Wout van Aert in allenamento alle Canarie con Koen Bouwman © Wout van Aert
La Tribuna del Sarto

Crossertje’s training in the mud for love

Un racconto impossibile ma probabile, una storia inventata ma che ci riporta dritti al senso del ciclismo per come è interpretato e incarnato da Wout van Aert e gli altri della generazione dei fenomeni. Alla faccia di Boonen e Lefevere!

05.03.2023 18:20

Teide (Tenerife, Spagna), mattina del 20 febbraio 2023.

La notte in cima al Teide è stata rigenerante, oggi Wout van Aert ha in programma un allenamento che pare una tappa del Tour de France.

- Oppure del Giro d’Italia?

Wout per un attimo se lo domanda, un desiderio di corse italiane gli sale in testa; sa di avere molti tifosi nella penisola, conosce bene l’occhio esperto degli appassionati, per non parlare della cucina. L’Italia è la terra della sua prima Monumento, la Classicissima, se chiude gli occhi sente ancora vicino il fiato di Julian durante la volata. Il ricordo di uno sprint a due che subito riaccende una fresca ferita, la sconfitta di Hoogerheide dal rivale di sempre. Brucia, eccome se brucia ancora.

In Spagna è bello, si sta bene, ma Wout preferisce l’Italia.

- Peccato che le sue strade non siano abbastanza sicure per fare lì il prossimo Training Camp.

Van Aert non è a Tenerife in gita di piacere, ma in ritiro con la squadra. Il clima è dolce ed i meccanici e massaggiatori hanno preparato le bici ed i rifornimenti. È ora di scendere a fare colazione, rimane solo il tempo di una breve videochiamata con la moglie, un bacio prima di chiudere il telefono, poi lo sguardo è già cambiato. Il tono muscolare delle sue grandi gambe pare cresciuto, il suo corpo, come un eroe dei fumetti, passa da essere padre di famiglia a macchina per pedali, una trasformazione che impaurisce.

Van Aert è nato per correre, statua scolpita da madre natura per spingere una bicicletta su asfalto, sabbia, fango, meglio se profondo ed appiccicoso; i suoi quadricipiti come i cilindri di un motore Ferrari che durante la corsa a piedi esprimono grazia e potenza nello stesso istante, come il cubano Juantorena a Montreal 1976.

Raggiunge la sala per le colazioni, lo sguardo dei compagni che lo accoglie è diverso dal solito, nessuno parla, il saluto è solo un accenno della testa. A Wout, ancora spaesato da quella strana atmosfera, si avvicina il direttore sportivo con il tablet aperto sulla Het Nieuwsblad. Il “crossista” ha una smorfia.

- Ancora loro, Tom e Patrick!

Nell’articolo vengono riportate le solite critiche, il suo impegno nel ciclocross che gli impedisce di vincere Fiandre e Roubaix a raffica, il suo talento disperso in troppe gare, magari persino nel perdere tempo ed energie a fare il gregario al Tour e vincere la maglia verde. Addirittura Tom Boonen, vincitore di tre Giri delle Fiandre, quattro Paris-Roubaix e campione del mondo nel 2005 a Madrid, arriva ad affermare che a nessuno interessa se vinci gare di ciclocross in inverno.

- Eppure non sembravano pochi gli appassionati ai bordi dei sentieri fangosi quest’anno, per non contare i barili di birra vuoti a fine manifestazione!

Poi sempre quella storia di aver detto no a Patrick Lefevere, direttore della Soudal-Quick Step.

- Chi si crede di essere, il re del Belgio?

Guarda i suoi compagni, è felice con loro, sa di aver scelto la squadra giusta. Dylan van Baarle ha gli occhi bassi, non parla, Wout capisce il suo imbarazzo, allora è lui ad avvicinarsi, poggia una mano sulla sua spalla ed in cambio riceve un sorriso di fiducia e stima. Le tattiche ipotizzate da Boonen, di un Van Baarle che partendo dall'Oude Kwaremont intrappola Van Aert in mezzo al gruppo, hanno una loro logica, che non necessariamente intacca la fiducia e la lealtà sportiva tra i due. Dylan e Wout conoscono le corse, sanno cosa prova un ciclista durante un attacco, una fuga o nel rimanere bloccati in gruppo per proteggere un compagno di squadra davanti. Sono corridori che vogliono vincere sempre, animali da competizione. Saranno la strada, la sorte, le gambe di quel giorno a decidere come andranno le cose.

