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Movistar dietro la lavagna, tutti dietro Cavagna

13.09.2019 17:28

Succede di tutto nella 19esima tappa della Vuelta, cadono Roglic e López, Valverde e compagni ne approfittano ma poi si rialzano: polemiche infinite. A Toledo vince Rémi con un colpo di classe


Diciamo che ci mancava una polemica bella e veemente per completare il quadro della Vuelta a España 2019, e oggi abbiamo avuto anche questo. Una polemica di quelle destinate a lasciare strascichi, nata da situazioni di gara e proseguita nel dopotappa con dichiarazioni al fulmicotone da parte di alcuni. Il tema della questione è uno di quelli che più scaldano gli animi da qualche anno in qua: fairplay o non fairplay? Come, quando, perché avvalersene, indicazioni e modalità d'uso. Non è un manuale da 100 pagine a 1000 lire, ma un concetto attraversato da una profonda evoluzione in tempi recenti.

Se un tempo non ci si facevano troppi problemi anche ad attaccare l'avversario che si fermava a far pipì, oggi c'è più cautela su questo fronte, e spesso in tempi recenti abbiamo visto la corsa neutralizzata autonomamente dai protagonisti in gara per aspettare questo o quel collega colpito da questa o quella sventura. Il fatto che non ci siano regole scritte sull'argomento fa sì che la cosa si presti a molteplici interpretazioni, con corrispondenti accuse di ipocrisia o di antisportività, a seconda di quale parte della barricata ci si trovi a dover difendere.

Oggi abbiamo avuto un caso che più limite non si può: la corsa non era lanciata, nel senso che il gruppo traccheggiava nell'attesa di riprendere la fuga del giorno. Una caduta nelle prime posizioni del plotone ha coinvolto tra gli altri la maglia rossa Primoz Roglic, la maglia bianca (e quarto della generale) Miguel Ángel López, e il sesto in classifica Rafal Majka. Un attimo dopo, davanti a tutti c'era già il trenino Movistar, pronto ad approfittare della situazione.

Sull'ineleganza dell'azione non ci piove. Sulla sua scorrettezza ci sarebbe da discutere, nel senso che se una cosa è legittima (non vietata dai regolamenti) non può tecnicamente essere scorretta. È su questo crinale che si innesta e si innesca la polemica, perché chi attacca si sente autorizzato a farlo, chi subisce l'attacco si sente defraudato a livello umano. Tutti avrebbero ragione, davanti a un giudice.

Non è facile prendere posizione per chi, come noi, ha sempre sostenuto che la corsa è corsa, e quindi ognuno dovrebbe essere libero di gareggiare come gli pare, ovviamente stando nei limiti del regolamento (cosa che la Movistar effettivamente ha fatto); però, come scritto sopra, questo è stato proprio un caso limite, nel senso che l'attacco dei Mov è stato diretta filiazione dell'incidente di Roglic, e la caduta non è avvenuta contestualmente a una tattica di gara già in attuazione. Insomma, diciamo che Valverde e i suoi avrebbero potuto risparmiarsi tale azione, ma non vanno considerati dei mostri se si sono azzardati ad attaccare la maglia rossa. È uno di quei classici casi divisivi, su cui possiamo discutere per ore prima di restare ognuno sulle proprie posizioni.

 

Le scelte della Movistar, le reazioni degli altri
La Movistar ha tirato per quasi 15 km dopo la caduta di Roglic, López, Majka e gli altri. Poi si è rialzata. Ma non perché sia sopraggiunta una consapevolezza sulla scorrettezza della manovra, bensì perché nell'ammiraglia spagnola si sono resi conto che la giuria non avrebbe applicato il barrage alle ammiraglie al seguito del gruppo Valverde, e ciò avrebbe inevitabilmente favorito il rientro dei corridori attardati (che erano arrivati ad avere oltre 1' di ritardo). Lamentele sono state espresse in maniera palese dai direttori sportivi del team, José Luis Arrieta in testa, ma c'era poco di cui lagnarsi, perché l'uso è proprio quello di non bloccare le auto al seguito in caso di cadute, come invece succede ogni volta che il margine tra due gruppi supera il minuto.

