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Quintana, è finito il tempo delle meline

10.07.2016 22:19

Nairo delude per troppo attendismo in un Tour de France che lo aspettava finalmente come protagonista assoluto


Come per fare all'ammore, anche per fare greggismo basta essere in due. Un pastore e una pecorella. O, in termini ciclistici, una maglia gialla che mette la sua squadra a tirare il gruppo; e un principale rivale che si guarda bene dal mettere il naso fuori dal gruppo medesimo.

Nairo Quintana è croce e delizia degli appassionati. Delizia per l'hype che accompagna ogni suo avvicinamento a un appuntamento importante (e quale appuntamento è più importante del Tour?), delizia per le sue vittorie nelle corse minori, praticamente inesorabili, ogni volta che consuma la traversata transoceanica per scendere in Europa a illuminare la scena, delizia per il suo approccio disincantato, serafico, alle cose del ciclismo.

Croce perché poi lo vedi correre e ti ricordi che forse avevi appuntato troppe aspettative sul suo capoccione, ti ricordi che Nairo è più ragioniere che rivoluzionario delle due ruote, è un ragazzo a posto, senza troppi grilli per la testa, ma ciò lo condanna a un grigiore che da un latino non ti aspetteresti mai. Ma forse è anche questa una forma - sottile - di razzismo: pretendere che qualcuno sia fatto per forza in un certo modo solo perché proviene da una certa terra.

 

L'occasione d'oro sfumata nel 2015
Quintana ribalta ogni stereotipo. Tanto sventati sono stati - tatticamente parlando - alcuni suoi celebrati connazionali in passato, tanto lui è avveduto e anzi diremmo praticamente sparagnino. Non fa una pedalata in più di quel che deve, non concede allo spettacolo alcunché di gratuito, almeno da quando è diventato un deus ex machina delle grandi gare a tappe.

L'anno scorso, a posteriori, si è reso conto che con un pizzico di intraprendenza in più (gli sarebbe forse bastato seguire Nibali sulla Croix-de-Fer) il Tour l'avrebbe portato a casa; certo forse ciò sarebbe costato il podio al suo amico e coéquipier Valverde; e l'immobilismo di Nairo venne interpretato come la volontà di rispettare fino in fondo le consegne del team, di essere leale anche a costo di danneggiare le proprie (legittime) ambizioni.

Una lettura che si inscrisse perfettamente nel ritratto di un uomo tutto d'un pezzo, uno la cui parola ha più valore di 100 firme.

 

I Pirenei lasciati scorrere invano
Poi arriva il Tour de France 2016 e il problema di salvare il podio di Valverde non sussiste più. Stavolta la Movistar è tutta, senza infingimento alcuno, al servizio del suo capitano unico venuto dalla Colombia. Al punto che lo stesso Aliejandro, contravvenendo a tutti i dogmi della sua carriera, si propone in una fuga kamikaze a 175 km dal traguardo del terzo di tre tapponi pirenaici in serie.

Nelle due giornate precedenti il buon Nairo è stato a guardare, tranquillo all'ombra di Chris Froome. Per la verità, è stato a guardare pure troppo, visto che si è fatto sfuggire l'avversario in cima al Peyresourde, e quello se n'è andato a conquistarsi la maglia gialla.

Ma l'attivismo della Movistar in questo terzo tappone (che poi era quello di oggi, tanto per sviscerare) lasciava presagire grandi cose sulle salite del finale di frazione. Poi però le cose hanno preso un'altra piega. La Sky, al contrario di quanto fece tre anni fa sulla via di Bagnères-de-Bigorre, non si è disintegrata, non ha perso la testa, ma il suo capitano ha avuto la saggezza di aspettare il rientro dei compagni dopo la prima salita di giornata; e lì è cominciata la tappa come più piace ai nerazzurri sudditi di Sua Maestà la Regina: ovvero loro a tirare, a macinare, a indurre Valverde a rialzarsi dalla fuga (pur lasciando in avanscoperta due compagni, Herrada e Anacona), e poi però pronti ad addormentare la corsa, a lasciare che la fuga stessa prenda irrimediabilmente il largo, e infine a imporre il ritmo su ogni scalata, preparando l'eventuale stoccata-fine-di-mondo di Froome.

 

Anche ad Andorra la montagna non ha partorito nulla
In tutto questo armeggiare degli Sky, ci si aspettava che Quintana facesse capolino sul Col de Beixalis, penultima salita odierna; che si avvantaggiasse, per poi trovare strada facendo i citati Anacona e Herrada, destinati (sempre nelle nostre teorie) a tirare per lo Sciamano nei primi chilometri dell'ascesa ad Andorra Arcalis, praticamente in falsopiano.

