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07.07.2022 20:45

Giornata memorabile al Tour de France: Wout Van Aert regala alla sesta tappa battaglia dall'inizio e una fuga di sublime impossibilità. Nel finale cede, e vince con una volata travolgente Tadej Pogacar, nuova maglia gialla


L'abbiamo detto ieri a chiare lettere che Tadej Pogacar è un pupazzetto mannaro. Come lo vuoi definire uno che ti batte, ti stronca, e la prima cosa che senti di voler fare dopo il traguardo è correre da lui a coccolartelo? Non inventiamo niente, mettiamo a referto le immagini dell'arrivo di Longwy con Michael Matthews scornato ma lo stesso innamorato. Tutti sono innamorati di Pogacar, chissà se sarà sempre così o se prima o poi il ragazzo butterà una cartaccia per terra e allora potrà finalmente essere biasimato e rampognato per qualcosa... Per il momento c'è solo positività intorno a lui, i tifosi impazziscono e gli avversari lo riveriscono, lo guardano proprio con sincera ammirazione, chissà se con una punta d'invidia, ma lo stesso Matthews oggi ha riassunto perfettamente la portata di Tadej nel ciclismo attuale: "Usa l'enorme talento che ha a beneficio del movimento tutto" (virgolettato da inventariare ma il senso era questo).

Se Bling lo dice di Pogacar, pari pari noi possiamo estendere il concetto a Wout Van Aert. Uno e l'altro, a darsi il cambio oggi, ma il belga ragazzi, che corsa ha fatto il belga, tutto giallo a riempire e illuminare tutti gli schermi puntati su di lui, la sua faccia, le sue gambe, la sua figura elegante e rombante, un Bronzo di Riace della bicicletta, ma cosa s'è inventato oggi, art for art's sake, il ciclismo per il ciclismo, la ricerca anche narcisa dell'essenza più pura del gesto sportivo, insomma una cosa del tutto inutile anzi controproducente, tanto da costargli la maglia gialla - oltre a un surplus esagerato di fatica - e da spingere qualcuno a chiedersi "ma perché? Che senso ha?". Il senso di tenerci incollati per 5 ore a un'impresa impossibile, e degna di essere tentata proprio in quanto impossibile. Finché ci sarà un Van Aert pronto ad alzare (in senso costruttivo ovviamente) l'asticella dell'osabile, l'umanità continuerà a uscire dalle Colonne d'Ercole, insomma andrà avanti.

È stata talmente bella la follia di Wout che solo un altro semidio del ciclismo avrebbe potuto raccoglierne il testimone in corsa per lasciare stampato un epilogo che tutti, sotto sotto, immaginavamo. Lo immaginavamo, senza confessarcelo, già ieri sulla strada per Arenberg, in poche parole una parte di noi già sapeva da prima che Tadej Pogacar avrebbe fatto un garone sul pavé, magari vincendo. Ieri non ha vinto (ma il garone c'è stato). Ma oggi nessuno avrebbe potuto contendergli quella linea d'arrivo, tanta era la voglia di alzare le braccia pure lui, esultare per sé e certamente anche per la bellezza di vincere in un ciclismo così bello.

Le azioni senza senso e infruttuose, le azioni perfette e fruttuose, due declinazioni della stessa passione, e non fa nulla se Wout da domani farà il gregario, o se Pogacar ha già praticamente ammazzato la corsa, la sola idea di poter rivedere nei prossimi giorni questi colossi ci rinfranca. L'idea della loro prossima impresa basta a saziare la nostra fame e la nostra sete, e tutto ciò è impagabile, è sedersi a guardare dello sport e rialzarsi dopo qualche ora carichi di gioia, di sentimenti positivi, di allegria, ma tanta che ti senti in debito, vorresti fare un paypal di 50 euro a Wout, o mandare dei fiori a Tadej, insomma una qualsiasi testimonianza di gratitudine. Che fortuna che abbiamo, chi ce l'avrebbe mai detto che ci saremmo ritrovati un bel giorno a vedere un simile ciclismo, tanto simile all'idea che abbiamo di quello in bianco e nero, di cui molti di noi hanno potuto ricevere solo rimandi storici di vicende non vissute in diretta. Ora invece ci siamo, è tutto davanti ai nostri occhi e sta accadendo davvero. La Binche-Longwy del Tour 2022 c'è stata davvero, la racconteremo, esagerando di sicuro certi particolari (la memoria funziona così) e rimpiangendola come un momento prezioso del nostro passato di appassionati.