Alle 9 e mezzo finalmente si parte, l’aria è fresca, ma ancora per poco, poi sembrerà di essere già in primavera inoltrata. Il mare in lontananza è lievemente increspato, di un blu intenso come in Liguria; il vento è una brezza che porta con sé un odore piacevole di erbe aromatiche. Si scende verso La Otarova, in poco meno di 40 minuti si percorrono i primi 30 km, meglio non spingere subito né tantomeno prendersi rischi inutili in discesa. Wout, quando la strada lo permette, mena sui pedali come al solito, ma ad un certo punto fa un cenno ai compagni, indica un piccolo dehors di un caffè, il Capricho Cafè. A Van Aert piace quel nome, in Italia ha capito il significato di “capriccio”, e si è innamorato di questa parola. Capricci di un bambino alla ricerca di attenzione oppure quelli musicali di Paganini.

Dice ai compagni di voler offrire loro un caffè. I tavolini neri e le sedie bianche di plastica danno un’aria un po’ spartana, lontana dallo spirito musicale del virtuoso genovese. Si uniscono due tavoli e si ordinano caffè, succo d’arancia e qualche biscotto. Van Aert prende parola, ha voglia di tirare fuori il suo pensiero, spiegare ai suoi compagni la sua visione delle cose.

- Sono stato il primo tifoso di Tommeke - dice - ho pianto il giorno in cui perse l’ultima Roubaix, ma oggi il ciclismo è cambiato e deve cambiare ancora tanto, ma non nella direzione di Boonen e Lefevere!

Guarda soprattutto i compagni più giovani, poi prosegue con voce serena.

- Oggi le corse sono più spettacolari rispetto ai tempi di Boonen, certo io ed anche Mathieu van Der Poel ne abbiamo perse di gare per colpa delle nostre tattiche, per il troppo vento preso in faccia, per la troppa generosità; ma è grazie a noi, a Julian Alaphilippe, a Pogačar e Remco che la gente si diverte di più che in passato!

Abbassa un poco il capo e con sguardo fiero dice:

- Non voglio esagerare, ma credo che abbiamo una missione: far tornare il ciclismo lì dove merita di stare, tra gli sport più amati e seguiti al mondo! Bisogna svecchiare. È giunto il tempo che il nostro mondo capisca che non esiste solo la strada. L’off-road (ciclocross, gravel e mountain) oppure la pista non sono ciclismo di serie B! Sono linfa vitale per tutto il movimento. Poi basta con questa storia che il ciclocross tolga energie. Io, ad esempio, trovo la gamba migliore durante e grazie alla stagione invernale di ciclocross, in più mi diverto e sono pronto mentalmente alle corse su strada. Sapete? A volte mi è anche passato per la testa di provare a correre in mountain bike. Battermi con Mathieu mi esalta. Non è vero che soffro la sua presenza e che ritorno ad essere quel bambino spesso da lui battuto.

Van Aert apre la galleria delle immagini del suo cellulare e mostra ai compagni una vecchia foto.

- Siamo io, Mathieu ed i gemelli Sweeck, non ricordo dove fu scattata, forse a Kortrijk, vicino al Lys. Sono passati 18 anni. Guardate, sono il più felice, proprio perché correvo alla pari, anche se spesso perdevo, contro il figlio di Adrie e nipote di Pou Pou! C’è un momento unico nel ciclocross, che non ha eguali in nessun altro sport; quando a fine corsa ci si trova uno vicino all’altro nel piccolo gazebo allestito all’arrivo. Lì con un asciugamano caldo bagnato ci togliamo il fango dal volto e quello, come il velo della Veronica, svela la nostra vera icona, la vera immagine. Io e MVDP conosciamo il volto senza maschera dell’altro, ci basta uno sguardo per capirci. Forse hanno ragione loro, quando corro contro di lui torno bambino, ma quello felice, appassionato e sporco di fango, in the mud for love. La nostra rivalità non rimarrà nella storia come quella di Coppi e Bartali, ma sicuro sarà ricordata di più di quella tra Cancellara e Boonen. Loro si scontravano solo per poche settimane all’anno, io e MVDP quasi tutta la stagione, dal cross alle pietre, dalle classiche italiane ai grandi giri.