Tra una scia e l'altra, Roglic, López e gli altri sono rientrati sul gruppo dei Movistar, che si era praticamente fermato, e quindi il caso si è chiuso senza danni in classifica per chicchessia. Ma ciò non è bastato a placare gli animi, se è vero che da più parti del gruppo sono arrivate feroce critiche alla formazione spagnola: López è stato il più duro ("Si comportano sempre da stupidi"), ma anche i ds Jumbo hanno avuto da ridire a gran voce ("Siamo molto arrabbiati per quanto accaduto"). E non sono mancati i commenti degli addetti ai lavori che hanno assistito alla scena in tv, dal "Vergogna!" di Purito Rodríguez alla considerazione di Jesús Herrada ("Che Tony Martin tiri a tutta in discesa provocando cadute dall'inizio della Vuelta è invece lecito?"). Insomma, la spaccatura resta. E non mancheranno conseguenze, perché prima o poi qualcuno vorrà rendere (sportivamente) la pariglia ai Movistar, la quale a propria volta si era sentita defraudata in precedenza ("Al Tour nessuno ha aspettato Valverde quando è caduto!", ancora Arrieta). Una faida che in qualche modo, prima o poi, avrà nuovi capitoli.

 

Una fuga apparentemente innocua ma destinata al successo
La tappa, la 19esima della Vuelta a España 2019, Ávila-Toledo di 165.2 km, l'ha vinta Rémi Cavagna. Un gioiellino di 24 anni che ancora non si è espresso per quello che promette, ma che quest'anno, al terzo da professionista, ha incominciato a far vedere luminosi lampi di quello che sa fare. Passista di vaglia, pure veloce, nella Deceuninck-Quick Step ha avuto tutto il tempo per imparare da gente molto blasonata, e il numero esibito oggi è senz'altro importante: 160 km di fuga, di cui 25 in solitaria, resistendo al ritorno del gruppo lanciato sulla rampa di Toledo, e il tutto gestendo margini non esagerati. Insomma, una di quelle azioni che spesso vediamo nelle classiche di primavera, e che - c'è da scommetterci - lo stesso francese nato a Clermont-Ferrand proverà ad attuare in qualche importante gara di un giorno. Da oggi sa che vittorie del genere sono nelle sue corde.

Cavagna si era mosso dopo 5 km insieme ad altri 10: Silvan Dillier (AG2R La Mondiale), Domen Novak (Bahrain-Merida), Shane Archbold (Bora-Hansgrohe), Lawson Craddock (EF Education First), Bruno Armirail (Groupama-FDJ), Tsgabu Grmay (Mitchelton-Scott), Ben O'Connor (Dimension Data), David De La Cruz (Ineos), Nikias Arndt (Sunweb) e Peter Stetina (Trek-Segafredo). Archbold si è staccato abbastanza presto, gli altri 10 hanno raggiunto un vantaggio massimo di 3'35" al km 40, poi il gruppo li ha sensibilmente riavvicinati, tenendoli a una distanza di un minuto e mezzo per decine e decine di chilometri, nell'attesa di completare l'inseguimento nel finale di tappa.

A 67 km dalla fine la famosa caduta: andata giù mezza Jumbo-Visma (Primoz Roglic, George Bennett, Tony Martin che si è ritirato), e poi Miguel Ángel López (Astana), Rafal Majka e Jempy Drucker (Bora, il lussemburghese non ripartirà domani), David Bouchard (AG2R), Maxi Richeze (Deceuninck), molto malmesso, Sergei Chernetski (Caja Rural-Seguros RGA), Juan Sebastián Molano e Marco Marcato (UAE Emirates), con l'italiano costretto anche lui ad abbandonare la corsa.