Una tappa di cui c'è tantissimo da dire, a partire dal bollettino post-pavé: ritirati ieri in corsa Jack Haig (Bahrain-Victorious) e Michael Gogl (Alpecin-Deceuninck), non partito oggi Daniel Oss (TotalEnergies) che ieri ha sbattuto pesantemente contro uno spettatore a bordo strada (e ha rimediato la frattura di una vertebra cervicale, fatto che non gli ha impedito di portare a termine la tappa). Ammaccati in tantissimi, a partire da Primoz Roglic (Jumbo-Visma) che ieri nella caduta si è procurato la lussazione della spalla, sistemandosela alla meglio da sé. Il peggio per lui pare alle spalle comunque.

La frazione più lunga del Tour de France 2022, la sesta, da Binche a Longwy per 219.9 km, ha visto bagarre sin dal fischio d'inizio, con tanti tentativi di attacco e la caduta di Mathieu Burgaudeau (TotalEnergies) al km 3, oltre alla sinistra presenza di Wout Van Aert (Jumbo) in testa al gruppo proprio mentre doveva partire la fuga. Sinistra per gli avversari, chiaramente. E niente, la maglia gialla si era messa in testa di fare cose, e allora ha dato una strappata al km 7 e ha fatto staccare per esempio Mathieu Van der Poel (Alpecin) e Guillaume Martin (Cofidis), poi presto rientrati, ne ha data un'altra al 12 e ha spezzato il gruppo (poi ricompattatosi al 15), quindi si è messo a inseguire un tentativo di Toms Skujins (Trek-Segafredo), Taco Van der Hoorn (Intermarché-Wanty) e Benoît Cosnefroy (AG2R Citroën), dopodiché si è calmato un attimo, ma solo per finta.

A inseguire i tre ci si è messo Tim Wellens (Lotto Soudal), poi raggiunto da Amund Grøndahl Jansen (Jumbo), intanto i fuggitivi volavano a 1' di vantaggio al km 26, ma niente, a Wout quella situazione chissà perché non garbava proprio, e ha ripreso a menare in testa al gruppo. Ci si è aggiunto pure Filippo Ganna (INEOS Grenadiers), con una trenata che ha sensibilmente riavvicinato i battistrada. Fatto sta che al km 39 la fuga risultava annullata. Tutto da rifare.

Van Aert era indiavolato, ha continuato a dare botte tremende e ha spaccato un'altra volta il gruppo al km 42, a quel punto il suo stesso compagno Jonas Vingegaard (Jumbo) e Tadej Pogacar (UAE Emirates) gli si sono incollati, hai visto mai che debbano succedere robe impensabili; del resto lo stesso Tadej si vedeva cadere come mosche intorno i gregari, March Hirschi e George Bennett in pesante difficoltà per esempio.

La situazione lì davanti è nuovamente rientrata, rapidamente. È partito allora Magnus Cort Nielsen (EF Education-EasyPost) per quella che sarebbe stata la quinta fuga di fila. A dargli man forte ben nove colleghi, Vegard Stake Laengen (UAE), Christophe Laporte (Jumbo), Stan De Wulf (AG2R), Kasper Asgreen (Quick-Step), Simon Geschke (Cofidis), Andreas Leknessund (DSM), Georg Zimmermann (Intermarché), Conor Swift (Arkéa Samsic) e Mads Pedersen (Trek), tanti bei nomi a cui poco dopo si è aggiunto pure Franck Bonnamour (B&B Hotels-KTM), 20" presi e non di più, la certificazione della prima ora di corsa frullata a 52.5 km orari di media, la caccia dei Bahrain, insomma la fuga è stata di nuovo annullata, al km 64.

E via di nuovo un tentativo dietro l'altro, poi dopo il km 70 l'improvvisa impennata di ritmo della Jumbo, con Steven Kruijswijk e il solito WVA. La risposta di Jakob Fuglsang (Israel-Premier Tech) e Quinn Simmons (Trek) al km 75. E allora "signori, abbiamo una fuga": mancavano solo 145 km al traguardo. Naturalmente a tre calibri del genere il gruppo non poteva concedere nulla, secondo su secondo andavano costruiti coi denti. Van Aert ha avuto un problema alla catena a frenarlo ai -135 ai piedi della Côte des Mazures ma è subito rientrato sugli altri due, Simmons ha preso i punti Gpm ai -133, ai -125 il vantaggio toccava i 3', di lì a poco arrivava la certificazione della media sulle due ore: 50.8.

