
Incendiari, velleitari, spettatori o redivivi: le pagelle dei corridori del Tour de France 2025
Pogačar domina, Van der Poel accende la corsa, Van Aert si salva a Parigi. I voti ai protagonisti del Tour tra imprese, crolli e resurrezioni
Terminato il 112° Tour de France maschile, stavolta non c'è tempo per annoiarsi, visto che già da ben due giorni è iniziato il Tour de France Femmes 2025, tuttavia approfittiamo del primo pomeriggio di calma che ci offre la Grande Boucle femminile per tirare le somme e provare qualche considerazione sui protagonisti della corsa che ha incoronato per la quarta volta Tadej Pogačar. Come sempre, l'esercizio di compilare pagelle è puramente arbitrario, ma ci sembra legittimo provare a esprimere una valutazione sui professionisti che abbiamo ammirato per come si sono espressi in queste tre settimane.
Tadej Pogačar (UAE Emirates-XRG): 10 comunque, a un passo dalla lode

Tour dominato dall'inizio alla fine senza particolari patemi, proprio come nel 2021, e quasi come lo scorso anno. Quel 'quasi' è dovuto a un bottino inferiore (quattro tappe contro le sei dell'anno scorso), e con quasi due minuti in meno su Vingegaard (per quanto possa valere), e con una terza settimana dove stava dando l'impressione, sia nelle parole che nei fatti, di essere in controllo o addirittura al limite (sempre che non ci fosse anche qualche acciacco a offuscare la sua aura). Alla fine però è arrivato il numero da circo sul trampolino che gli organizzatori gli avevano preparato su Montmartre, confermando che sulla presunta accidia del Campione del Mondo si stava ricamando un po' troppo. Solo un Van Aert redivivo gli ha guastato l'arrivo in maglia gialla sui Campi Elisi che sarebbe altresì entrato nella storia, completando ulteriormente il processo di assimilazione a Merckx. Come nel 2020 e nel 2021, è arrivata anche la maglia a pois, e Jonathan Milan ha dovuto sudare sette camicie (e sette gregari) per non lasciargli anche la maglia verde.
Jonas Vingegaard (Visma-Lease a Bike): 8, resta l'unico rivale

I fatti parlano per lui: non c'è nessun altro che possa mettere in difficoltà Pogačar in un grande giro, nessun altro l'ha fatto negli ultimi 5 anni (battendolo anche per due volte) se non Jonas Vingegaard. Ci hanno provato in tutti i modi razionali il danese e la sua squadra a mettere in difficoltà Pogačar: ventagli, tattiche di squadra, attacchi da lontano, nel finale, farlo schiantare contro un'auto (si scherza), ma proprio non c'era verso di farlo scricchiolare: prendergli 2" con l'abbuono della volata di La Plagne è stato tutto l'arrosto di tanto fumo. Quest'anno è mancato anche un successo di tappa che l'anno scorso era invece arrivato: non avremo mai la controprova, ma l'impressione è che se in una delle tappe alpine Vingegaard e la sua squadra avessero messo da parte l'idea di ribaltare il Tour e approfittato della condotta dispendiosa di Pogačar anche per il danese sarebbe potuto arrivare un successo parziale.
Florian Lipowitz (Red Bull-BORA-hansgrohe): 8, che stia nascendo un nome credibile?

A 24 anni il tedesco si è preso podio e maglia bianca al Tour de France, completando un percorso di maturazione che da un paio di anni lo vedeva come promessa per le corse a tappe, tanto da fare meglio del suo capitano Primož Roglič. Una condotta dissennata sua e della squadra ha rischiato di fargli perdere entrambi gli obiettivi sul Col de la Loze, ma la strenua difesa del giorno successivo a La Plagne ai danni di Onley (voto 7.5 per il britannico, è d'obbligo riprovarci) ha fatto strabuzzare gli occhi. Speriamo che il suo profilo sia più concreto dei vari O'Connor, Carlos Rodríguez, Aleksandr Vlasov, o David Gaudu, che in questi anni si sono affacciati tra i primi cinque del Tour de France salvo poi non riuscire più a ripetersi.
Primož Roglič (Red Bull-BORA-hansgrohe): 5.5, le velleità fanno e disfano

I nati nell'ottantanove hanno reflex digitali e mettono su flickr belle foto in bianco e nero (I Cani, Velleità)
Sapevamo che, a 36 anni, lo sloveno non poteva che avere il meglio alle spalle, anche se in alcuni frangenti (il terzo posto alla cronoscalata di Peyragudes su tutti), ha dato l'impressione di poter ancora togliersi la soddisfazione del podio dietro ai due extraterrestri.
Le velleità ti aiutano a dormire quando i soldi sono troppi o troppo pochi e non sei davvero ricco, né povero davvero, nel posto letto che non paghi per intero.
Anche l'azzardo di giocarsi il quinto posto, promuovendo quella fuga temeraria nell'ultima tappa alpina, poteva strappare più applausi di un mesto quinto posto finale, con un proprio compagno già sul podio. Il sostanziale disinteresse verso le ambizioni di Lipowitz però non gli ha fatto onore: avere un contratto milionario non esime dal mettere da parte ambizioni personali e fare il meglio per la squadra, il Geraint Thomas di fine carriera insegna.
Le velleità ti aiutano a campare quando mancano sei giorni all'analista ed è tutto così facile, o così difficile, nell'altro divanetto che non paghi per intero
Sulla scelta di incaponirsi a cercare il Tour de France che manca alla sua carriera quando la quinta Vuelta rischiava di diventare obiettivo realizzabile, poi, sarà da valutare in altra sede, certo c'è da dire che almeno questa Grande Boucle è stata portata a termine.
Remco Evenepoel (Soudal-Quick Step): 5, non diventare solo un cronoman