Riposa il cellulare con al volto lo stesso sorriso della foto.

- Certo non ho ancora vinto un mondiale, ci sono andato vicino, soprattutto a crono. E sapete perché Pippo Ganna mi ha battuto? Perché lui viene dalla pista! È lì che ha potenziato il suo fantastico motore. Come si può ancora credere che la multidisciplina sia uno svantaggio!

Scuote la testa con un poco di rassegnazione.

- Il ciclismo sta cambiando, i tempi di Boonen e Cancellara sono per fortuna lontani. Allora vedere un vincitore del Tour battagliare e vincere una classica era raro, ricordo solo Nibali. Nelle classiche Froome e Contador, ad esempio, li vedevi solo alle interviste pre-gara. Oggi Pogačar è capace di vincere tutte le corse a cui partecipa. Speriamo un giorno venga anche lui a correre il cross in Belgio, pensate che spettacolo.

Allunga le mani sul tavolo, beve un sorso di succo d’arancia.

- Vogliamo che il ciclismo torni agli schemi di Boonen? Oppure a quelli di Merckx ed Hinault? Non è Wout il problema per loro, ma il loro sentirsi anacronistici in questo nuovo mondo. Le corse sono sempre più pazze, l’ultima Roubaix è stata folle. Vero, Dylan? La corsa è esplosa subito! È questo che vuole il pubblico, è questo che dobbiamo volere anche noi, uscire dai vecchi schemi, divertirci e divertire. Non passerò alla storia perché non avrò vinto tante Roubaix e Fiandre come Tom? Amen. A me basta che il ciclismo non rimanga solo sui libri di storia dello sport, ma che viva e attragga nuovi tifosi! Quando ho detto a Lefevere che non avrei rinunciato al ciclocross, lui mi ha preso per pazzo. Non ha capito che per correre devi prima di tutto divertirti, altrimenti come facciamo a reggere tutti questi sacrifici. I soldi sono importanti, ma ci vuole passione! Siamo tutti qui lontani dalle nostre mogli, fidanzate, figli, mica in vacanza. Ci aspettano qualche migliaio di metri di dislivello quest’oggi ed altri domani e dopodomani. Non siamo robot, che quando si rompono butti in qualche discarica. Avete sentito dei due ragazzi italiani che hanno lasciato il ciclismo appena diventati professionisti? Che ciclismo è questo?

I compagni di squadra accennano un applauso in un coro di sì col capo.

- Sono contento di aver detto no a Patrick, guardate cosa si è permesso di dire a Julian, criticare un bi-campione del mondo, pazzesco! E poi quelle dichiarazioni sprezzanti sul ciclismo femminile.

Ora rivolgendosi a Van Baarle, Wout aggiunge.

- Dylan, la nostra alleanza sarà un vantaggio, non una trappola come dice Tom.

Dylan guarda Wout, accenna appena con la testa che è d’accordo con lui, e gli fa notare che è ora tornare a pedalare. Tutti tornano alle bici, Wout salda il conto al bar. Tutti lo guardano con stima, lui non è capitano solo in gara.

Si torna a spingere sui pedali, su e giù per l’isola delle Canarie, in tutto ben 165 km con 4093 metri di dislivello in poco più di 6 ore a 27 km/h di media!

Tornati in hotel, oramai stremati, ci si da appuntamento al ristorante. Seduti tutti intorno ad un tavolo, il clima non è più quello del mattino, ora tutti ridono e chiacchierano serenamente. Wout con il cellulare in mano ripassa l’allenamento su Strava, Dylan vicino a lui gli suggerisce di modificarne il nome, Crossertje’s training (l’allenamento del crossista). Wout guarda Van Baarle e scoppia a ridere.

- Sì, Crossertje’s training, alla faccia di Tom e Patrick!

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