La gioia di Simone Velasco, vincitore della terza tappa della Volta Valenciana
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Velasco e il sogno di vincere una tappa al Giro. «Ma prima la Sanremo e le classiche»

Chiacchierata con il 27enne corridore dell’Astana, diventato padre lo scorso ottobre e già a bersaglio in questa stagione alla Volta Valenciana.

Tra i dieci italiani che hanno centrato una vittoria in questa prima parte di 2023 c’è anche Simone Velasco. 3 febbraio 2023, terza tappa della Volta Valenciana, arrivo a Sagunto; battuti Jungels, Gregaard e il gruppo dei migliori, con il 28enne metà elbano – di Procchio – e metà bolognese che può alzare le braccia al cielo e festeggiare il suo quarto successo in carriera, il primo in maglia Astana. Una vittoria con doppia dedica: per chi non c’è più, Umberto Inselvini, storico massaggiatore scomparso il 27 gennaio, una per chi è arrivata da poco – lo scorso 12 ottobre – nel nostro strambo mondo, la piccola Diletta. «La sua nascita è stata la gioia più grande della mia vita. Una novità magnifica, che mi ha cambiato anche a livello mentale: le responsabilità aumentano, ma è aumentata anche al sicurezza in me stesso, non solo nella vita di tutti i giorni, ma anche in corsa. Mi ha fatto un gran bene, spero di darne tanto io a lei da qui in avanti, anche se adesso mi aspettano diverse settimane lontano da casa». Dopo la Milano-Torino, Velasco sarà infatti in corsa alla Milano-Sanremo e alla Volta a Catalunya, per poi affrontare un ritiro in altura in preparazione alla settimana delle classiche ardennesi e al Giro d’Italia. «Non ho mai fatto un mese intero lontano da casa, non sono abituato. In questi ultimi giorni a casa, me la sono coccolata il più possibile. Ci siamo già organizzati per spezzare questa lunga lontananza e permettere alla mia famiglia di raggiungermi qualche giorno in Catalogna. Inizieremo presto a far girare il mondo a Diletta!».

Per preparare un Giro d’Italia, certi sacrifici sono necessari, ma i risultati e la fiducia aiutano.

«La stagione è partita più che bene, non mi aspettavo nemmeno io di essere così competitivo da subito! Ho lavorato bene durante l’inverno e si sono visti subito i frutti. Chi ben comincia è a metà dell’opera, anche se dopo la vittoria alla Valenciana, purtroppo, sono stato frenato da qualche malanno, tra covid e bronchiti varie, che mi hanno costretto a saltare la Tirreno Adriatico. Adesso mi aspettano le ultime corse prima di un piccolo “break”, in cui inizierò la preparazione in vista delle Ardenne e del Giro. Le gambe sono buone, vediamo se ho recuperato anche dal punto di vista respiratorio. L’obiettivo è essere competitivo.»

Anche alla Milano-Sanremo?

«Vediamo un po’ come si mette la corsa. Se ci sarà bisogno di aiutare un compagno mi farò trovare pronto, se avrò io sulle spalle la responsabilità di essere il capitano cercherò di fare il meglio possibile. È una corsa indecifrabile, ma vedendo chi ci sarà è facile pensare che ci sarà l’interesse a fare corsa dura: Pogacar proverà a farla sua, abbiamo visto tutti la condizione che ha».

Oltre a lui, l’ha impressionata anche qualcun altro?

«Alla Tirreno, Van Aert ha fatto vedere che va molto forte, nonostante fosse appena rientrato e si sia un po’ nascosto. Anche Pidcock mi aveva colpito, ma non sarà al via. Rimangono comunque tanti corridori che possono ambire alla vittoria ed è forse anche questo il bello di questa corsa, che la rende così incerta e seguita».

Dopo la Sanremo, il Catalunya.

«Il capitano per la classifica generale sarà De La Cruz, rientrerà anche Moscon dopo un periodo in altura. In base alla condizione che avrò, cercherò di fare il meglio possibile, magari anche per le tappe».

Il Giro d’Italia sarà l’appuntamento più importante della stagione, anche perché si tratterà del suo debutto alla Corsa Rosa. Come sta vivendo l’attesa?

«Avendo fatto il Tour de France l’anno scorso, riesco a gestire meglio l’attesa del grande appuntamento. L’attesa, l’anno scorso, fu snervante. Quest’anno, invece, sto lavorando con serenità per arrivare nella miglior forma possibile alle tappe in cui servirà».

Ha già un’idea di quali saranno, queste tappe?

«Non ho messo nessun cerchietto rosso, ma ho già visto quelle che potranno essere un po’ più adatte alle mie caratteristiche. Ce n’è più d’una».

Nel 2024, invece, il grande appuntamento sarà con il Tour de France che parte dall’Italia e che, nella seconda tappa, arriverà a Bologna.

«Non so ancora se rinnoverò con l’Astana o se cambierò squadra, è una cosa a cui penserò in un secondo momento. In ogni caso, sarebbe bellissimo poterci essere l’anno prossimo! È una vetrina unica e irripetibile».

Soprattutto per chi, come lei, le strade della seconda tappa le conosce a memoria.

«Ho perso il conto di quante volte ho fatto le salite di Botteghino di Zocca e di Monte Calvo – scherza Velasco. Non avrei mai pensato che potessero essere il teatro di una tappa del Tour. Tappa che sarà molto dura: per il percorso e perché nei primi giorni in gruppo ci sono tante energie».

Nel ciclismo di oggi, poi, sta diventando sempre più difficile trovare spazio: quando certi corridori sono al via, puntano sempre alla vittoria, su qualsiasi terreno.