La Movistar ha forzato, Roglic ha dovuto anche cambiare bici e si è poi dovuto impegnare per rientrare, tutto solo, sul trenino Astana che intanto rullava forte per riavvicinare il gruppo Valverde. Il margine dei fuggitivi (da cui si era staccato Novak) è sceso sotto il minuto, nei chilometri delle trenate Movistar, ma poi come detto il team spagnolo si è fermato, tutti son rientrati e i battistrada hanno potuto riallungare fino a +1'50".

 

Dopo i ventagli il capolavoro di Rémi Cavagna
Ma i numeri non erano ancora finiti: la pioggia delle prime ore di gara aveva lasciato spazio a un forte vento che ha fatto venire a più d'uno l'idea di continuare a far baccano. Tim Declercq (Deceuninck) ha messo in fila il gruppo, gli uomini Bora l'hanno direttamente frazionato tra i -35 e i -29, e anche in questo caso Roglic si è fatto trovare indietro, dovendo spendere ancora qualcosina per rientrare sul gruppetto in cui c'erano tutti i rivali di classifica. Comunque la strada era piuttosto arzigogolata, e il vento non è stato trasversale a lungo, per cui la situazione è presto rientrata entro canoni più ordinari.

Col gruppo dei big ricompattato, e i fuggitivi con un minuto e mezzo di margine, Rémi Cavagna ha deciso che era giunto il suo momento: a meno di 25 km dalla fine è partito come una scheggia dal drappello dei battistrada, e non l'hanno visto più. Gli 8 rimasti al suo immediato inseguimento hanno forse sottovalutato l'azione del francese, e solo a 6.5 km dal termine Arndt ha provato ad aumentare i battiti, muovendosi con Craddock (sui due poi è rientrato anche Armirail). Ma a quel punto il gruppo era vicino ai corridori intercalati, i quali sono stati ripresi tutti tra i -4 e i -2. Restava solo davanti Cavagna.

La strada saliva verso Toledo, e teoricamente nei tre chilometri conclusivi ci sarebbe stato lo spazio per recuperare molto terreno da parte del plotone. Ma qui Cavagna ha completato il proprio capolavoro, facendo tesoro del mezzo minuto che gli restava e respingendo a piene gambe il ritorno del gruppo, anticipato alla fine di soli 5". Un margine minimo ma contenente tutta la felicità del mondo per il meritevole Rémi.

Alle spalle del francese Sam Bennett (Bora) ha preceduto Zdenek Stybar e Philippe Gilbert (a completare il trionfo - l'ennesimo - Deceuninck) e Valverde; sulle prime era stato cronometrato un buco di 3" alle spalle dell'iridato, ma poi quel margine è stato annullato nell'ordine d'arrivo ufficiale, per cui tutti a 5" da Cavagna e top ten completata da Tosh Van der Sande (Lotto Soudal), Dylan Teuns (Bahrain-Merida), Tadej Pogacar (UAE), López e Roglic.

Classifica praticamente invariata con Primoz Roglic primo con 2'50" su Valverde, 3'31" su Quintana, 4'17" su López, 4'49" su Pogacar, 7'46" su Majka, 9'46" su Wilco Kelderman (Sunweb), 11'50" su Carl Fredrik Hagen (Lotto), 13'20" su James Knox (Deceuninck) e 21'09" su Marc Soler (Movistar). Domani la 20esima tappa sarà quella della resa dei conti: da Arenas de San Pedro a Plataforma de Gredos 190.4 km con 6 Gpm compreso quello (non durissimo) dell'arrivo. La particolarità della tappa - rispetto a quanto ci ha abituati la Vuelta - è che la salita più difficile è la penultima, il Puerto de Peña Negra che scollina a 34 km dalla fine: non pendenze estreme, ma 14 km di scalata con alcuni tratti più tosti che qualcuno potrà utilizzare come trampolino. Un nome tra gli altri? López.
Notizia di esempio
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Marco Grassi
Giornalista in prova, ciclista mai sbocciato, musicista mancato, comunista disperato. Per il resto, tutto ok!