Cosa ci sia dietro il ritiro di Evenepoel ci è stato spiegato per filo e per segno dallo stesso campione olimpico, ed è difficile dare valutazioni chi abbia colpe, ammesso che ce ne siano, della sua sostanziale défaillance. Detto che per una tappa al Tour c’è chi venderebbe l’anima, e lui se ne è portata a casa una anche quest’anno, è altresì vero quella di non provare continuare fino alla terza settimana e vedere di poter tornare competitivo per un obiettivo parziale (una tappa? La maglia a pois?) è una scelta (legittima, chiaro), ma che altri non si possono permettere stringendo i denti fino a Parigi. Restiamo convinti che Remco Evenepoel abbia le qualità per continuare a provarci e l'età ancora dalla sua, forse serve giusto un esorcismo per i fantasmi che affollano il Tourmalet quando ci passa il belga.
Jonathan Milan (Lidl-Trek): 9, non possiamo scegliere i tempi in cui viviamo

Tempi duri generano uomini forti, uomini forti generano tempi felici, dice un proverbio arabo. Ora che abbiamo (e ora più che mai possiamo dirlo) il più forte velocista del mondo, i grandi giri iniziano a ostracizzare gli sprinter. Addio quindi tappe con piattoni da volata sicura nella pianura francese, se già da tempo le volate bisognava guadagnarsele, ora gli arrivi in volata si contano sulle dita di una mano: nemmeno i Campi Elisi sono più per uomini veloci. Nonostante ciò il friulano è l'unico che riesce a finire davanti a Tadej Pogačar nella classifica a punti, soffrendo ogni giorno per prendersi i traguardi volanti, e portando in Italia la terza maglia verde dopo quelle di Franco Bitossi e Alessandro Petacchi (o meglio, la terza classifica a punti, perché ai tempi di Bitossi la maglia era rossa). Il suo vero rivale resta Tim Merlier (voto 8, inossidabile), forse più di Jasper Philipsen, ma l'età è dalla sua.
Ben Healy (EF Education-EasyPost): 8 per poco non fa il capolavoro

Mancava come il pane un lottatore che si prendesse la top ten a suon di fughe, ma c'è da dire che l'irlandese aggiunge al suo essere un battitore libero anche risultati concreti quali un successo di tappa che per poco non ha bissato sul Mont Ventoux, dove riuscì il suo precursore Thomas De Gendt (in una tappa che, ricordiamo, finiva a Chalet Reynard). Si porta a casa meritatamente il premio di super combattivo del Tour.
Mathieu van der Poel: 9, incendiari si nasce

Dopo che l'anno scorso la sua partecipazione alla Grande Boucle fu davvero trasparente, e da molti percepita come una semplice preparazione all'Olimpiade, quest'anno la classe cristallina del tre volte vincitore della Roubaix ha di nuovo illuminato la prima parte di Tour, che lo ha visto tra i protagonisti delle prime due settimane.
Gregario nel treno di eccezione (e vincente) che regala la prima gialla a Jasper Philipsen, vincitore e maglia gialla il giorno successivo a Boulogne-sur-Mer, secondo (ma sempre giallo) a Rouen (a proposito di appiccare fuochi…), da lì in poi per cinque volte in fuga, la prima per riprendersi il primato, la seconda per regalare spettacolo puro e portare Rickaert sul podio del Tour come super combattivo di giornata. Pur covando una polmonite, si butta ugualmente in fuga e resta in gioco per la maglia verde finché la diagnosi, arrivata nel giorno di riposo, non costringe il medico a mettergli i sigilli sulla bici prima del Mont Ventoux.
Wout van Aert: 7, si accende sotto la pioggia

Forse sarà qualcosa di forte da dire, ma fino a ieri sera il Tour di Wout van Aert era da sufficienza scarsa. Aveva avuto dei giorni liberi dal suo primo impegno di gregario di Vingegaard, che gli avevano fruttato giusto un secondo posto a Laval nella prima affermazione di Milan e un paio di top five, tra cui il quarto posto a Carcassonne, battuto da Julien Alaphilippe nella volata per il terzo posto (quella che il francese pensava fosse per il primo). Premessa: per tanti, ormai riuscire a entrare in fuga al Tour de France è più difficile che vincere una corsa minore, ma che Wout van Aert faccia fatica a entrare nelle fughe al Tour (solo due volte riuscirà a centrare fughe andate in porto, e senza mai giocarsi la vittoria con i migliori) dice quanto il beniamino dei belgi sia lontano dalla sua versione più brillante, quella che vedemmo al Tour 2022. Nemmeno nel lavoro di gregariato, non si pretendeva da lui i prodigi di Hautacam 2022, ma almeno un aiuto consistente al lavoro di squadra dei Visma, che invece non è mai durato che pochi chilometri, tanto che ci si chiedeva non fosse stato un errore chiedergli di prendere il via al Tour dopo le fatiche del Giro: del nativo di Herentals, più che l'essenza, contemplavamo l'assenza. E invece nel finale è arrivata quella che potrebbe essere una delle tre vittorie più belle nella sua carriera, staccando sullo strappo di Montmartre addirittura Tadej Pogačar e involandosi sul traguardo degli Champs-Élysées.