Il vantaggio del terzetto è arrivato a un massimo di 4' ai -110, poi il gruppo ha cominciato a reagire in maniera convinta, aumentando il ritmo all'avvicinarsi del traguardo volante di Carignan ai -74, vinto da Van Aert su Fuglsang e Simmons e con Jasper Philipsen (Alpecin) a precedere Fabio Jakobsen (Quick-Step Alpha Vinyl) nel plotone transitato a 2'30" dai primi. Tre ore di corsa e la velocità media è finalmente scesa sotto i 50: solo 49.9, che pippe...

Ai -66, col vantaggio sceso sotto i 2', Fuglsang si è sfilato dagli altri due fuggitivi, si è fermato a fare un bisognino e ha aspettato poi il gruppo. In questa fase tirava molto la Bora-Hansgrohe, in particolare con Nils Politt. Wout e Quinn avevano da amministrare solo quei 2' scarsi, ma dire che ciò li abbia potuti fiaccare nello spirito, questo no. Hanno continuato a insistere, hanno portato quel minuto e cinquanta fino ai -40, pure dietro hanno però insistito, si moltiplicavano i team impegnati a tirare, la EF, la Alpecin. Troppa spinta dietro, 50" limati in 10 km, e ai -31 Simmons ha gettato la spugna su un falsopiano, totalmente svuotato. Wout ha tirato dritto, 1' da difendere, 30 km da coprire. Ci correggiamo: 1'05" da difendere, 25 km da coprire; perché quel matto, a questo punto, ha ripreso a guadagnare qualche briciolina anziché continuare a perderne, insomma si scoprì che Simmons negli ultimi chilometri gli stava fungendo più da zavorra che altro.

A quel punto, dopo una giornata di tale dispendio, il finale tutto sali e scendi non era propriamente il miglior amico di Van Aert, che a un certo punto ha iniziato ad accusare la maggior forza collettiva del gruppo, in inesorabile riavvicinamento quando le salitelle si son fatte più puntute, negli ultimi 20 km. Il secondo Gpm di giornata, la Côte de Montigny-sur-Chiers ai -16, ha ancora fatto in tempo a scollinarlo per primo, il RollingStone di Herentals, mentre il gruppo perdeva pezzi, velocisti come Caleb Ewan (Lotto) o Dylan Groenewegen (BikeExchange) o gregari che avevano tirato fin lì.

Ai -13 una caduta in gruppo, giù Kobe Goossens (Intermarché) che ha rischiato di buttare giù Roglic, a cui la gente continua ad andare addosso e poi dicono che è lui a cadere troppo; per sua fortuna stavolta è rimasto in piedi. Peggio è andata a Reinard Janse Van Rensburg (Lotto Soudal), che per la classica dinamica della reazione a catena è volato via dall'altra parte della strada, cavandosela con escoriazioni e abrasioni (invece Goossens ha picchiato forte il ginocchio). Sepp Kuss (Jumbo) se l'è cavata con un'escursione sull'erba, Valentin Madouas (Groupama-FDJ) mettendo piede a terra. La caduta ha comunque concorso a spezzare il gruppo.

La salitella di Cons-la-Grandville, nemmeno Gpm, è stato il punto in cui, ai -11, la pazza avventura di Van Aert è finita. Che fosse al lumicino era ormai chiaro da diversi chilometri, e nel finale della sua fuga Wout si è lasciato andare a grandi sorrisi, proprio di soddisfazione, di fierezza e autocompiacimento diremmo. L'hanno ripreso, lui si è fatto sfilare serenamente e ha salutato così, in maniera sensazionale, la maglia gialla: appuntamento al 2023.

Le cadute non erano finite, su uno spartitraffico assassino (se lo son trovato subito dopo una curva a destra ai -9), Aleksandr Vlasov (Bora) è finito per terra coinvolgendo anche Kévin Geniets (Groupama) e causando ulteriore sfilacciamento a quel che restava del gruppo. Comunque il russo si è rialzato e non ha tardato a rientrare, aiutato da diversi compagni; ai -8, in discesa, un allungo di Matej Mohoric (Bahrain) è stato neutralizzato dai BikeExchange, impegnati a promuovere le ambizioni di Michael Matthews.

