Professionisti

Addio ad Ans: non ci mancherai

28.04.2019 21:14

Il cambio di percorso ci restituisce una Doyenne rivitalizzata e un finale aperto, in attesa di conferme nelle prossime edizioni


Tra i protagonisti dell’edizione numero 105 della Liegi-Bastogne-Liegi si poteva annoverare, già dalla vigilia, il nuovo percorso. L’annuncio del restyling della Doyenne era stato salutato con enorme entusiasmo dagli appassionati, frustrati dal susseguirsi, nel corso degli ultimi anni, di un canovaccio sempre uguale che aveva tolto smalto e fascino alla monumento più risalente.

L’eliminazione della Côte de Saint Nicolas e lo spostamento del traguardo dalla collina di Ans al Boulevard d’Avroy, nel centro cittadino, costituivano i fattori di maggior interesse e gli elementi fondanti l’auspicio di una competizione più briosa ed aperta a soluzioni diverse, finalmente affrancata dallo schema noioso rappresentato dall’incedere compatto di un gruppo in cui vigeva una rassegnata comunione d’intenti nel risolvere la corsa con una volata all’insù. A poche ore dal finale si può dire che le attese sulle potenzialità del nuovo tracciato siano state ripagate. Sebbene con qualche riserva.

Una Liegi uguale alle altre? Anche no!
A metà tra la paura di dover affrontare qualcosa di similare a quanto visto nel recente passato e il desiderio smodato di vedere sin da subito uno spettacolo radicalmente diverso, abbiamo assistito sospettosi al maturare del vantaggio della fuga di giornata, con la defezione di Dan Martin (a cui ha fatto seguito quella di Valverde) come unica breaking news di una fase primigenia di corsa in cui, comprensibilmente, il gruppo si organizzava per decidere le sorti dei fuggitivi. Se negli anni passati, però, l’evoluzione di questo schema è risultato di eccessiva ridondanza, non si può certo dire che l’edizione appena conclusasi abbia patito analogo prosieguo.
Al frazionamento determinatosi in prossimità della Côte de Saint Roch, quando di km al traguardo ne mancavano più di un centinaio, ha fatto seguito, infatti, un forcing dei Deceuninck che ci ha fatto letteralmente sobbalzare sulla sedia, destando entusiasmi a cui avevamo perso l’abitudine, almeno in questo contesto.

Il susseguirsi degli eventi non è stato tale da indurre a riferire di una gara “esplosa”, ma di certo non sono mancate fasi calde ed iniziative accattivanti, come quella che ha portato ai piedi del Rosier un gruppo di circa venticinque uomini all’interno del quale si potevano annoverare personaggi illustri (Nibali, Schachmann, Van Avermaet, Gilbert, Mas, tra gli altri). Il tentativo non è rimasto isolato ed ha avuto come seguito, una volta esauritosi, una nuova azione che ha colto in castagna i Deceuninck, costringendoli a un dispendioso inseguimento e a una Redoute sacrificante tanto per Mas quanto per Gilbert.

Sono queste solo alcune delle azioni di giornata, la cui credibilità è valutata adesso, a posteriori, ma che in corso d’opera non si può certo dire che abbiano lasciato noi spettatori impassibili, né convinti di assistere a una Liegi piatta come troppe ne abbiamo viste.

L'incidenza del fattore meteo nella valutazione del nuovo percorso
Ai fini di una valutazione quanto più lucida possibile del nuovo percorso, non può trascurarsi l’incidenza del fattore meteo. Il forte freddo e le precipitazioni che hanno investito il Nord Europa negli ultimi giorni, e che non hanno risparmiato la regione vallone, hanno influito in modo vistoso sulla corsa, aumentandone durezza e selettività sin dalle prime battute.

