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Jan Polanc, sloveno coraggioso

10.05.2017 12:37

Nella carriera del 25enne della UAE Team Emirates ci sono fughe, salite e tanta Italia


L'Etna è come un padre burbero e protettivo. Si staglia elevato a proteggere con la sua mole scura quasi la Sicilia intera, dall'alto della sua cima svettante oltre tremila metri. A vederlo in certe giornate l'imperturbabilità parrebbe una qualità a lui familiare, così lontana dall'indole incazzosa e fiammeggiante che ne caratterizza i periodi più turbolenti, con quelle piogge nerastre sparse giù dalle pendici con l'ausilio del vento che paiono rimandare ad una Sicilia d'altri tempi.

Apprezza il coraggio però, l'irrequieto Mongibello, in perenne contrasto con quella calma apparente a cui poc'anzi facevamo riferimento, tanto che a fine giornata la perfetta opposizione tra esito della corsa e sfida tra i protagonisti più attesi di questo Giro numero 100, finendo col premiare chi più di tutti avesse reale volontà di marchiare col fuoco (in questo caso verrebbe proprio d’affermarlo) il proprio nome in vetta al vulcano più elevato d’Europa nel proprio rapporto con la corsa rosa.

Appena due chilometri dopo essersi lasciati alle spalle la splendida Cefalù è nata quella che sembrava essere l'ennesima avventura come tante dell'entusiasmante racconto del Giro d'Italia, in cui la gloria si distribuisce equamente tra campioni e gregari, fenomeni e comprimari, sovrani e cortigiani. Pavel Brutt è sovente abituato alla routine di fuggiasco da gran tour, accompagnato da Jacque Janse Van Rensburg e dal suo curioso scioglilingua che si origina nel pronunciarne per intero il nome. Con loro anche Eugenio Alafaci, faticatore dall'aria vintage testimoniata da un baffetti quasi impertinenti.

Jan Polanc eroe di giornata
Poi, Jan Polanc. Sloveno. Amante di salite e di traversate. Le sue fughe sembrano inesorabili come un fiume in piena ma per poter pensare di arrivare a destinazione dopo aver percorso due soli chilometri di tappa ce ne vuole altroché d'immaginazione. Eppur lui scatta, stantuffa, trova anche il tempo di litigare con Janse van Rensburg in vetta alla Portella della Femmina Morta (e dire che la macabra nomenclatura direbbe che non ci sarebbe alcuna bella ragazza per cui duellare lassù) per accaparrarsi qualche punticino buono per la classifica dei grimpeurs. Scivolano in successione strappetti e discese, curve e brevi rettilinei, così come la bellezza fascinosa di Bronte, Adrano e Biancavilla (qualcuno, nel gruppo che insegue, scivolerà per davvero).

Dopo Nicolosi, il gigante attende e non si può più aspettare. Giù un dente e si saltella sui pedali. Alafaci ha salutato da un pezzo, Brutt poco prima, Janse van Rensburg fa altrettanto. Incomincia la sfida col gruppo sonnacchioso, con oltre tre minuti di margine. Una sfida fatta di contorsioni e incitamenti, di convinzione e d'ideali grida di dolore, di suppliche al destino per arrivare su in cima e consapevolezza di esser sul proprio terreno d'elezione, al punto da sfidare anche la furia del vento, che pure aveva già fatto il suo in quel di Cagliari. Tutto questo c'è stato nel secondo capolavoro sfornato da un giovanotto neoventicinquenne (anni compiuti il 6 maggio scorso) che il pubblico italiano scoprì due anni fa sull'Abetone. O forse un po' prima.

Jan e l'Italia: un rapporto speciale
Già perché Polanc il nostro Paese ha finito con il portarlo sempre un po' nel cuore, dopo aver ereditato la passione ciclistica da papà Marko, ex corridore di buon livello soprattutto in terra balcanica e divenuto poi tecnico giovanile, tanto da guidare anche Jan verso il suo sogno di diventare un corridore protagonista. Un viaggio cominciato da Kranj e proseguito in giro per l'Europa, col Bel Paese a tracciare molte delle tappe più interessanti. Come a Fosdinovo, in un giorno di settembre del 2010, quando conquistò la tappa più dura del Giro della Lunigiana, vale a dire una delle competizioni più sentite dagli juniores, per poi arrivare ad un passo dal sogno iridato ad Offida nello stesso anno, teatro del campionato del mondo, concluso poi in quinta posizione.

Che dire poi del Piccolo Giro di Lombardia del 2012, la prima importante affermazione ottenuta tra gli Under 23, quando giunse in perfetta solitudine ad Oggiono, staccando validi corridori che oggi condividono con lui in gruppo le dure tre settimane di Giro d'Italia? Tra tante belle prestazioni però spicca il suo splendido volo verso il Monte Matajur nel maggio 2013 (eh si, in questo mese, sarà perché è anche quello in cui è venuto al mondo, sembra dare davvero il meglio di sé), quando con un bellissimo attacco in salita andò a prendersi il successo finale nel Giro del Friuli-Venezia Giulia, colto a due passi da casa e tra quei monti su cui si son scritte pagine di storia esaltante e dolorosa al tempo stesso.

Nulla però di realmente paragonabile a quel 13 maggio 2015, quando Jan fuggì presto dopo La Spezia, in compagnia di altri validi pedalatori (su tutti Sylvain Chavanel) per tentare l'impresa più bella, lui che di fatto non aveva ancora vinto tra i professionisti. Scelse proprio l'Abetone, la salita su cui iniziò, nel 1940, a propagarsi l'aura leggendaria di Fausto Coppi, per poter sancire il suo battesimo tra i grandi. Proprio come in questa occasione il vantaggio sul gruppo andato a stabilizzarsi, la reazione dei big avvenuta tardivamente e lui, che allora vestiva la casacca della Lampre, a tener duro e stringere i denti per poter finalmente alzare le braccia al cielo, con la maglia blu di miglior scalatore in dote per qualche giorno (anche sull'Etna stesso copione).

Un capolavoro per un'UAE Team Emirates che vuol lasciare il segno
Stavolta sono stati 179 chilometri di cavalcata esaltante, utili a regalarsi il secondo timbro personale nella corsa rosa e la prima, storica affermazione dell’UAE Team Emirates sulle strade del Giro d'Italia. Del resto le ambizioni della formazione presieduta da Beppe Saronni erano apparse già chiare qualche giorno fa, quando in vece di Sacha Modolo era stato Roberto Ferrari a sfiorare il gran colpo a Tortolì, sopravanzato soltanto da André Greipel.

Che arrivino anche gli acuti dello stesso Sacha, dell'atteso Rui Costa o anche dovessimo confrontarci con l'interessante vitalità di Simone Petilli o Edward Ravasi lo scopriremo nelle prossime giornate. Per adesso ci si gode la tenacia e il coraggio di Jan Polanc, che al cospetto dell'Etna si è mostrato ancora una volta grande, lottatore e con pochi fronzoli. Il gruppo, almeno per questa volta, ne prenda atto.
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