Francesco Moser e Giuseppe Saronni
La Tribuna del Sarto

Wout&Mathieu, cercate di avere il "cattivismo" di Moser&Saronni!

Nei giorni scorsi, mentre teneva banco il discutibile regalo di Van Aert a Christophe Laporte (la Gand-Wevelgem...), l'Italia riassaporava la disfida antica quanto ancora necessaria tra Beppe e Checco

01.04.2023 23:15

Le fontane di piazza Cavour disegnano cipressi bianchi d’acqua nel cielo terso al tramonto. L’aria, finalmente primaverile e pulita dal vento di questi giorni a Torino, invita ad uscire di casa. Decidiamo di cenare fuori con una coppia di amici ed i loro figli. La zona dei locali di San Salvario brulica di gente il sabato sera, già molto prima di cena la corsa a cercare un tavolo nei locali più ambiti del quartiere è partita.

È un'impresa trovare posto presso il miglior ristorante cinese di Torino, il piccolo Oh Crispa, figuriamoci per otto persone! Siamo fortunati, l’unico tavolo grande in grado di accogliere tutti noi non è ancora occupato. La curiosità di provare cibi esotici, il brodo che cola sulle mani degli Xiao Long Bao, ravioli artigianali di Shangai ripieni di brodo e maiale cotti al vapore, creano un clima rilassante e divertente.

Quando mi chiedono che farò domenica, rispondo che ho il pomeriggio occupato dalla Gand-Wevelgem. Ridono e si stupiscono di questa mia folle passione per il ciclismo. Non conoscono la Gand-Wevelgem, non sanno nemmeno chi sia Wout van Aert; grazie alle loro buone conoscenze geografiche capiscono solo che si tratta di una corsa in Belgio. Il loro figlio più piccolo, Pietro, è incuriosito, deve sembrargli un tipo strano un appassionato di ciclismo. Gli spiego che è una corsa importante, adatta a più tipi di corridori, con alcuni tratti di strada sul pavé, - giusto, come quello del ponte sul Po di piazza Vittorio - Sveglio il ragazzo!

Alla sua età non avevo bisogno che mi spiegassero cosa fosse la Gand oppure il pavé, allora io e tutti i miei coetanei eravamo informatissimi sul ciclismo. Merito della passione dei primi anni ottanta per la bicicletta, delle infinite discussioni tra saronniani e moseriani. A Novara, dove sono nato, Saronni aveva percentuali bulgare di tifosi! Il brianzolo Saronni è nato quasi per caso nella città del riso, all’ombra della cupola di San Gaudenzio, ed a noi bastava per sentirci orgogliosamente suoi concittadini.

Qualche bastian contrario c’è sempre stato, e giù risse e battibecchi. Bene o male ci si alternava a litigare per il calcio ed il ciclismo. Forse è un caso, o forse no, ma i saronniani erano soprattutto interisti o del Toro, i moseriani dell’altra squadra di Torino. Praticamente un tratto antropologico nella città piemontese quasi lombarda.

Nei giorni scorsi, a circa 40 anni da quando correvano, sulle pagine del Correre della Sera è rinata la polemica tra i due ex ciclisti, ma non ex rivali. Una polemica che a qualcuno può apparire sterile, stucchevole, assurda; ma che al bambino di allora riaccende ricordi, pomeriggi a sfidarsi in bicicletta tra gli sterrati delle risaie, con prove di coraggio come pedalare su stretti ponti di ferro delle rogge dei canali.

Una passione per il ciclismo nata sulla scorta di sfide, orgoglio e risse. Questo tratto caratterizza gli appassionati di allora, pieni di romanticismo, capaci di credere ancora ai colpi di fulmine sportivi.

Il mio più recente colpo di fulmine? Ben Healy.

Fu il Giro Under23 del 2020 che mi fece innamorare di questo ragazzo irlandese, i suoi attacchi continui, l’ondulare delle spalle in salita, la tenacia scarsamente premiata. Assieme ad Alessandro Autieri di AlVento eleggemmo subito Ben Healy a nostro idolo. Lo soprannominammo Irish Wild Rover, come una nota canzone popolare irlandese cantata dai The Pogues.