Un motivo d’indagine potrebbe legarsi, quindi, alle fasi primigenie e centrali della gara quando, sebbene la  la competizione si stesse dirimendo su un tracciato in linea con quello degli anni precedenti, lo spettacolo risultava parzialmente divergente rispetto alle passate edizioni. Viene da chiedersi, quindi, quanto abbiano influito le condizioni da tregenda e quanto diverso sarebbe lo schema tattico della Liegi in condizioni meteo più clementi.

Se, da un lato, appare inequivocabile il ruolo generato dal maltempo nella prematura eliminazione dei componenti più deboli del gruppo, d’altra parte non sembra riferibile solo all’elemento atmosferico un piglio generale più aggressivo rispetto al passato, di certo non risoltosi in una corsa esplosa molto lontano dal traguardo, ma comunque foriero di spunti tattici interessanti e meritevoli di attenzione, distanti da quell’atteggiamento rinunciatario definito dai più come “greggismo”.

Questa volontà di creare selezione, sebbene mitigata dalla scelta fiduciosa degli Astana di portare Fuglsang sano e salvo ai piedi della Roche-aux-Faucons, non appare quindi scollegata dalla consapevolezza di un nuovo finale. Una scelta forse corroborata dalla possibile interpretazione in base alla quale i Deceuninck (ma la mossa potrà essere replicata in futuro da altre squadre) abbiano tentato di indurire la corsa ai fini dell’eliminazione di fastidiose ruote veloci, che avrebbero potuto “salvarsi” sulla Roche aux-Faucons rivestendo poi il ruolo di mine vaganti nel finale. Una sorta di “strategia anti-Sagan”, sebbene in contumacia dello slovacco, che potrebbe replicarsi negli anni a venire costituendo una chiave tattica interessante e uno stimolo per aprire le danze sul nucleo di côte che anticipano la Redoute.

Una conclusione finalmente diversa
La certificazione di una Liegi diversa si è però avuta sulla Roche aux-Faucons, a cui facevano seguito quindici km finali ripartiti tra la conseguente discesa e un lungo tratto di pianura. Al di là del particolare esito della corsa odierna, è importante sottolineare come l’eliminazione del traguardo al culmine di Ans e la designazione della Roche aux-Faucons come ultima asperità di giornata costituiscano le chiavi di volta per garantire un finale di corsa fisiologicamente aperto a soluzioni diverse, al di là di ciò che accade nelle fasi antecedenti.

L’azione di Jakob Fuglsang, contenuto in un primo momento da Woods e Formolo, costretti poi ad alzare bandiera bianca e ad inseguire, mentre dietro si cerca una disperata organizzazione, rappresenta solo uno dei possibili esiti determinati dal nuovo finale di gara. Le alternative, a ben vedere, non mancherebbero (dalla cavalcata solitaria all’avvantaggiarsi di un gruppetto, dalla poca selezione che porta a una probabile volata a un colpo di mano in piano) e il solo fatto che esista un ventaglio di ipotesi da cui attingere, nel tentativo di prefigurare futuri showdown, conduce a ritenere ampiamente soddisfatta l’operazione di restyling.

Lo “storico” di Ans, al netto dell’ultimissima e insperata variazione sul tema per merito di Jungels e degli ex Quick Step, sembra quindi lasciar spazio a maggiore fantasia nella lettura della corsa, a cui sono collegate, a ben vedere, una buona quota delle aspettative che si generano alla vigilia sulla manifestazione. Se si guarda alla voce Milano-Sanremo, del resto, è possibile trovare conferme in tal senso: una corsa assolutamente chiusa per il 97% del proprio percorso, che vive e si alimenta dell’attesa generata da quanto può accadere dal km 282 al km 291.

Il nuovo tracciato della Doyenne, in definitiva, sembra che ne rivitalizzi il fascino e che, in qualche misura, ce la restituisca dopo troppi anni bui. In attesa di sciogliere le riserve, e di riscontrare la probabile varietà delle future edizioni, resta un adagio che appare inconfutabile: “Ans bye bye, non ci mancherai”.
Notizia di esempio
Cullaigh come Zabel, Joyce come Freire: la Rutland-Melton decisa dal colpo di reni