Primož Roglič si gode il Trofeo Senza Fine
Giro d'Italia

Una Milano-Sanremo lunga tre settimane

Dopo tre settimane fatte di grandi attese e aspettative deluse, il fine settimana conclusivo del Giro d'Italia ha regalato un concentrato di emozioni unico e indimenticabile

Il Giro d'Italia ci ha regalato il suo meglio nel finale. Lo spettacolo a 360° della cronometro del Lussari ieri e la meraviglia dell'arrivo nel cuore di Roma - impreziosita dalla vittoria più emotivamente intensa che potesse esserci - hanno pochi eguali, forse nessuno, nella storia dei Giri che ho vissuto e che ricordo.

È stato un Giro molto tattico, fatto di attese seguite da interminabili attese interminabili seguite da attese snervanti; una sorta di Milano-Sanremo lunga tre settimane, con le Tre Cime a far da Cipressa, il Lussari da Poggio e la volata di Roma a richiamare quella in via Roma. Vale la pena vivere tante ore di noia, per vivere emozioni come quelle degli ultimi due giorni? Assolutamente sì, specie nel mondo "tuttoesubito" in cui ci troviamo a vivere: ben vengano un po' di sana noia e di salutare ozio! Alla fine ha vinto Primož Roglič, forse non il Roglič più forte di sempre, ma di sicuro il più scaltro. Avrà tanti difetti (ce li avrà davvero?), ma non lo si può certo accusare di essere un tipo distratto: al Tour 2020 Pogačar gli ha impartito una lezione durissima - che avrebbe tramortito un toro, non Rogla - e lui ha vinto un Giro disegnato in maniera molto simile a quel Tour, correndolo come Pogacar corse quel Tour - con un Kuss in più dalla sua parte, è bene ricordarlo.
Il battuto, lo sconfitto, il perdente è Geraint Thomas. Non voglio esagerare, ma fatico a ricordare un loser più cool di Mister G. Uno che a 37 anni (ma lui dice di sentirsene al massimo 27: beato lui) perde la maglia rosa a un paio di chilometri dal conquistarla dovrebbe distruggere tutto quello che gli capita tra le mani. Lui, invece, ha prima reso omaggio al vincitore come meglio non avrebbe potuto, poi ha aiutato l'amico fraterno Cavendish, pedalando in testa, solo per lui, per tutto il penultimo chilometro della tappa di Roma. «Visto che non ho vinto io, ho pensato di aiutare un fratello a farlo», ha detto pochi istanti dopo l'arrivo. Sarà che, per un non madrelingua inglese, capire cosa dice non è semplice; sarà che il suo modo di porsi e di essere non può essere colto al 100% da noi latini; sarà che il suo stile in corsa, certamente non tra i più spettacolari, non ruba l'occhio; sarà quel che sarà, ma ho sempre più la sensazione che il personaggio Thomas, ancor prima dell'atleta Thomas, sia uno dei più sottovalutati del ciclismo e non solo. Avrebbe meritato e meriterebbe una considerazione ben maggiore di quella che gli è stata riservata, almeno alle nostre latitudini.
Più che nel finale della crono del Lussari, G ha perso il Giro quando ha perso Sivakov, uomo che gli avrebbe consentito di interpretare la tappa delle Tre Cime in maniera molto più aggressiva. Va detto che un'altra caduta, quella di Tao Geoghegan Hart, aveva tolto di mezzo il corridore che, fino a quel momento, si era dimostrato più forte e quello che, ancor più di Evenepoel, avrebbe dato fastidio a Roglic. Ecco, più del ritiro per Covid di Remco, la strenua resistenza sul Bondone o la mostruosa prestazione negli ultimi due chilometri del Lussari, lo sloveno ha vinto il Giro nel momento in cui le ossa di Tao hanno fatto crack. Senza nulla togliere al suo trionfo, ci mancherebbe!

Se è vero che, oltre a Roglic e Thomas, la quasi totalità dei personaggi della Corsa Rosa 2023 non sono stati italiani - Derek "machicazzè?!" Gee II su tutti, ma anche Healy, Pinot, Denz, Leknessund e Cavendish - il bilancio dei "nostri" è stato più che positivo, tanto più pensando al precoce ritiro di Filippo Ganna. Il quarto posto di Damiano Caruso è il massimo che il siciliano potesse ottenere e, pur essendo arrivato senza sussulti, è da considerare un risultato più che positivo. Rimanendo in casa Bahrain, Jonathan Milan è stata la più piacevole sorpresa del Giro azzurro: non poteva che essere il ciclamino a evocare e premiare la sua ancora grezza potenza. Filippo Zana ha dimostrato, se mai ce ne fosse bisogno, che tra squadre Professional e World Tour c'è una bella differenza; non vincerà mai un Giro, non ci andrà nemmeno vicino e manco ci deve pensare, ma di soddisfazioni se ne potrà togliere parecchie in futuro. Come Alberto Dainese, a patto di trovare una squadra che punti su di lui e che gli dia quella fiducia e quella consapevolezza di cui ha un gran bisogno. L'altro vincitore di tappa italiano è quello che non ti aspetti, Davide Bais: in tanti - me compreso - si aspettavano potessero essere Fortunato e Albanese a centrare il bersaglio in casa Eolo-Kometa e, invece, è stato il trentino a riuscirci, per quella che è stato l'unico successo di una Professional a questo Giro (vedi sopra). Marco Frigo ci è andato vicino, ma ha trovato avversari tosti sulla sua strada. Si rifarà, anche se essere tipi tosti non basta: per informazioni, chiedere ad Alessandro De Marchi, a cui la cazzimma di certo non manca, ma che a Napoli e a Viareggio ha dovuto masticare amaro. Ho sofferto con lui, ma è anche per queste delusioni, per l'epica racchiusa anche nella sconfitta più atroce, che amiamo così visceralmente uno "sport di merda" come ciclismo.

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Nonostante tutto, il ciclismo è la mia unica passione.