Il gruppo del Giro Next Gen è indistinguibile da quello del Giro d'Italia; senza la Bardiani si vedrebbero solo WT (@ RCS Sport)
Editoriale

I Reverberi e la difficoltà di fermare un treno in corsa

L'UCI ha fermato il "progetto giovani" della Bardiani CSF, rimuovendo un altro argine al monopolio delle World Tour sui giovani: capiamo cosa si sta rischiando a partire dall'intervista a Roberto Reverberi

Siamo nel pieno dell'inverno ciclistico e c'è un po' più di tempo per parlare di ciclismo in senso lato e volare un po' più alto coi ragionamenti, anziché limitare l'orizzonte alla corsa della settimana successiva. Le parole rilasciate da Roberto Reverberi ai nostri microfoni nel corso della presentazione del Giro d'Italia di lunedì scorso hanno riacceso la lampadina di chi vi sta scrivendo per fare ciò che forse ama di più: occuparsi di ciclismo giovanile. L'antefatto è presto detto: l'UCI ha modificato il regolamento e a partire dal 2026 le squadre Professional non potranno più prendere parte alle prove riservate agli U23, rendendo impossibile portare avanti un “progetto giovani” interno alla formazione e rendendo obbligatorio creare una formazione development autonoma per poter tenere un vivaio; la cosa segue ad una prima norma, che aveva vietato ai corridori delle formazioni Professional (tecnicamente anche delle WT, ma non delle devo annesse) la partecipazione alle prove di Coppa delle Nazioni, la quale però non ha più valore visto che la Coppa della Nazioni è stata dismessa. La decisione, presa e comunicata all'ultimo momento, pone due problemi: l'effetto boomerang a breve termine di corridori che avevano già firmato contratti con squadre Professional sapendo di dover correre prevalentemente tra gli U23 e che invece dovranno fare un calendario diverso, per il quale magari non sono ancora pronti; le conseguenze a lungo termine di un monopolio assoluto delle WT (forse con l'inserimento delle Professional economicamente più dotate) sul reclutamento dei giovani che inizia ad essere un problema ai limiti dall'insostenibile che inizia a fare capolino addirittura tra gli allievi.

 

 

Riavvolgiamo il nastro

La vicenda per certi versi paradossale del “progetto giovani” firmato Reverberi inizia nel 2021, quando la formazione italiana inizia a strutturare un gruppo di U23 da usare come vivaio al quale garantire una crescita lenta ed intelligente, nella filosofia tanto dei Reverberi quanto di tutto lo staff della formazione. Resosi conto di non avere budget sufficiente alla fondazione di un'apposita Continental, sfruttano la normativa che consente agli organizzatori di tutte le gare .2, anche quelle riservate agli U23, di invitare fino a due formazioni Professional.

Qui viene il paradosso: se oggi l'UCI impedisce al progetto di proseguire vietando ai professionisti di correre con gli U23, il primo ostacolo arriva a fine 2021 dalla FCI che si arroccava sulla norma che impediva agli atleti di firmare contratti professionistici senza effettuare nessun anno nella categoria inferiore. Va detto che la norma, per quanto anacronistica e malposta, aveva una sua ratio; era però assurdo applicarla contro la Bardiani che stava in verità compiendo un piccolo miracolo. Ne parlammo dettagliatamente in un editoriale di alcuni anni fa, ma vale la pena di riassumere qui la questione in poche righe: Pinarello e Pellizzari (i due talenti colpiti dalla norma nazionale) avrebbero sì firmato un contratto professionistico (con tutti i vantaggi che esso comporta), ma correndo almeno una o due stagioni quasi esclusivamente in prove U23 di livello internazionale. In pratica il clan Reverberi, non potendo illudersi di fermare i mulini a vento come Don Chisciotte, si era adeguato alla tendenza del momento per portare avanti coerentemente il proprio modo di vedere il ciclismo, sostituendosi al lavoro che le nostre formazioni Continental e U23 avrebbero dovuto fare: offrire ai ragazzi italiani un calendario internazionale di alto livello che non li isolasse nella bolla campanilistica che ci sta facendo sprofondare nel baratro. Gli juniores che firmavano per passare direttamente in Bardiani in pratica erano professionisti di fronte alla legge, ma U23 di fatto

