Professionisti

Dietro le quinte della Movistar

06.04.2020 18:04

El Día Menos Pensado, coraggioso documentario sulla stagione 2019 del team spagnolo, svela come si lavori dentro una delle più importanti formazioni World Tour


Per i veri appassionati di ciclismo professionistico, il dietro le quinte dei team ha sempre rappresentato uno degli aspetti più affascinanti, futuro rappresentante dell'innato morboso interesse per quello che non si conosce, oltre la facciata della televisione e delle conferenze stampa. L'esperimento più interessante in questo senso negli ultimi anni è stato fatto dagli australiani della Orica-GreenEdge, che tra il 2012 ed il 2017 si prestarono a dei report giornalieri delle corse più importanti alle quali prendevano parte, che venivano pubblicati su Youtube: tale rubrica si chiamava "Backstage Pass" ed ha permesso di testimoniare i momenti più intensi del sodalizio australiano, a cominciare dalle vittorie di Gerrans e Hayman a Milano-Sanremo, Paris-Roubaix e Liège-Bastogne-Liège, oltre che a svelare all'esterno la filosofia del team.

El Día Menos Pensado (Dietro la prossima curva è il titolo italiano) eredita molto da questa esperienza, sollevando l'asticella verso un prodotto più delineato: un documentario in sei puntate che descrive la stagione 2019 della Movistar, ossia una delle squadre più importanti e vincenti al mondo, specialmente nelle corse a tappe. Distribuito dal più popolare broadcaster mondiale di serie Tv, ossia Netflix, a partire dal 27 marzo, El Día Menos Pensado parte da una suggestione degli sponsor del Movistar Team, quando hanno avuto modo di osservare il lavoro della squadra di ciclismo e si sono sentiti immedesimati nella professionalità del progetto ormai quarantennale di Eusebio Unzué, ritenendo opportuno renderlo pubblico.

La sfida: raccontare il proprio lavoro senza falsa retorica
Per realizzare un prodotto del genere, a prescindere dall'alta qualità di montaggio e ripresa implicita per un tale tipo di produzione, i registi Marc Pons e José Larraza hanno dovuto sfidare uno dei principali tabù del mondo ciclistico, l'orgoglio estremo di chi dirige e gestisce una squadra ciclistica e non tollera che si lavino in pubblico i panni sporchi. Un veto in questo senso avrebbe ridotto El Día Menos Pensado in un mediocre prodotto propagandistico: invece nel documentario le tensioni e le frizioni avvenute all'interno del team nel montaggio al pari passo con i successi e le gioie, con una ragionevole limitazione dei filtri.

Nella realizzazione di ciò aiuta avere al centro una figura come Unzué, un manager che si è sempre distinto per compostezza e serenità, l'antitesi di un Lefevere per esempio, che lascia fare e parlare tutti quanti dal primo all'ultimo, senza negare la possibilità di aver fatto preso delle decisioni sbagliate. Quasi tutta la narrazione verte attorno al core business della squadra, ovvero le grandi corse a tappe, focalizzandosi di conseguenza sui suoi quattro capitani che hanno lottato lo scorso anno in Giro, Tour e Vuelta, più il capitano del futuro Marc Soler.

Cosa scopriamo degli uomini della Movistar: Landa il personaggio più interessante
La parte più stimolante del documentario è sicuramente quello rappresentato dalla psicologia dei suoi più importanti atleti. E visto il recente successo mondiale, è inevitabile partire da Alejandro Valverde, il quale si svela meno immune di quanto sembrasse da fuori della maledizione della maglia iridata: il suo racconto conferma come la "maledizione" non sia una semplice etichetta o un fatto scaramantico, ma un fenomeno psicologico comune tra i campioni del mondo, riflesso di tutto il contorno che si genera quando indossi la maglia più bella del mondo.

