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Fernando il fantasista

08.05.2017 14:22

L'atipicità di Gaviria, tra colpi di genio e alcune ingenuità


In una Sardegna che tra paesaggi e finali insidiosi prometteva uno spettacolo più che godibile, premiato dall'entusiasmo di un pubblico sempre più appassionato, anche Eolo ha voluto dire la sua. Passi il colpo di mano che non t'aspetti, passi il volatone prevedibile ma vuoi che il gruppo non si diriga verso le sponde della Trinacria prima di esser stato saggiato dall'impeto del vento, che se da una parte addirittura rendeva decisamente più ardua la marcia (obbligando a vere e proprie prove di equilibrismo), dall'altra poteva stuzzicare finali più avvincenti e alternativi alla classica conclusione a ranghi compatti?

Se poi c'è in gara una formazione come la Quick-Step Floors, rodata ormai per ogni tipologia di spiffero, da quelli gelidi del Nord Europa a quelli violenti e sabbiosi del deserto, dopo anni ed anni di scrupoloso apprendimento al sacro magistero di Tom Boonen (in certe giornate pare ancora di vederlo lì in testa al plotone, Tommeke, mentre fa il diavolo a quattro... d'altronde dall'ultima volta che ha attaccato il numero dietro la schiena le giornate si possono contare ancora nell'ordine della decina), qualcosa in simili condizioni devi aspettarti che succeda. E chi avrebbe potuto approfittare di una simile situazione se non Fernando Gaviria, che quando c'è da inventare un finale diverso dal solito è sempre pronto a dire la sua?

Parliamoci chiaro: è obiettivamente difficile considerare ancora il colombiano un mero velocista forgiato dai velodromi, perché simili intuizioni possono avere esito felice solamente se a doti fisiche eccezionali si somma una sagacia tattica superiore alla media. Avesse fatto il calciatore oggi probabilmente parleremo del buon Fernando come un numero 10 dai piedi raffinatissimi, di quelli capaci di realizzare il gol d'antologia ma al contempo di fornire assist deliziosi ai compagni. Il tutto magari condito da qualche finezza di troppo, come l'esagerare il dribbling o la giocata, che porta a perdere il pallone e a vanificare quindi un'ottima opportunità realizzativa. Un fantasista insomma, di quelli che tanto piacciono ai cultori dell'estetica affiancata al mero pragmatismo.

Dalla pista alla strada con numeri d'alta scuola
Chi ha imparato a conoscere Gaviria ne è stato folgorato inizialmente per ciò che ha saputo mostrare su pista, in cui sono venute prepotentemente alla ribalta doti atletiche notevolissime e una maturità da veterano difficilmente riscontrabile in ragazzi di pari età. Del resto se non si hanno simili qualità non si riesce a prevalere in una competizione come l'Omnium, che oltre che fisicamente finisce per consumare anche molte energie psicologiche a coloro che l'affrontano col chiaro obiettivo di prevalere. Eppure, dopo aver fatto proprio il titolo mondiale juniores (sommato anche ad un iride nell'Americana), Fernando è stato capace di ripetersi per ben due volte anche nella massima categoria, poco più che ventenne e rivelandosi un osso durissimo per tutti i migliori specialisti del globo, compreso il nostro Elia Viviani.

Ribadire quanto sia utile la frequentazione dei velodromi, anche senza arrivare a risultati così elevati, appare quasi superfluo. Eppure in Fernando è stato tangibile il repertorio degno dei pistard più scafati anche quando le apparizioni su strada si sono fatte sempre più frequenti, fino a costituirne il presente attuale. A cominciare da un'esplosività ed una progressione che sanno essere devastanti se innescate in maniera ottimale: chiedere a Mark Cavendish che all'alba del 2015 al Tour de San Luis finì letteralmente sverniciato dal ragazzino colombiano, impressionando a tal punto i vertici della Quick Step da convincersi a non farsi scappare per nulla al mondo un ragazzo similmente dotato.

La progressione appunto: per sostenere volate lunghissime è necessario avere una costanza di passo più che notevole e la specializzazione in una gara come l'Omnium, che nel vecchio formato prevedeva anche le prove a tempo come l'Inseguimento individuale e il Chilometro, ha finito con l'affinare questa caratteristica di Gaviria, ritrovatosi così a possedere un'arma in più per i finali di gara. In virtù di questo infatti non sono precluse a lui neppure vittorie da finisseur d'altri tempi e l'apoteosi di questa considerazione la si può avere riguardando lo spettacolare finale dell'ultima Parigi-Tours, quando sull'infida Avenue du Grammont Fernando si trovò ad inventare uno dei numeri più belli dell'anno, che gli permise di conquistare la prima vittoria in una classica, tra l'altro tra le più ostiche da conquistare per via dell'imprevedibilità del finale, storicamente parlando.

