia per le successive settimane, specialmente in un momento in cui la Bahrain ha seriamente temuto di poter perdere Pozzovivo a seguito della rovinosa caduta patita alla Freccia Vallone.

La Liegi di chi ci ha provato: De Marchi e Pasqualon
L’incredibile finale regalatoci da Mathieu Van Der Poel nell’Amstel Gold Race di domenica scorsa aveva finito, inevitabilmente, per far passare in secondo piano numerose considerazioni interessanti. Tra queste l’ottima prestazione realizzata sulle cotes olandesi da Alessandro De Marchi, che al termine di una prova gagliarda era stato capace di piazzarsi in settima posizione al traguardo. Il “rosso di Buja”, com’è noto, fa della grinta la sua maggior prerogativa e così, dopo settimane contrassegnate da una condizione indubbiamente buona (maglia degli scalatori sfumata in extremis in Catalogna e una discreta Freccia Vallone, chiusa al 21esimo posto), la Liegi rappresentava una nuova occasione per mettersi in mostra.
Il friulano della CCC, in una fase in cui anche il proprio capitano Greg Van Avermaet si era mostrato particolarmente attivo, ha cercato così d’inserirsi nell’azione nata a poco meno di 65 chilometri dall’arrivo lungo la Cote di Rosier, in cui la presenza di altri validi atleti come De La Cruz, Fraile, Kangert o Albasini avrebbe potuto costituire un interessante effetto sorpresa, nel caso in cui il gruppo avesse indugiato eccessivamente nell’inseguimento. De Marchi ha cercato di fare il possibile per dare impulso ad un tentativo, rimasto sempre a non più di 50” di vantaggio sul plotone, che hai poi annullato il tentativo una volta superata la Redoute, vero e proprio ostacolo per le ambizioni dei fuggitivi da lontano.
Ancor più temerario era stato il tentativo portato dai fuggitivi della prima ora, in cui si è fatto apprezzare anche Andrea Pasqualon: il corridore vicentino, che ha trovato alla Wanty-Goubert la sua dimensione ideale, nel corso di questi ultimi anni si sta segnalando per non essere una semplice ruota veloce, cercando di mostrarsi competitivo anche su percorsi più mossi o semplicemente cercando di mettersi in bella mostra con azioni da lontano. Il percorso della Liegi appariva sulla carta proibitivo per le sue caratteristiche, tuttavia la sua giornata è andata in archivio in maniera assolutamente sufficiente grazie alla fuga partita al chilometro 0 (otto erano i componenti del drappello via via sviluppatosi), che è stata capace di resistere per oltre 130 chilometri, con un vantaggio massimo superiore ai 10 minuti.
Una buona giornata per lui, che proverà ad essere nuovamente protagonista al prossimo Tour de France (lo scorso anno riuscì ad ottenere alcuni ottimi piazzamenti), così come la Liegi odierna rappresentava una prima utile occasione per Giulio Ciccone: il teatino della Trek-Segafredo ha debuttato alla Doyenne dopo una discreta prova alla Freccia Vallone (25esimo in appoggio a Mollema) ed il 34esimo posto finale a 2’28” da Fuglsang (terzo italiano al traguardo) rappresenta un risultato nient’affatto disprezzabile per chi dovrebbe tornare nelle strade del Belgio con ben altre ambizioni nelle prossime annate.

La Liegi respinge ancora Battaglin e Ulissi
Chiudiamo la nostra carrellata con la menzione di coloro che coltivavano sicuramente buone ambizioni per questa giornata ma sono costretti a tornare a casa non troppo soddisfatti. Enrico Battaglin rappresentava una delle maggiori carte da giocare in seno alla Katusha ed il corridore vicentino è stato il primo a provarci sulla Cote des Forges, a 26 chilometri dalla conclusione, in una fase favorevole agli attacchi a sorpresa. La sua azione però non è risultata incisiva (a dispetto di quella dell’austriaco Konrad, che poco dopo l’ha avvicendato) e così la sua Liegi si è conclusa con una 38esima posizione a 3’34”.
Appena dietro di lui è giunto Diego Ulissi e nei confronti del livornese le attese erano indubbiamente più elevate, sia perché il nuovo finale poteva essere più adatto alle sue caratteristiche, sia perché nella Freccia Vallone di mercoledì scorso era riuscito a concludere per la prima volta in carriera sul podio, piazzandosi terzo. Oltretutto, il ritiro di Daniel Martin quando ancora mancava una vita al traguardo, gli aveva spalancato la leadership unica per la giornata odierna nella UAE. Sul più bello però, Ulissi si è ritrovato con la gamba svuotata e così la Roche-aux-Faucons ha finito per mettere una pietra tombale su qualunque aspirazione di buon risultato. Ci sarà certamente l’occasione per riprovarci ma giunto alla soglia dei 30 anni e con una concorrenza sempre più agguerrita si fa sempre più dura per lui la possibilità di conquistare almeno un podio in una classica monumento. Giornata avara di soddisfazioni sia per Alberto Bettiol (comprensibilmente scarico dopo un’intensa primavera) che per Enrico Gasparotto, in cui erano riposte le speranze di buon risultato della Dimension Data: per entrambi la Liegi si è purtroppo conclusa anzitempo.
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