Una fetta importante del documentario, quasi due puntate, sono dedicate al principale successo stagionale, quello del Giro d'Italia, dove emerge in tutta la sua drammaticità la figura di Mikel Landa, insospettabilmente la figura più stimata da compagni e staff tecnico a livello professionale, dopo Valverde naturalmente. Il guaio di Landa, come si immaginava e si subodorava, è tutto nella sua testa, nella sua negatività ed incapacità di perdonarsi alcunché. In totale antitesi con quella di Richard Carapaz: perennemente sereno e leggero, eppure così estremamente determinato e sicuro di sé (come pochi altri visti correre secondo García Acosta), in una sola parola assertivo. Due caratteri così diversi che però lavoreranno in totale sinergia assieme ad un gruppo affiatato, e anche grazie a questo giungeranno alla vittoria finale.

Tutte le negatività, dalla freddezza di Quintana all'irriverenza di Soler
Dai fasti del Giro si passa ai disastri del Tour, dove gli errori di preparazione, comunicazione e tattica si moltiplicano: un merito del documentario è quello di far emergere chiaramente la differenza tra il gruppo del Giro e quello del Tour. Il rapporto tra la Movistar e Nairo Quintana somiglia tanto a un rapporto sentimentale in crisi, nonostante abbiano superato il settimo anno insieme, e come in molti amori ormai sopiti, il sintomo più evidente della crisi è l'incomunicabilità: Nairo che non riesce a comunicare ai compagni la prossima crisi sul Tourmalet, la squadra che ormai non esprime più il suo disappunto per l'ennesimo grande giro andato sotto le aspettative.

Paradossalmente, con la separazione ormai in atto le cose alla Vuelta andranno un po' meglio: lì il capitano doveva essere Marc Soler, ma il catalano risulta ancora troppo immaturo per tale ruolo. Irriverente (al punto da prendere in giro anche la sacra pelata di Valverde) e senza peli sulla lingua verso compagni e direttori sportivi, sarà protagonista del momento di maggior tensione di tutto il documentario, il rifiuto a rialzarsi nella tappa di Andorra che stava tentando di vincere. In José Luis Arrieta trova la sua perfetta antitesi: un direttore sportivo severo, che non le manda a dire a corridori e avversari, e di scuola Echevarriana, poco propenso a far ragionare i corridori fuori dagli schemi.

Agli antipodi con Vicente García Acosta, più spiritoso, fraterno e protettivo nei confronti degli atleti. Il terzo degli eredi di Echavarri, Pablo Lastras, si colloca a metà strada tra i due: più freddo di temperamento rispetto al sanguigno Arrieta e al caloroso García Acosta, liquida col massimo distacco Carapaz quando divorzia col team. Tutti ex gregari della Banesto: dai modi, qualcosa lascia presagire che anche Imanol Erviti seguirà i loro passi.

Bello o brutto, da vedere o non da vedere?
In tempi di quarantena, El Día menos Pensado è sicuramente un espediente accattivante per gli appassionati in crisi di astinenza da corse ciclistiche. È sopratutto un prodotto serio, accurato nella qualità del prodotto presentato e della narrazione, fatto in maniera tale da non prestarsi necessariamente ad un pubblico di soli addetti ai lavori. Se si vuole cercare dei difetti, li si deve trovare in cosa si è scelto di narrare e cosa no: difficile eccepire sul fatto di aver tenuto fuori quasi del tutto la componente classiche dato che di fatto non rappresenta l'interesse principale del team.

Però sarebbe stato intrigante, e forse anche più interessante rispetto ad altri dettagli su Giro, Tour e Vuelta, ripercorrere in maniera più approfondita quello che avviene nei ritiri delle squadre: quello che noi vediamo nel documentario è un gruppo già formato, fatto e finito, non vediamo tutto il lavoro che c'è prima ed è un po' strano dato che l'idea nasce dal voler mostrare proprio l'aspetto della costruzione, del lavoro metodico, della professionalità di un team ciclistico.
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