Nulla di tutto questo è avvenuto. Quintana è rimasto buonino alla ruota di Froome sul Beixalis. È rimasto alla ruota di Froome pure sull'Arcalis, e a quel punto è risultato chiaro che l'ennesima pascolata pirenaica di questi ultimi anni non avrebbe prodotto praticamente nulla a livello di spettacolo. Così è stato.

Froome ha frullato nel finale, ma poca cosa rispetto ai suoi standard noti, infatti non ha fatto il vuoto. Nairo (e come lui anche Richie Porte e anche qualcun altro, ad esempio Dan Martin e Adam Yates) ha ben resistito alla ruota dell'inglese. Ha risposto talmente bene allo scatto di Chris che ci siamo chiesti: ma con questa gamba che aspettava a scattare lui? Vai a sapere.

Frumy non è stato trascendentale, ha fatto benino ma non ha scavato voragini neanche nei confronti dei corridori che non sono riusciti a tenere il suo attacco. La classifica è ancora tutta racchiusa in un fazzoletto di secondi (che immagine linguisticamente orrenda...), tutto può succedere ma ci sono alcuni particolari da definire.

 

Le criticità che Quintana affronterà con Froome
Il primo particolare riguarda l'uscita alla distanza dei due principali contendenti del Tour: Quintana ci ha abituati a venir fuori fortissimo nella terza settimana, contestualmente a un leggero calo dell'altro. Ma quest'anno le fanfare di casa Sky ci hanno fatto sapere che la preparazione di Froome è stata improntata affinché il ragazzo esca pure lui forte sul lungo termine, visto che poi dopo il Tour c'è l'obiettivo olimpico che vale pure per lui.

Quindi la prima questione si risolve in un grande dubbio: se Quintana sperava di far la differenza rispetto a Froome sulle Alpi, sappia che la strada potrebbe non risultargli agevole come in passato.

Il secondo particolare riguarda l'esperienza che, a quanto pare, non ha insegnato troppo al colombiano: 12 mesi fa fu proprio l'attendismo esasperato a costargli la vittoria nella Grande Boucle, e quest'anno lui che fa? Mette in scena un'altra ode all'attendismo.

Da parte sua, Nairo potrebbe invece farci notare che nel 2015 a questo punto della corsa il ritardo che pativa da Chris era superiore ai 3'; stavolta invece si conta in poche decine di secondi (23", per la precisione). Ma d'altro canto le crono che attendono i corridori nei prossimi giorni dovrebbero - almeno sulla carta - rappresentare per Froome un jolly che l'anno scorso di fatto mancò (ci fu una sola breve crono individuale in apertura). Inoltre, ci sarà un arrivo sul Mont Ventoux, salita in cima alla quale potremmo issare una scritta Hollywood-style recante il nome dell'attuale maglia gialla, tanto sono congeniali all'anglokenyano quelle rampe (sulle quali Chris scrisse una pagina indimenticabile - forse la più gloriosa - della frullata applicata al ciclismo).

 

Nairo, è ora di svoltare seriamente
In definitiva, ci ritroviamo con un Quintana che a 26 anni non ha ancora vinto un Tour, e che si comporta come se non gli interessasse più di tanto neanche conquistare quello in corso. Pare che Nairo dica "se viene, viene; se non viene, bene lo stesso". Fatica, l'inca della Movistar, a tirar fuori la testa dal sacco, a dare sfogo a quello che ha nelle gambe. Attende.

Non vorremmo che, ancora una volta, stesse costruendo egli stesso le premesse per una nuova sconfitta. Non tanto perché il Tour debba vincerlo lui (Froome sarebbe un degnissimo vincitore; tutti gli altri, almeno per quanto visto sin qui, non paiono all'altezza di ambire al titolo); ma semplicemente perché se Quintana decide di voler davvero conquistare il Tour, senza lasciare nulla di intentato, il pubblico si gioverebbe di uno spettacolo che finora è mancato. Di quella sfida faccia a faccia tra Chris e Nairo che attendiamo da tempo compiersi in tutto il suo splendore, ma che ancora non abbiamo visto dispiegarsi.

In ogni caso, siamo qui e ci staremo per altre due settimane. Al termine delle quali, ogni indulgenza nei confronti del simpatico colombiano verrebbe archiviata. Non è più tempo di strizzate d'occhio, ma di risultati sonanti. E se quei risultati non li persegue un fuoriclasse come Quintana, chi mai dovrebbe?
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Marco Grassi
Giornalista in prova, ciclista mai sbocciato, musicista mancato, comunista disperato. Per il resto, tutto ok!