Thibaut Pinot tra i suoi tifosi all'ultimo Giro di Lombardia © RCS Sport
Sogni in Bicicletta

Amarsi un po'

Omaggio a Thibaut Pinot, che sulle strade d'Italia ha visto transitare momenti fondanti di una carriera sempre sospesa tra sogni, voli e brutali atterraggi. Ma a lui è andata benissimo così

20.11.2023 16:47

"...Amarsi un po'
È un po' fiorire
Aiuta sai
A non morire
Senza nascondersi
Manifestandosi
Si può eludere
La solitudine..."

(Lucio Battisti)

La Boccola s'inerpica cattiva col suo particolare ciottolato sconnesso. Come se all'improvviso un angolo di Fiandre o di Ardenne venisse catapultato in Lombardia. Eppure ci si va ad inoltrare in tutta quella bellezza che Bergamo Alta può offrire, con una sorta di fugace carezza che dal belvedere si spande a tutto quel resto che si spalanca alla vista. Il romanticismo si confonde improvvisamente nelle grida, nella gioia che deflagra dopo la spasmodica attesa al passaggio dei corridori. Anzi, probabilmente diremmo che il romanticismo vero è lì, in quelle manifestazioni popolari così schiette e spontanee.

I primi sono già transitati con impeto ed è ormai chiaro che anche questa volta sarà Tadej Pogačar a trionfare nel tripudio. Eppure in centinaia sono lì per qualcun altro. In centinaia sono arrivati con largo anticipo già dal giorno prima e la Città Alta l'hanno animata con allegra e contagiosa baldoria. In centinaia, anche se sembrano milioni, sono arrivati per Thibaut Pinot e per quell'ultimo passaggio. Per quei secondi d'intensissimo e stupendo casino architettati a regola d'arte per offrire il degno saluto e commiato per una carriera che vive gli ultimi chilometri.

A Thibaut, sostanzialmente, va benissimo così. Sospeso in quel meraviglioso limbo in cui dimorano i sognatori arditi e malinconici, se proprio non può vincere preferisce "farsi di gente" (espressione che prendiamo in prestito dal cinema ma con accezione ben diversa da quella che avrebbe caratterizzato il noto Begbie di Trainspotting). Ci si sente acclamati nei voli solitari in cui l'odore del capolavoro permane forte per svariati minuti, prima di svanire in qualche luccicone nel momento in cui il tutto si concretizza nel "volo del niente".

Eppure, tanto a Bergamo quanto nell'amata Alsazia in luglio, verso Le Markstein, le travolgenti "ondate di casino" vanno ben oltre qualsiasi concetto di vittoria. Qualsiasi rimando ad albi d'oro o scontro tra Titani. Tutto si risolve in quell'"amarsi un po'". In quell'essere sopravvissuti a tempeste interiori e attese di bestseller gialli (intesi come la sospirata vittoria transalpina alla Boucle, che dal 1985 ancora ha da venire) che in una visione più cinica e concreta potrebbe offrire i tratti dell'incompiutezza. A Thibaut, come detto, va benissimo così. È andata benissimo così.

Non è un caso che il cerchio si sia chiuso proprio qui, in Italia. Qui, nel 2009, Pinot conquistò il Giro della Valle d'Aosta appena diciannovenne alla prima stagione da Under 23, aprendo scenari entusiastici e contribuendo anch'esso a quella ventata nuova che nel ciclismo degli anni Dieci del Duemila avrebbe portato la "classe Novanta" (affascinante quanto problematica nei suoi principali esponenti). Il percorso verso quel successo destinato per tanti ad arrivare cominciava proprio da qui e avrebbe dovuto condurre a quella maglia gialla che avrebbe mandato in visibilio un intero Paese e consegnato ai posteri un talento a dir poco cristallino.

Eppure quanto ci ha tenuto legati a sé Thibaut, nonostante il Tour l'abbia eletto a novello Godot. Quanto ci è piaciuto vedere la sua caparbietà negli attacchi unita alle sue fragilità, a quelle paure paralizzanti (ricordate la questione dell'elevata velocità in discesa?) sopraggiunte perché il ciclismo troppo spesso non ammette il ballo lento e quella razionalità che viene sopraffatta dall'altrui scaltrezza. Quanto abbiamo sostanzialmente apprezzato quella sorta di rigetto venuto dopo quel podio del 2014 nonostante poi, cinque anni dopo, si sia ripresentata l'occasione della vita.

Thibaut si è accorto di amare in maniera viscerale le nostre terre e noi ci siamo resi conto di essere perfettamente disposti a ricambiare il suo sentimento: la tappa di Asiago al Giro d'Italia 2017, la Milano-Torino, il Lombardia rimasto uno dei momenti più belli e più alti, il Tour of the Alps e l'ultimo Giro con quella vittoria cercata ad ogni costo ma sempre sfuggita, anche sbraitando e litigando sulla strada come a Crans Montana (anche la Svizzera una buona parte nella vicenda sportiva di Pinot l'ha avuta) o lottando fino all'ultimo metro con Zana a Val di Zoldo. Fino alla maglia azzurra, premio consolatorio ma a suo modo emblematico.

Dolore fisico (le cadute, gli infortuni nel momento topico) unito al dolore dell'anima e quel sentirsi così fuori posto in un ciclismo iperspecializzato come quello odierno, dove si vorrebbe ancora trovare modi e tempi per evadere e fidarsi unicamente delle proprie sensazioni. Quell'evasione che per Thibaut è stata sempre rappresentata dalla natura, dalla campagna, dalla volontà di avere una fattoria tutta sua per poter vivere in estrema tranquillità e armonia.

Nell'ossessiva ricerca di perfezione la meravigliosa imperfezione di Pinot è stata una di quelle costanti che hanno sempre prodotto una reazione di simpatia (nonchè d'empatia), per cui il romanticismo riaffiora ed esplode nel boato di un tornante sulla Boccola, con la nobile scorta dei gregari verso l'ultimo traguardo. Italiano e francese che si mescolano nelle parole ben scandite. Thibaut passa felice e con la commozione soffocata dal sorriso. Quell'"amarsi un po'" non è stato poi neanche poco. Giacché chi ama è destinato ad esser riamato.

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