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Tom, ti tocca fare tutto da solo

20.05.2018 19:19

A Sappada il detentore del Giro si trova a combattere da solo contro Yates: la crono dirà molto sul futuro della corsa


Puntuale come un orologio svizzero anche quest'anno si è riproposta l'immagine di Tom Dumoulin che, roteando il braccio, mima ai suoi rivali il gesto che nel ciclismo significa "giriamo", collaboriamo. Proprio come l'anno scorso nelle frazioni di Ortisei e Foza, dove l'olandese aveva incitato i rivali a dargli una mano. Con risultati alterni, peraltro, perché se Nibali e Quintana si era ben visti dall'accettare la proposta del nativo di Maastricht nel finale della quartultima tappa, Jungels, Mollema e il gemello dell'attuale maglia rosa, Adam Yates, salendo verso Asiago, erano stati fondamentali per permettere a Dumoulin di limitare i danni da coloro che lo avevano attaccato.

Niente collaborazione per Dumo, a differenza del 2017
Questa volta l'esito dell'invito di Dumoulin agli avversari è stato più simile a quello di Ortisei che non a quello di Foza. Un generoso Pinot si era anche dimostrato favorevole all'idea di unire le forze per uno scopo comune, ma i due sudamericani Carapaz e Miguel Ángel López, probabilmente più interessati alla maglia bianca rispetto ad Adam Yates e Bob Jungels l'anno scorso (ricordate? A Foza Yates era in maglia bianca con 28" su Jungels, ma invece che attaccare il lussemburghese ha collaborato con lo stesso e con Dumoulin per tutta la salita. Risultato? Jungels gli sfilò la testa della classifica dei giovani nella crono finale), si sono rifiutati, in modo anche plateale, in particolare il colombiano che ha mandato a quel paese l'olandese, scombinando i piani del vincitore del Giro 100.

La situazione, di tratto, si è, dunque, complicata, con il gruppetto che ha iniziato a salire a strappi, senza guadagnare nulla sul coraggioso Yates. E così un Dumoulin che, ad un certo punto, ha rischiato anche di vedere da vicino l'uomo col martello, esce da questa tappa con molte meno certezze di quante ne aveva prima. Il distacco dall'arrembante britannico inizia ad essere pesante e non è detto che basti la crono per colmarlo. Dal canto suo, invece, le quotazioni di Yates aumentano man mano che passano i giorni. Il portacolori della Mitchelton-Scott sembra stare sbocciando definitivamente; confermando, con un po' di sorpresa dopo questi primi anni tra i professionisti, ciò che si pensava di lui da under 23, ovvero che fosse più talentuoso del fratello Adam.

La crono come spartiacque, con un Yates coraggioso come pochi
Simon, al momento, non è solo il corridore più forte del Giro, ma è anche l'unico che, con quel coraggio misto a un po' di incoscienza, scalda il cuore degli appassionati. Sa di avere la gamba giusta e sa quello che vuole, ovvero vincere il Giro, e non si fa problemi ad attaccare. Anzi, nel caso odierno, addirittura ad osare, perché nel ciclismo del 2020 sono in pochi a sentirsi in grado di partire ai meno 17 come ha fatto lui. Per di più con davanti a sé un'altra erta molto pedalabile che strizzava sicuramente più l'occhio ad un gruppetto che non a un corridore da solo. Altri, al suo posto, si sarebbero limitati a lucrare sulla crisi di Froome e a vincere con un scatto nel finale, spaventati dalla possibilità di sprecare energie in modo eccessivo per essere, poi, inghiottiti da un plotoncino all'inseguimento. Ma siccome la fortuna aiuta gli audaci ecco nel gruppetto l'accordo viene meno e il nativo di Manchester può portare a termine la sua impresa per la gioia di tutti coloro a cui piace vedere un ciclismo fuori dagli schemi in cui è stato imbrigliato in epoca recente.

Il vantaggio di Yates su Dumo è, così, schizzato a 2'11". In ottica crono il britannico non può dormire sonni tranquilli, su 35 km uno specialista, che, al momento, si dà il caso essere il migliore al mondo nella disciplina, può recuperarglieli e anche infliggergli qualche secondo in più. Ma la condizione, e cosa ancor più importante, il morale, sono dalla parte del corridore della Mitchelton che potrebbe anche sorprendere tutti riuscendo a mantenere il simbolo del primato. Ed allora inizierebbe un nuovo Giro per lui, in difesa, ed un nuovo Giro anche per il vincitore della passata edizione, che si troverebbe costretto a inventarsi qualcosa di mai fatto prima per detronizzare il rivale.

Froome e co., il Giro non è comunque finito
E per gli altri il Giro è finito? Probabilmente sì, ma mai dire mai. Sia Yates che Dumoulin nella passata stagione hanno palesato qualche problema nella terza settimana delle grandi corse a tappe a cui hanno partecipato. Il britannico perse 2'00" nella tappa del Galibier alla scorsa Grande Boucle dal gruppetto con Froome, Urán, Bardet e Landa, mentre l'olandese salendo il Piancavallo arrivò 1'10" dopo rispetto a Quintana e Nibali. E, allora, ecco che per inseguitori come Pinot e Pozzovivo, i quali non hanno la verve di Yates né le doti a crono di Dumo, ma al Giro 100 hanno palesato grande solidità, qualche speranza, pregando nelle crisi dei rivali, ancora c'è.

Dopo il moto d'orgoglio di ieri, invece, è tornato a faticare Chris Froome, il quale, visto il nome che porta, non può essere dato per morto prima della tappa di Roma, ma dovrà, immediatamente, ripartire con una grande cronometro se vuole, quantomeno, potersi giocare il podio in quest'edizione della Corsa Rosa.

Aru ko: urgono riflessioni per evitare altri passi falsi
È finito, invece, il Giro di Fabio Aru, al quale resta, ormai, come unico obiettivo una vittoria di tappa, sempre che si ridesti un minimo dopo la crisi di oggi. In un mondo in cui tutti si sentono preparatori atletici, dove la discussione sul picco di forma è diventata imperante, dove sembra quasi più importante passare il tempo sul Teide piuttosto che correre ad Aru, per una strana ironia del destino, manca proprio la condizione. Ma la crisi di oggi, non può essere spiegata solo così. Questa giornata no è dovuta a un insieme di fattori.

Un ciclista ha bisogno di correre, ottenere risultati, vincere. Deve essere conscio dei propri mezzi, al via di un grande giro il morale deve essere alle stelle. Yates, prima della corsa rosa, ha vinto la frazione regina della Parigi-Nizza e la tappa di Barcellona alla Volta a Catalunya, entrambe in solitaria. Sono risultati come questi che hanno permesso al timido corridore visto alla scorsa Grande Boucle di diventare ciò che stiamo ammirando oggi. La chiave del successo del britannico e dell'insuccesso del sardo sta anche qua, bisogna curare tanto la condizione quanto la testa del corridore. E per farlo bisogna permettergli di correre e vincere anche quelle corse che magari hanno un po' di prestigio in meno, ma non certo meno dignità del Giro d'Italia.
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