Sveglio, generoso e ben supportato
A questo si somma la sagacia tattica che consente di capire quando arriva il momento giusto per agire, traducendosi in affermazioni di tempismo e giustezza come quella di Civitanova Marche alla Tirreno-Adriatico di quest'anno o quella ammirata ieri a Cagliari, in cui occorreva afferrare l'attimo nel momento in cui il vento continuava a soffiare impetuoso e assecondare le volontà di squadra, per poter così tentare anche l'assalto (perfettamente riuscito) alla maglia rosa. In questo anche i compagni hanno la loro importanza e l'avere un apripista sufficientemente esperto e smaliziato come Maximiliano Richeze può risultare determinante per la buona riuscita dei risultati.

Non a caso, tornando al paragone calcistico, il fantasista dà il meglio di sé nel momento in cui anche la squadra riesce ad assecondare al meglio il suo ingegno, ricavandone anche soddisfazioni supplementari. Qui torniamo al concetto dell’assist, che ciclisticamente si traduce nel favorire la vittoria del compagno: l'inventiva e intuito di Gaviria ha infatti saputo portare al successo anche altri atleti della Quick Step e in più di un'occasione. Proprio al colombiano infatti Davide Martinelli deve la sua prima vittoria da professionista in Provenza lo scorso anno (per poi ripetersi in Polonia, ancora doppietta con Fernando) e sempre a Gaviria si deve anche il ritorno al successo di Richeze nella quarta tappa del Tour de Suisse del 2016.

L'altra faccia della medaglia: le ingenuità e gli episodi pagati a caro prezzo
Dovessimo limitarci a quanto detto finora parleremmo già di un potenziale cannibale, invece a colpi memorabili Gaviria ha finora saputo accostare anche errori evidenti e situazioni sfortunate (e vivaddio se non fosse così, vista l'età ancora verde che possiede!). Su tutti resta nella memoria il finale della Milano-Sanremo 2016: dopo oltre 290 chilometri Fernando è ancora presente nel gruppo buono e in simili condizioni rappresenta uno spauracchio per tutti, sembra pronto a far polpette dei suoi avversari, a riprova di un fondo già notevolissimo. Lo stress, la stanchezza e l'inesperienza in un simile contesto però gli giocano un brutto scherzo e così la sua gara finisce, di fatto, col contatto tra la sua ruota anteriore e quella posteriore della bici di Van Avermaet, che lo vede ruzzolare in terra.

Un rimpianto enorme, a cui si è poi aggiunto quello del mondiale di Doha, in cui il colombiano si era fatto sorprendere nei ventagli ed ha poi concluso sfortunatamente la corsa nella carambola con Durbridge e Mezgec che gli lasciò una spalla malconcia. Neppure in questo 2017 la Classicissima gli ha sorriso, visto che ci è arrivato al termine di una Tirreno-Adriatico più che brillante ma con l'avvicinamento rallentato sul più bello da una caduta in allenamento, anche se lo spettacolare esito finale che, sostanzialmente, ha finito col tagliare fuori tutte le ruote veloci ha reso sicuramente meno amaro il quinto posto.

Di certo Fernando ha già offerto importanti prove anche nel nord, nella prospettiva di poterlo vedere protagonista anche sul pavé in futuro, al punto che bene fanno le sconfitte avvenute per un eccesso di sicumera, come alla Dwars door Vlaanderen, in cui rimbalzò indietro dopo aver lanciato la volata da lontano. In ottica successi di tappa nei grandi giri invece è importante che trovi la capacità di scegliere l'attimo anche negli sprint più affollati e complicati, al fine di non incorrere in inconvenienti che danneggino sia lui che gli altri (il fortuito contatto con Ewan a Tortolì, ad esempio) e che potrebbero appiccicargli fastidiosi accostamenti al "banditismo" nei finali (a pensarci bene anche nei confronti di Richeze ieri gli epiteti non sono stati troppo teneri da parte di alcuni appassionati). Serve quindi il Gaviria lucido e spietato dei giorni migliori, che alla scelta di tempo ottimale affianchi anche una guida della bici degna di Robbie McEwen, che in certe situazioni sapeva andarci a nozze e che in finali ben poco banali sapeva inventare magate come nessun altro. Mettiamoci che Fernando ha dalla sua anche potenziali doti da finisseur e si finisce per comprendere ancor meglio quel che auspichiamo.

In tutto questo però Gaviria il suo primo segno tangibile sul Giro d'Italia è riuscito a lasciarlo, prendendosi in dote anche la maglia rosa. Se a questa vittoria ne faranno seguito altre, se da qui a Milano sarà concretamente in lizza per conquistare la maglia ciclamino, lui che potrebbe resistere anche meglio di tanti altri velocisti in salita, al momento non ci è dato di saperlo. Per adesso lo lasciamo godersi il simbolo del primato festeggiato con una doccia di champagne, che ai suiveurs più attenti avrà ricordato in parte quella che fece il connazionale José Jaime González Pico, da tutti conosciuto come "Chepe", dopo il trionfo a Monte Sirino del 1999. Che sia salita oppure adesso anche volata con i colombiani lo spettacolo è sempre garantito, tra un colpo di genio e quel pizzico di sregolatezza che rende il tutto più autentico.
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