Negli anni il progetto ha dato i suoi risultati, in mezzo ai quali Giulio Pellizzari è solo la gemma più preziosa. Adesso si deve interrompere per una norma dell'UCI esattamente opposta a quella nazionale con cui si erano scontrati in precedenza: i corridori con meno di 23 anni sotto contratto professionistico non possono più partecipare alle corse riservate agli U23. Anche in questo caso la regola, decontestualizzata, potrebbe sembrare anche condivisibile, ma è completamente scollegata dal mondo reale: nei fatti si impedisce in questo modo alle Professional con una capacità economica inferiore di fare concorrenza alle grandi squadre World Tour, riducendo ulteriormente l'imbuto entro cui i giovani vengono reclutati per il grande salto. Bisogna parlarsi chiaro: in questo momento il mondo giovanile è pervaso da un senso di smarrimento, mentre viene fagocitato da procuratori e squadre World Tour. Di fronte alla notizia di allievi che vengono già messi sotto contratto o anche soltanto osservati da vicino da procuratori e devo in cerca di talenti - evidentemente non tanto per accaparrarseli quanto per sottrarli alla concorrenza - e alla tendenza mediatica a descrivere questa come una prospettiva perfettamente normale, i ragazzi vedono già come un ripiego dover correre in una squadra “normale” da juniores e si convincono che, se una squadra di sviluppo non li dovesse mettere sotto contratto entro l'uscita dalla categoria, il loro destino sia già segnato.

Non a caso qualche riga più in alto ho parlato di imbuto: si sta riducendo sempre di più il numero di aspiranti ciclisti e allo stesso tempo si sta abbassando l'età in cui questi vengono reclutati. In pratica il vivaio complessivo da cui il mondo del professionismo può attingere è sempre più ridotto e al tempo stesso è composto da corridori il cui vero valore è sempre meno verificabile. Il reclutamento dei talenti in questo momento ha la stessa razionalità del gioco d'azzardo, per quanto mascherato dalla fede cieca nei watt: è bene specificare in due parole (anche se l'argomento sarebbe vasto e meriterebbe un articolo a parte) che affidarsi completamente alla scienza interpretando il fisico di un essere umano (tanto più di un minorenne) alla stregua di una macchina è in verità l'atteggiamento più antiscientifico che si possa avere.

 

Le parole di Roberto Reverberi

Abbiamo sollecitato sull'argomento il team manager di quella che dovrebbe diventare la Bardiani-CSF-7 Saber dopo l'ingresso del nuovo sponsor uzbeko, mettendo subito in risalto l'imprevedibilità della decisione: “la scelta è avvenuta di punto in bianco ed è stata del tutto inaspettata: abbiamo dei ragazzi giovani con 3 o 4 anni di contratto in essere e diventa difficile gestirli; si dovranno fare gare di secondo piano e cercare corse più leggere all'estero, perché son ragazzi di 19 anni. Un paio di anni fa, se avessimo saputo che la situazione sarebbe stata questa, avremmo fatto delle scelte diverse”. La conversazione si è poi spostata sulla sostenibilità del loro progetto giovani, che è stato apprezzato e iniziava ad essere imitato: “I ragazzi sono inquadrati come professionisti, fanno parte dell'organico e ci hanno portato diversi punti; ma chiaramente più di questo conta l'aspetto sportivo. Anche la Colpack, che farà il primo anno come squadra Professional, si è trovata in difficoltà: alcuni dei ragazzi del primo anno che aveva in organico li ha fatti passare direttamente per farli crescere nel proprio ambito e ora si son trovati spiazzati. Anche Basso con la sua squadra (il Team Polti-Visit Malta ndr.) aveva preso qualche ragazzo giovane contando di fare un'attività un po' più limitata.

