Gaffuri, Ginestra, Carollo e Pettiti sotto il podio delle premiazioni del campionato italiano élite 2025 © Swatt Club
L'Artiglio di Gaviglio

Lo Swatt Club non salverà il ciclismo italiano. Ma intanto, che sveglia gli ha dato!

Il clamoroso successo di Filippo Conca alla prova tricolore ha messo a nudo tutti i limiti di un movimento nel quale, oltre alla qualità, mancano proprio corridori e squadre abituati a correre per vincere

01.07.2025 16:15

Il calcio italiano è in crisi perché mancano risorse economiche, progetti, campioni e perché pure i praticanti, nonostante numeri ancora imponenti, iniziano a diminuire. Anche il ciclismo italiano è in crisi perché mancano risorse economiche, progetti, campioni e (qui sì, drammaticamente) praticanti. 

Pochi interpreti e poca fantasia  

Ma c'è dell'altro che accomuna queste due crisi: la mancanza di fantasia e di propensione a gareggiare per vincere. Come nel calcio mancano, ormai, i giocatori capaci di saltare l'uomo con regolarità, così nel nostro ciclismo mancano i corridori capaci di improvvisare, sparigliare le carte con un attacco da lontano o comunque fuori dagli schemi. Nel calcio si insegnano la costruzione dal basso e il possesso palla che però, spesso, rimane fine a sé stesso, senza la giocata che apre la difesa avversaria e manda l'attaccante in rete. E nel ciclismo si insegna a tenere cucita la corsa: a tirare, tirare, tirare, avendo spesso come unico piano quello di portare il proprio capitano a giocarsela nel finale, che sia in volata o sull'ultima salita. È molto raro vedere un’ammiraglia discostarsi da questo copione, e pazienza se altre squadre hanno finalizzatori più forti. Anche se gli esempi di come si possa interpretare diversamente una corsa in bicicletta, nel ciclismo contemporaneo, sono quasi all'ordine del giorno, grazie ai Pogačar, agli Evenepoel, ai Van der Poel e non solo.

Tadej Pogacar trionfa alla Strade Bianche 2025 ©La Presse
Tadej Pogacar trionfa alla Strade Bianche 2025 ©La Presse

Certo, direte voi, facile correre all'attacco se si è dei fenomeni, mentre ai comuni mortali spesso non resta altra soluzione che correre di rimessa, E però è innegabile che, sulla scia di quanto fatto dai grandi campioni di questo tempo, anche altri interpreti dal pedigree meno blasonato ci abbiano ormai abituato a corse molto più battagliate e imprevedibili rispetto al recente passato. 

In Italia meno. E anzi, il dramma delle squadre di casa nostra è che sempre più raramente le vediamo anche soltanto provare a “fare la corsa”, fosse pure in modo conservativo. Sempre più spesso, infatti, ci si accontenta di correre per “far vedere la maglia”, puntando cioè ad entrare nelle fughe della prima ora, quelle che di solito hanno poche se non addirittura nessuna possibilità di arrivare. Con il paradosso di dedicare molta più attenzione alle prime battute di una corsa – gara in linea o a tappe che sia – che non a quelle finali, nelle quali la differenza tra la vittoria e la sconfitta passa spesso per pochi, piccoli dettagli, e per decisioni da prendere necessariamente nel giro di qualche secondo. 

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Giosuè Epis, Andrea Pietrobon e Manuele Tarozzi in fuga nella 12ª tappa del Giro d'Italia © Sito ufficiale Giro d'Italia

Non abbiamo squadre World Tour, e anche i corridori che vi militano, di solito, sono comunque impiegati come gregari, dunque ben di rado protagonisti in prima persona nelle fasi salienti di una gara. Quanto alle poche Professional rimaste, data l'enorme differenza di budget – e, quindi, di organico – con i top team, è oggettivamente difficile chiedere loro di recitare un ruolo da protagoniste nelle corse più importanti. 

E quindi non dipende tanto dall’abitudine a correre con o senza le radioline, né dalla distribuzione dei picchi di forma, quanto proprio dalla disabitudine dei nostri corridori a prendere parte a una corsa con l'obiettivo di vincerla: è soprattutto così che si spiega l'incredibile epilogo del campionato italiano élite di domenica, perché naturalmente è di questo che stiamo parlando. La vittoria dell’”amatore” – fra molte virgolette, trattandosi pur sempre di uno che fino allo scorso ottobre era professionista, e probabilmente tale tornerà ad essere già dalle prossime settimane – Filippo Conca e, ancora di più, la prestazione di squadra offerta dal suo Swatt Club, team dilettantistico capace di mettere tre uomini in top ten e di indirizzare a suo piacimento la prova tricolore, hanno finito per squarciare il velo, per la verità sottilissimo, che ancora celava allo sguardo le reali condizioni del ciclismo italiano

Un sistema inceppato e una sveglia da ascoltare

Un ciclismo che da anni aveva perso la quantità (di squadre, corridori e corse) dei tempi d'oro, e che ormai da diverso tempo ha smarrito pure la qualità: perché dopo qualche stagione in cui si è comunque vissuto di rendita, grazie agli exploit del Nibali o del Ganna di turno, e grazie al retaggio di una tradizione che ancora sopravvive nei tanti (ma comunque, a loro volta, sempre meno numerosi) direttori sportivi e tecnici di scuola italiana, dopo tutto questo, dicevo, cosa ci resta in mano? Una schiera di onesti gregari spremuti dalle formazioni World Tour; una manciata di squadre Professional disabituate a correre per il risultato; una pletora di Continental senza arte né parte; e un disperato bisogno di nuovi nomi per i quali emozionarci e sognare, che ci porta a caricare di eccessiva pressione le spalle di un 18enne pur talentuoso come Lorenzo Finn, e a storcere già il naso dopo un Giro Next Gen appena al di sotto delle attese.

Lorenzo Finn al suo primo Giro Next Gen ©LaPresse
Lorenzo Finn al suo primo Giro Next Gen ©LaPresse

Dall'altra parte c'è, invece, lo Swatt Club: che certamente non sarà la soluzione ai mali del nostro movimento e che d'altronde, per come è impostato oggi, nemmeno vuole esserlo, avendo come scopo quello di concedere una seconda chance a chi dal professionismo è sempre stato respinto (vedi alla voce Gaffuri) o, ad un certo punto, scartato. Ma che con l'incredibile trionfo tricolore di Conca, frutto di una preparazione atletica chirurgica e di un approccio tattico studiato mei minimi dettagli, ha suonato una sveglia talmente fragorosa da svegliare anche un morto. Chissà, però, se così fragorosa da svegliare perfino il carrozzone del nostro ciclismo. 

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