Editoriale

Caro Magrini, davvero Tiberi è sparito dopo l'iride?

25.03.2022 20:35
Su questi lidi ci avete sempre sentito spendere parole di sostegno nei confronti di giovani talenti, più raramente nei confronti di coloro i quali ne gestiscono la crescita. Perché il punto è esattamente questo: se un giovane atleta viene bruciato, consumato, male indirizzato, raramente è una sua colpa, ma piuttosto di chi lo ha educato a questo sport e fatto crescere; l'atleta, almeno in questo caso, è quasi sempre una vittima di chi lo ha consigliato in malo modo. Anche per questo bisogna stare molto attenti quando ci si occupa delle tante lacune del ciclismo giovanile, perché montare la polemica va innanzitutto a discapito dei ragazzi stessi: di questo abbiamo abbondantemente parlato nell'articolo sul caso Bardiani.

Stando a queste premesse ci teniamo a prendere atto di quanto detto da Riccardo Magrini, che durante il commento della quarta tappa della Volta a Catalunya ha fatto un apprezzabile excursus sul ciclismo giovanile, tema già più volte affrontato negli anni, provando a gettare luce su un serio problema del movimento ciclistico, non solo italiano, ma internazionale. Poi però nel suo ragionamento il commentatore di Eurosport ha messo un piede in fallo abbinando Antonio Tiberi a una frase piuttosto infelice: "Ha vinto il campionato del mondo, e poi? Non si è più visto".

La prima precisazione va spesa per smentire tecnicamente un giudizio affrettato: il ragazzo effettivamente non è ancora riuscito a vincere da quando è passato professionista (parliamo appena di una stagione e un paio di mesi) ma è ripetutamente comparso negli ordini di arrivo in corse progressivamente più prestigiose, esattamente come dovrebbe essere. Così l'anno scorso, oltre a fare gavetta in buona parte delle corse, era già apparso in top10 in tappe della Coppi e Bartali, del Giro di Polonia e del Giro del Lussemburgo, spesso nelle tappe più impegnative, nonché arrivando terzo in classifica generale al Giro di Ungheria. In questo 2022, com'è giusto che sia, sta compiendo un ulteriore salto di qualità e ha ottenuto ottimi piazzamenti all'Étoile de Bessèges, ma soprattutto proprio mentre si stava correndo la quarta tappa del Catalogna stava mettendo in campo un'ottima prestazione nella frazione più impegnativa della Coppi e Bartali portandosi al quinto posto in classifica generale provvisoria.

Se già possiamo ritenere inesatto dire che Tiberi sia sparito, bisogna anche sottolineare come possa essere inappropriato usare il frusinate come termometro per il nostro movimento. Siamo i primi a dire che il ciclismo giovanile ha dei giganteschi problemi, perché si bruciano le tappe, i ragazzi si allenano troppo e spesso si pensa solo ed esclusivamente al proprio orticino di squadra giovanile senza pensare ai ragazzi che ripongono fiducia in chi li gestisce. Tuttavia questo in riferimento a Tiberi è per l'appunto inappropriato, non fosse altro perché il ragazzo fin da quando era junior è stato "allevato" da "balie" che facevano già riferimento sia all'ambiente della nazionale - non a caso vinse il campionato del mondo - sia alla stessa Trek-Segafredo per la quale ha poi firmato il primo contratto da professionista. Tiberi è insomma un "prodotto" (passateci il termine, sappiamo bene che non è un oggetto) che non può essere ascritto in toto al nostro movimento giovanile, ma piuttosto ad ambienti mediamente più sani e lungimiranti, come avvenuto ad esempio per Filippo Ganna o Jonathan Milan, da sempre sotto l'attento occhio della nazionale per via degli ottimi risultati conseguiti nel ciclismo su pista. Approfittiamo di questa similitudine per ricordare come le prime due stagioni da professionista di Filippo Ganna (che aveva tra i 20 e i 22 anni) non siano state esattamente entusiasmanti, se dovessimo paragonarle ai risultati attuali; eppure adesso può a suo modo rientrare nella categoria dei grandi fenomeni del ciclismo contemporaneo, soprattutto se nelle prossime stagioni si cimentasse ulteriormente nelle corse in linea. Antonio Tiberi sta ottenendo questi piazzamenti addirittura in un'età che va dai 19 ai 20 anni (ne compie 21 a giugno).

Qualcuno potrebbe risponderci: e allora Evenepoel? Semplicemente non è un modello di cui si può tener conto, perché ha avuto un'apparizione del tutto anomala e dirompente e per il quale ci siamo peraltro sempre chiesti se venga correttamente gestito da tecnici e dirigenti. Forse la risposta potrebbe stare in Cian Uijtdebroeks, altra promessa del ciclismo belga che già a 16/17 anni, quando Remco doveva ancora vincere la prima corsa tra i prof, veniva detto "il nuovo Evenepoel", definizione di cui non riteniamo ci sia nemmeno bisogno di spiegare la stupidità; non a caso il buon Cian, già tacciato dai belgi di aver disatteso le aspettative nella categoria juniores (pensate come siamo messi), ha optato per andare alla BORA-Hansgrohe, più lontano da occhi indiscreti e sicuramente ben distante dalle isterìe di Lefevere. Non migliore è la sorte di Juan Ayuso, su cui i media spagnoli stanno caricando senza timore ogni genere di pressione, lamentandosi quando non gli viene concessa libertà e creando disagi all'interno della UAE Team Emirates, anche in questi stessi giorni che vedono lo spagnolo correre a fianco di Almeida in Catalogna.

Allora diciamocelo che per una volta in Italia ci siamo comportati meglio, tenendo Tiberi ben nascosto e favorendone una crescita lenta. Eppure le premesse non è che fossero da meno rispetto ai tre già citati: mentre Evenepoel faceva fuoco e fiamme nel mondiale juniores di Innsbruck, Tiberi, ancora al primo anno, è arrivato nono, nel gruppo che si giocava la volata per il quinto posto; lo stesso anno, pur avendo un anno in meno di Remco, era arrivato terzo a soli 40" dal belga nella cronometro del campionato europeo di categoria; l'anno dopo non poteva che vincere l'oro mondiale, con l'impresa clamorosa che tutti ricordiamo. Ci vuole pazienza, come ci vuole pazienza per il già promettente Van Wilder, belga coetaneo di Evenepoel che ha avuto la fortuna di essere parzialmente oscurato dal connazionale, almeno a livello mediatico. Ricordiamo sommessamente che Caruso è salito per la prima volta sul podio di un GT a 33 anni: con una battuta potremmo dire che Tiberi ha ancora 12 anni per riuscirci.
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Volevo fare lo scalatore ma non mi è riuscito; adesso oscillo tra il volante di un'ammiraglia, la redazione di questa testata, e le aule del Dipartimento di Beni Culturali a Siena, tenendo nel cuore sogni di anarchia.