Come un fiume in piena, senza che noi facessimo domande specifiche, Roberto Reverberi ha analizzato la situazione attuale con adeguata perplessità: “L'andazzo è questo: i ragazzi partono e vanno nelle devo straniere, piuttosto che andare nelle squadre continental o U23 italiane e fare un percorso di un certo tipo. Essendo che preferiscono questo (passare subito al professionismo ndr.) l'ideale sarebbe fare almeno due o tre anni in questo tipo di squadre (le Professional, in particolare italiane ndr.), ma purtroppo i regolamenti sono cambiati. Qualcuno è già partito per le devo e qualcuno sta anche già tornando indietro, perché dopo due anni chi non va nella squadra maggiore - e chiaramente non è facile trovare spazio - ritorna in Italia e fatica magari a trovare squadra in Italia, anche se magari sono ragazzi interessanti, che però richiedono un periodo di crescita un po' più lungo. Chiaramente lì tempo non glielo danno, non come con noi che si fanno i loro tre o quattro anni e quello che viene viene. Non tutte le ciambelle escono col buco: c'è chi viene fuori dopo uno o due anni come il Pellizzari o il Pinarello di turno e c'è chi invece ha bisogno di più tempo e bisogna darglielo, per maturare e per crescere. Ce ne son tanti di italiani che son venuti fuori anche a 24 o 25 anni.

 

Guardiamoci intorno

Mettendo ordine fra le parole di Roberto, emergono le due questioni (a breve e lungo termine) che evidenziavamo in apertura: se da una parte le formazioni italiane saranno probabilmente in grado di ottemperare al primo problema, trovando il giusto compromesso e facendo crescere nel modo corretto i ragazzi coinvolti, è molto più difficile che possano da sole opporsi ad una tendenza che appare irreversibile e che con quest'ultima modifica al regolamento sembra essere avvallata dall'UCI. La sensazione è che una volta di più ci sia di mezzo la prepotenza del più forte che non può accettare che il più debole riesca con merito ad inserirsi e fare concorrenza. Questo era già emerso nel dibattito di alcuni mesi fa sulle wild-card per i Grandi Giri, quando fu proposto unitariamente da RCS ed ASO di poter invitare una squadra in più per non lasciare a piedi squadre meritevoli di partecipare, venendo aspramente criticate da alcune squadre World Tour che ci tenevano a ribadire uno status quo che il nuovo ranking ha minato creando una certa mobilità nella concessione delle licenze (ne avevamo parlato qui).

Questa norma pare sorgere sotto la stessa stella: in questo modo da una parte si escludono squadre con budget inferiori - che non possono mettere in piedi squadre devo appetibili - dalla corsa al talento, assicurandosi che gli juniores più interessanti finiscano direttamente nel World Tour e dall'altra si toglie a queste squadre la possibilità di raccogliere qualche punticino in più per il ranking. A tal proposito va ricordato che comunque già allo stadio precedente il regolamento non era poi così vantaggioso per Bardiani et similia: come si accennava prima, gli organizzatori delle gare .2 (sia U23 che non) possono invitare al massimo due formazioni Professional e questo significa che ricevere un invito è tutt'altro che scontato; viceversa le squadre World Tour possono accedere più facilmente al calendario tramite le devo, potendo peraltro far correre entro certi limiti i corridori della squadra titolare anche quando è iscritta la devo. In sostanza le squadre World Tour possono far partire due atleti professionisti all'interno della rosa devo nelle gare .1 e uno nelle gare .2; questo significa poter fare punti facili nelle gare .2 (in cui le World Tour non potrebbero correre) e poter aggirare il mancato invito ad una prova .1 della formazione World Tour iscrivendo la formazione devo.