«Con fuoriclasse del genere, le corse che rimangono a disposizione per noi comuni mortali sono veramente poche... Proprio per questo, bisogna essere bravi a farsi trovare pronti quando si presenta l’occasione».

Tra i grandissimi, almeno in questo momento, non ci sono italiani, con la sola eccezione di Ganna per alcuni tipi di corse. È un movimento in difficoltà, quello italiano?

«I movimenti in crisi sono altri», afferma perentorio Velasco. «Non ci sarà forse il fuoriclasse, però quest’anno abbiamo già vinto una decina di corse e diversi piazzamenti. Pelè è nato in Brasile, Evenepoel in Belgio e Pogacar in Slovenia: che un fenomeno nasca in un posto piuttosto che in un altro è anche frutto del caso, non penso dipenda tanto da come vengano cresciuti e gestiti i giovani. Prima o poi toccherà di nuovo anche a noi».

Tra i fenomeni di questi tempi, pochissimi, forse il solo Pogacar, hanno iniziato da subito con la bici da strada: Van Aert, Van der Poel e Pidcock vengono dal ciclocross, Evenepoel dal calcio, Roglic addirittura dal salto con gli sci e anche tu hai iniziato con la mountain bike. Forse conviene lasciare la strada per quando si diventa grandi?

«A fare la differenza è il modo in cui vengono interpretate le cose: anche interpretare la mountain bike o l’atletica in modo esasperato non porta a niente. Serve il giusto equilibrio, soprattutto con i giovani, a cui va lasciata la libertà di fare ciò che desiderano di più, senza troppe pressioni o stress addosso».

Qual è il suo rapporto con lo stress che la sua professione, tra viaggi, diete estreme e gare, comporta?

«Alimentazione, allenamento e recupero richiedono grande rigore e per conseguire anche solo un risultato servono enormi sacrifici. C’è chi estremizza tanto alcuni fattori, chi altri. Io, in tutta onesta, non penso potrei mai riuscire a reggere la vita che fanno altri corridori. Penso di essere riuscito a trovare un giusto equilibrio tra il lavoro che bisogna fare per raggiungere certi obiettivi e l’umana necessità di godersi la vita, anche nelle piccole cose».

Alimentazione compresa?

«Sì. Penso di essere rigoroso nella dieta, ma non maniacale. Quando corriamo, il nostro “motore” brucia 4-5mila calorie al giorno: per tenere su il sacco, serve anche benzina! Qualsiasi nutrizionista che non sia estremo indirizza sempre verso l’equilibrio. Le cose fatte con equilibrio, del resto, sono sempre le migliori».

È ancora presto per pensarci, ma sarebbe contento se sua figlia facesse il suo stesso mestiere?

«Partiamo da un presupposto: sarò contento qualsiasi scelta farà mia figlia per essere felice, che sia il ciclismo o qualsiasi altra cosa. Sicuramente, decidesse di fare il mio stesso lavoro, sarei consapevole di tutti i rischi che correrebbe sulla strada. Nonostante le ripetute tragedie, non mi sembra che la situazione stia migliorando, anzi», sottolinea sconsolato il corridore dell’Astana. «Chi, come noi corridori, è sulla strada praticamente tutti i giorni, deve avere mille occhi ovunque, soprattutto adesso che, tra smartphone e tecnologie varie, le distrazioni sono dietro ogni angolo e l’attenzione di chi guida è bassa. Servirebbe qualche regola in più per gli automobilisti e, forse, anche per i ciclisti che non rispettano il codice della strada».

Si spieghi.

«Tanti ciclisti “della domenica”, invece, non hanno l’esperienza che può avere un professionista e forse non percepiscono, almeno non come noi, certi pericoli. A volta, senza rendersene conto, possono addirittura finire per alimentare l’odio che alcuni automobilisti provano verso la bicicletta e chi la usa. Servirebbe molto più rispetto da entrambe le parti, soprattutto da parte di chi guida, è ovvio: quante volte capita che qualcuno mi sfrecci a pochi centimetri, senza che io abbia fatto nulla... E quanto mi girano!»

In Italia la situazione è peggiore rispetto ad altri Paesi?

«In Spagna ci sono sicuramente un’attenzione e un rispetto molto maggiore nei riguardi dei ciclisti. In Costa Blanca – dove Velasco ha passato il ritiro invernale con la squadra – come nel resto della Spagna, si può tranquillamente pedalare appaiati: c’è una legge che impone di sorpassare i ciclisti ad almeno un metro e mezzo di distanza, anche se procedono in coppia e questo, a livello di sicurezza, fa un’enorme differenza. Non penso proprio che sia solo per il meteo che tutte le squadre scelgano ormai di andare in Spagna per iniziare la stagione».

Si sente di dare qualche consiglio a chi ama la bicicletta, per correre meno pericoli in strada?

«Il primo è quello di occupare il minor spazio possibile della carreggiata. Ne vedo troppo che viaggiano in mezzo alla strada, pensando di essere gli unici a fruirne. Dicendo così, so di andare contro l’opinione di tanti ciclisti non professionisti, ma fino a che le regole del Codice della Strada non cambieranno, è questo il modo più semplice per stare lontani dai guai. A cambiare, prima di qualsiasi altra cosa, deve essere l’attitudine di tutti i fruitori della strada, in primis quella degli automobilisti, che dovrebbero smettere di pensare che sfrecciare ai 100 all’ora di fianco ai ciclisti, magari per risparmiare un secondo. Servirebbe maggiore coscienza del fatto che basta davvero un attimo buttare a terra una persona e provocare conseguenze irreparabili».

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Nonostante tutto, il ciclismo è la mia unica passione.