Alberto Bettiol dopo il Mondiale di Glasgow 2023 © EF Education-Easypost
Lo Stendino di Gambino

Alberto Cuor di Leone, come Dancelli a Zolder nel 1969

L'impresa impossibile tentata da Bettiol a Glasgow ha ricordato un'azione simile messa in atto dal campione di Castenedolo in un Mondiale in cui l'Italia si presentò... senza capitano

09.08.2023 09:00

Mi perdonerà Filippo Ganna, spero non ancor sazio di medaglie in terra di Scozia, se lo relego temporaneamente in secondo piano in questo primo bilancio mondiale. Lo celebreremo degnamente, magari insieme al terzo titolo iridato su strada a cronometro, la prossima settimana. Oggi, però, voglio parlare di Alberto Bettiol e della stupenda ora che ci ha fatto vivere tra le 16.00 e le 17.00 di domenica scorsa. Questo perché nel ciclismo vincere è sicuramente importante ma il modo in cui si corre non è da meno.

Il campione di Castelfiorentino aveva una sola carta da giocare, una finestra strettissima in cui tentare la sorte. Bettiol è scattato nell'unico momento in cui era presumibile che venisse lasciato andare ossia a 55 chilometri dal traguardo. A chi lo ha criticato per essere stato troppo precoce, ricordo che difficilmente, se avesse tentato un'azione analoga ai meno 30, gli sarebbe stato concesso di prendere il largo. Purtroppo, al nativo di Poggibonsi è mancata quel pizzico di buona sorte da sempre necessaria perché queste iniziative temerarie vadano a buon fine. Un pomo della discordia, gettato tra i grandi favoriti da una novella Eris, avrebbe favorito non poco la causa di Alberto. Purtroppo, così non è stato.

L'azione di Bettiol sulle tortuose strade in riva al Clyde mi ha fatto tornare in mente qualcosa di simile accaduto la bellezza di 54 anni fa, il 10 agosto 1969 in occasione del mondiale disputatosi in Belgio sul circuito automobilistico di Zolder. Fu quella, per l'Italia, una corsa dalle mille polemiche per via della clamorosa esclusione,  da parte del CT Mario Ricci, di Felice Gimondi. Il bergamasco, vinto il Giro d’Italia, soprattutto grazie alla famosa squalifica di Eddy Merckx, positivo dopo la tappa di Savona, era stato poi strapazzato dal Cannibale al Tour de France, finendo quarto in classifica generale, preceduto anche dai francesi Roger Pingeon e Raymond Poulidor. Nondimeno, nessuno metteva in discussione la sua convocazione per il mondiale in programma su una pista piatta come un biliardo, la stessa su cui 33 anni dopo Mario Cipollini avrebbe conquistato l'iride.

Il CT Ricci, però, esigeva che nelle due settimane successive alla conclusione del Tour gli azzurrabili partecipassero ad almeno una delle gare di selezione della squadra da schierare a Zolder, l'ultima delle quali, il Trofeo Matteotti, era in programma a Pescara il 3 agosto, una settimana prima del mondiale. Felice, invece, intendeva riempire lo spazio tra la conclusione della Grande Boucle e la prova iridata restando in Francia a disputare le remunerative kermesse post Tour con la partecipazione alla Parigi-Lussemburgo, una due giorni nel martedì e mercoledì precedente al mondiale, come unica rifinitura in vista di Zolder.

La polemica a distanza tra Ricci e Gimondi rimandò il ciclismo italiano indietro di 20 anni, riportandolo ai tempi di Bartali e Coppi, con titoli sulle prime pagine dei giornali anche  non sportivi. I legittimisti sostenevano la linea del CT Ricci che le regole dovevano essere uguali per tutti. I gimondiani, e anche qualcun altro, ritenevano, al contrario, che non si poteva trattare così il vincitore del Giro, oltretutto l'unico italiano nella storia della bicicletta ad aver conquistato i tre grandi giri. Ricci tenne il punto non convocando il bergamasco. Gimondi replicò, da quel fuoriclasse che era, vincendo, solitario per distacco, la prima tappa della Parigi-Lussemburgo. Le polemiche crebbero ulteriormente e l'Italia, di fatto priva di capitano, arrivò al mondiale come peggio non si sarebbe potuto.

Quel giorno ormai lontano andò in scena una corsa a dir poco schizofrenica. L'anziano Rik Van Looy e il giovane Roger De Vlaeminck coalizzarono la squadra belga contro Merckx, che non fu mai in corsa. L'Italia, che 12 mesi prima ad Imola aveva piazzato sette corridori nei primi otto posti con Vittorio Adorni sul gradino più alto del podio, brancolava nel buio, priva di uno straccio di strategia. In questo caos imperante, improvvisamente, un raggio di sole squarciò le tenebre. Michele Dancelli, prendendo il coraggio a due mani, scattò in beata solitudine a 100 chilometri dal traguardo. Per quattro giri del circuito il campione di Castenedolo alimentò le speranze dei tifosi azzurri che la maglia iridata sarebbe rimasta in Italia. Fu invano. Raggiunto ai meno 50 Dancelli si fece sfuggire i due carneadi, l'olandese Harmonius Ottenbros e il belga Julien Stevens che si giocarono in volata il titolo, vinto dall'orange. Michele dovette accontentarsi d'un amarissimo terzo posto.

La mattina seguente, lunedì 11 agosto 1969, il Corriere dello Sport titolava a pagina piena in caratteri cubitali "Dancelli, mondiale buttato". Il giorno successivo a difendere il bresciano emerse Felice Gimondi che puntualizzò che "Dancelli era stato l'unico a dare una connotazione azzurra alla corsa". Ci vollero mesi perché le polemiche sul mondiale di Zolder si placassero. Nel marzo successivo, con un'attacco da lontano simile a quello di Zolder, Dancelli andò a conquistare la Milano-Sanremo rompendo un digiuno che durava 17 anni, dal successo di Loretto Petrucci nel 1953. È troppo sperare che qualcosa di simile possa succedere in un futuro non troppo lontano anche per il nostro leoncino di Glasgow, Alberto Bettiol.

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