Perciò viene meno la possibilità di interpretare la norma in questo senso, come per esempio aveva fatto Marino Amadori ai microfoni di Bicisport: dire che la Bardiani aveva trovato un escamotage per fare concorrenza alle devo con un investimento ridotto è vero e si può forse ritenere che non sia del tutto corretto; ma non ci si può mettere il prosciutto sugli occhi ignorando il fatto che impedendo questa alternativa, le formazioni World Tour avranno il completo monopolio sul mercato dei giovani. E questo, come si diceva prima, avrà ricadute gravissime anche più in basso: con che coraggio quelli che, come il sottoscritto, si occupano di ragazzi non necessariamente scarsi, ma certo non pronti (e non ancora sufficientemente forti) per finire già a 16 anni nel grande calderone del World Tour dovrebbero convincere loro che se finiscono in una normale squadra Continental la loro carriera è tutt'altro che finita? Ci rendiamo conto che è sempre maggiore il numero di ragazzi molto forti che convinti di meritare un contratto immediato nel World Tour o in una devo, rifiutano offerte delle Continental (o magari della stessa Bardiani) per poi restare a bocca asciutta quando il mercato sta per chiudersi? Per quanto tempo ci vogliamo illudere che questo sistema sia anche solo vagamente sostenibile?

Chiuderei con una riflessione statistica un po' spicciola, ma non per questo irrilevante. L'attuale Red Bull gode di un vivaio juniores, ovvero l'Auto Eder, addirittura dal 2011, quando la NetApp era una squadra Professional. Dal 2011 al 2025 soltanto quattro corridori (su svariate decine di atleti in organico) hanno poi firmato contratti con la formazione World Tour: Alexander Hajek, Emil Herzog, Cian Uijtdebroeks e Luis-Joe Lührs. Quest'ultimo è peraltro un caso interessante, perché rientra nel novero di quelli che, come diceva Reverberi, “sono tornati indietro”: dopo tre anni anonimi nella formazione World Tour, adesso si trova nella devo della Decathlon AG2R. Per onestà intellettuale va detto che ci sono altri 5 corridori che sono poi diventati professionisti in squadre diverse, ma di fatto sono tutti corridori che hanno dovuto sostare per qualche anno in formazioni Continental (non necessariamente devo) confermando che il vecchio metodo della crescita graduale è sempre valido: sono Mathieu Kockelmann (professionista dall'anno prossimo alla Lotto-Intermarché), Marco Schrettl (professionista dall'anno prossimo alla XDS-Astana), Marco Brenner (Tudor Pro Cycling Team), Georg Zimmermann (Intermarché - Wanty) e Felix Engelhardt (Team Jayco AlUla).

Auto Eder 2024
Il Team Grenke-AutoEder al via della cronosquadre dell'Eroica Nations' Cup 2024 che li ha visti vincitori @ Eroica Italia SSD

Intanto la Red Bull avrà come capitani Remco Evenepoel (effettivamente passato subito dagli juniores al World Tour, ma di fatto è forse il peggior esempio di come si gestisce un talento), Primož Roglič (che da giovane faceva tutt'altro ed ha iniziato a vincere a 26 anni), Florian Lipowitz (che da juniores ha corso in una squadra “standard” per poi farsi tre anni nella Tirol KTM, quindi in una Continental), Jay Hindley (che ha fatto lo juniores in Australia, debuttando tra gli U23 nella Aran Cucine prima di crescere nelle Continental) e, ironia della sorte, Giulio Pellizzari, frutto proprio del “progetto giovani” della Bardiani. Dove sarebbe la progettualità? Dove sarebbe la prova del funzionamento della corsa a prendere i corridori ancora in piena pubertà?

Dopo così tante parole spese a delineare la situazione, non c'è spazio per offrire delle soluzioni, ma lo faremo senz'altro in altri articoli come questo nelle prossime settimane. Intanto rimane da sperare che la partnership con l'Uzbekistan possa consentire ai Reverberi di ampliare il budget e magari fondare una devo secondo regolamento, per continuare a dare un po' di respiro al nostro movimento giovanile, altrimenti destinato ad implodere.

Pogačar perde uno dei suoi uomini più fidati: Elguezabal passa al calcio
Pogacar e Ferrand-Prevot protagonisti del Velo d'Or. Un premio speciale per Trentin
Francesco Dani
Volevo fare lo scalatore ma non mi è riuscito; adesso oscillo tra il volante di un'ammiraglia, la redazione di questa testata, e le aule del Dipartimento di Beni Culturali a Siena, tenendo nel cuore sogni di anarchia.