La canzone racconta di un giramondo che torna in una taverna del suo paese, ma il suo stato di vagabondo gli impedisce di avere credito per poter bere. Solo la vista del denaro trasforma agli occhi della proprietaria il selvaggio nomade nel miglior cliente, a cui proporre il vino e il whiskey più pregiati. Lui figliol prodigo, promette che non sarà più un Wild Rover.

Healy con i suoi attacchi è lo spirito vagabondo delle corse, per ricevere un buon bicchiere di vino deve mostrare tutto il suo miglior talento, come domenica scorsa al GP Industria e Artigianato, con un attacco sulla salita del Fornello e la tenacia nel contenere il rientro degli inseguitori fino al traguardo. A lui costeranno sempre care le vittorie, ad un selvaggio vagabondo non si fa credito.

Domenica lo stesso vecchio bambino, tifoso di Saronni, che ha ricevuto in regalo la vittoria di Healy, è rimasto deluso dal gesto di Wout van Aert. Il fenomenale ciclista belga ha espresso l’ennesima dimostrazione di superiorità, ha, assieme alla sua squadra, costruito, controllato, dominato la Gand, si è permesso lui di decidere di aspettare e regalare la vittoria al suo fedele compagno, Christophe Laporte.

Un gesto visto molte altre volte nel ciclismo, che ha un senso in una gara a tappe, "A te la tappa, a me la maglia" è una legge non scritta; ma i bambini testoni e rissosi come me non riescono ad accettare certi finali in una corsa in linea, specie se importante. Qui parliamo della Gand-Wevelgem! Una classica merita rispetto come chi ha aspettato ore sotto la pioggia a bordo strada, chi l'ha guardata per un intero pomeriggio in tv e, come ha giustamente detto il Magro in telecronaca, chi l'ha commentata per ore.

Inoltre, domenica la volata a due non era affatto scontata, magari Laporte avrebbe vinto lo stesso. E non avrebbe avuto per lui un altro gusto la vittoria? Forse mi sbaglio, a Laporte darà più gioia la dimostrazione di amicizia di Wout; le dinamiche all’interno di una squadra possono valere più di una classica. Per loro, però, non per noi.

Il problema è che non si possono fare gli albi d'oro con gli * (* su gentile concessione di WVA). Fra qualche anno, contando le sue vittorie in carriera, saranno in pochi a ricordare il gesto di Van Aert. Contento lui…

Sta bene che vinca non il più forte ma il più bravo, anzi è proprio questa l’essenza dello sport, altrimenti bastano una analisi genetica e qualche test a scrivere i podi. Adesso cosa dobbiamo aggiungere? Che vinca il più "fedele", il più "amico", il più "buono" di chi era più forte quel giorno?

Risparmiateci queste scene, di ingoiare l’ennesimo rospo, vi prego. A saperlo prima, saremmo tutti usciti a passeggio subito dopo l'ultimo Kemmelberg. La mia generazione, per nulla politically correct, ruspante, quando le trattorie erano trattorie e non raffinate prove culinarie esotiche, “vecchie guardie” sui gradoni di cemento dei "settori popolari”, non finirà mai di ringraziare Saronni e Moser, per la loro rivalità in strada e fuori, per averci fatto riassaporare dopo 40 anni il sale della passione con l’ennesima, inutile, fuori tempo massimo, polemica.

Wout, leggi le due interviste del Corriere a quei due splendidi “mascalzoni”, leggile assieme a Van Der Poel, tocca a voi seminare il seme della passione per il ciclismo nelle nuove generazioni, in Pietro, bambino incuriosito dal pavé e da quello strano binomio di nomi di città belghe!

I buoni sentimenti lasciamoli ai noiosi discorsi ufficiali del presidente del CIO, che tanto nessuno ascolta, voi siate selvaggi! Fateci tornare a discutere e litigare di ciclismo sulle panchine, all’ombra ed al fresco delle fontane di piazza Cavour.

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