Restava una salita prima della rampa all'arrivo: la Côte de Pulventeux ai -6, un muro di 800 metri su cui Alexis Vuillermoz (TotalEnergies) è scattato per guadagnarsi il diritto di arrivare per primo almeno ai piedi della côte finale, e poi chissà. In cima alla Pulventeux pure Pogacar è scattato, con a ruota David Gaudu (Groupama): voleva sentire come rispondeva la gamba, infatti non ha insistito, ma tanto ci son messi i suoi UAE a tirare tutti i 30-35 componenti del gruppo. Poi son passati gli Jumbo, Vuillermoz sempre con una cinquina di secondi di margine, finché sul punto duro della salita di Longwy, a un chilometro e mezzo dal traguardo, la UAE ha ripreso la testa con Rafal Majka, e subito il solitario battistrada è stato ripreso.

Majka ha continuato fino all'ultimo chilometro, poi ha passato il testimone a Brandon McNulty che a ruota aveva Pogacar tampinato da Tom Pidcock (INEOS). L'americano ci ha dato dentro, il gruppo si è ulteriormente selezionato, poi ai 400 metri Roglic ha pensato bene di partire, di anticipare, di provare a sorprendere il titolato connazionale. Poco ci ha fatto: Pogi l'ha affiancato ai 250 metri e non ci sono state più storie, il giovane è passato avanti con un bang ed è andato a sfogare tutta la felicità che gli scoppiava dentro con un'esultanza particolarmente eccitata.

Alle sue spalle Matthews si è accomodato al secondo posto, con pugnetto d'ordinanza sul manubrio, e subito dopo Bling è andato a complimentarsi ampiamente con Tadej, come accennavamo in apertura. Terzo Gaudu, poi Pidcock, Nairo Quintana (Arkéa), Dylan Teuns (Bahrain), Jonas Vingegaard (Jumbo), Daniel Martínez (INEOS), Roglic, Romain Bardet (DSM), Enric Mas (Movistar), Adam Yates (INEOS), Pierre Latour (TotalEnergies) e Neilson Powless (EF), tutti con lo stesso tempo. L'ultimo, Powless, aveva accarezzato per qualche chilometro il sogno - già sognato ieri - di vestire la maglia gialla dopo la resa di Van Aert; ma doveva fare i conti con l'insopprimibile vena di Pogacar.

Un buco di 5" l'hanno preso Geraint Thomas (INEOS), Vlasov, Alexey Lutsenko (Astana Qazaqstan), Rigoberto Urán (EF), Guillaume Martin (Cofidis), Michael Woods (Israel), Aurélien Paret-Peintre (AG2R), McNulty e Fuglsang; c'è chi ha pagato di più: 21" Damiano Caruso (Bahrain), 26" Louis Meintjes (Intermarché) e Mattia Cattaneo (Quick-Step), 2'37" Ben O'Connor (AG2R), ormai rassegnato ad attendere una fuga che lo riporti in auge (magari anche in classifica, se limita i danni in questi prossimi giorni). Van Aert è arrivato rilassato in un gruppetto a 7'28", chiacchierando amabilmente con Jakobsen.

La vittoria di Longwy porta in dote a Tadej Pogacar la testa della classifica con 4" su Powless, 31" su Vingegaard, 39" su Yates, 40" su Pidcock, 46" su Thomas, 52" su Vlasov, 1' su Martínez, 1'01" su Bardet, 1'02" su Gaudu, 1'05" su Quintana, 1'12" su Mas e Cattaneo, 1'15" su Fuglsang, 1'21" su Paret-Peintre; Martin paga 2'03", Caruso 2'11", Urán 2'14", Roglic 2'27", Lutsenko 3'01", Teuns 3'10", Meintjes 5'04", O'Connor 7'02". Domani si cambia scenario e si arriva in salita, anzi in "supersalita"... da Tomblaine a La Super Planche des Belles Filles, coi colli di Grosse Pierre e Croix a increspare l'avvicinamento alla rampa finale, che conosciamo bene sia per i primi 6 km, affrontati ics volte negli ultimi anni, che per l'ultimo, in sterrato e durissimo, visto nel 2019 (vinse Teuns e Giulio Ciccone, secondo, prese la maglia gialla). I chilometri totali saranno 176.3, diciamo che - ipotizzando lo svolgimento della frazione - ce ne saranno una centosettantina di troppo.
Notizia di esempio
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Marco Grassi
Giornalista in prova, ciclista mai sbocciato, musicista mancato, comunista disperato. Per il resto, tutto ok!