Il Giro di Remco Evenepoel è finito dopo nove tappe © Soudal-Quick Step
La Tribuna del Sarto

Remco, un ritiro che è un passo in avanti per il ciclismo

Il caso Evenepoel afferma con forza che il corpo del corridore è di proprietà del corridore. E non merita attenzione il linguaggio violento di chi ha parlato di fuga dal Giro o di maglia rosa da onorare

18.05.2023 09:30

La positività al covid della maglia rosa, Remco Evenepoel, ed il conseguente ritiro dal Giro106 hanno acceso la discussione tra appassionati e addetti al lavoro del ciclismo. Ovviamente il rammarico che la nostra amata corsa abbia perso il campione del mondo in carica è duro da digerire, ma le reazioni lette e sentite in queste ore sono spesso figlie di una pericolosa cultura sportiva. Prendiamone atto, il sottotesto di tante opinioni sul caso Remco evidenzia il completo disinteresse per la salute dell'atleta e per la sua libertà/dignità di scegliere per se stesso.

È una brutta pagina per i suiveurs, che ci deve convincere ancora di più della necessità di un cambio culturale profondo nello sport e nel ciclismo in particolare, mentre nella decisione personale del campione belga riconosco un grande passo avanti. Ammesso che sia una scelta dell’atleta con il suo medico, almeno così pare, dimostra che finalmente il corridore è "proprietario" del suo corpo e che, nel bilancio rischi e benefici, il benessere psico-fisico sia stato posto al centro.

La maggiore consapevolezza della propria salute e del proprio fisico, non come semplice strumento di lavoro, ma come ricerca e cura della propria felicità, è un fenomeno in crescita nel gruppo; benché tanta e tanta strada ci sia ancora da fare. Questa generazione di corridori ha dato inizio ad un cambiamento e la scelta di Remco è in questo felice solco; una vera e propria rivoluzione culturale figlia del passaporto biologico (PB), di quello che ha significato, non solo nella lotta al doping, ma come paradigma nello sport.

Un esame del PB può dare quattro tipi di responsi:
Profilo "normale"
Profilo "sospetto" (necessarie ulteriori analisi)
Profilo "doping"
Sospetta patologia

L'ultima possibile risposta apre le porte ad una nuova visione del controllo antidoping, non solo nel tentare di prevenire e proteggere l'atleta dall’utilizzare sostanze proibite e pericolose e da pressioni esterne che lo spingano a farlo, ma anche a curare e monitorare il proprio benessere, la propria salute. Se il controllo antidoping è finalizzato solo a scoprire un eventuale illecito, il PB, invece, ha come suo intrinseco fine proteggere la persona ed il corpo dello sportivo.

Auspico un PB che monitori la salute mentale, il peso e la percentuale di grasso, pur conscio che ci sia il pericolo che ci si ossessioni ancor di più su questi aspetti; ma si deve studiare un modo per controllare anche queste tipiche e frequenti fragilità degli atleti di élite. Dal 2009, da quando è stato inaugurato il modulo ematologico del PB, molto è cambiato e molto cambierà ancora, molti sono i punti ancora critici, ma soprattutto ha fatto finalmente breccia, per ora solo inizialmente, una nuova mentalità e cultura tra gli atleti. La scelta di Evenepoel, così come quella di altri corridori, deve essere rispettata proprio perché ponderata sulla propria salute, non sulle aspettative di terzi o contingenti.

In medicina qualsiasi scelta per essere Etica deve tener conto di tre aspetti: letteratura scientifica; psiche, vita ed ambiente del soggetto (per quanto possibile in armonia con le capacità, abitudini e bisogni del singolo); ed aspettative. Troppo spesso ci si dimentica di quest'ultimo punto, che invece è fondamentale per un successo terapeutico e fautore di mille incomprensioni. Nel caso specifico del Campione del Mondo, sono state proprio le enormi aspettative sul suo futuro a giocare un ruolo importante, certamente non l'unico.

Allora il tifoso, il dirigente, l'espertone da tastiera può invadere questo spazio? La risposta è ovviamente, NO! Non sarebbe etico, appunto.

Non merita nemmeno una parvenza di attenzione chi parla di "fuga dal Giro", alludendo a sconfitte certe, vigliaccheria agonistica o, peggio, ad escamotage per nascondere l'uso di sostanze proibite. Come ho già scritto in passato, è solo fanatismo!

Fin dove può arrivare questo cambiamento culturale? Dove sta il confine di un corretto bilanciamento tra rischio e beneficio? È illusorio immaginare uno sport scevro da pericoli, ad esempio una discesa alpina, oppure un'attività agonistica che non "consumi" il fisico. Lo sport intrinsecamente possiede una sua componente di temerarietà, molto del suo fascino è dovuto a questo. Quindi è giusto trovare equilibrio tra tutti questi aspetti ed essere consapevoli che ciò che è giusto oggi, può non esserlo stato ieri oppure potrà non esserlo in futuro; siamo davanti ad un compromesso, ad esempio la tappa da tregenda del Gavia (Giro 1988) sarebbe stata annullata con i protocolli attuali.

Giusto? Sbagliato? Certo lo sport perde in epicità, ma le dita dei corridori, a rischio congelamento con danni permanenti, ci guadagnano.

È il significato simbolico che hanno lo sport ed il corpo dello sportivo nella nostra società che determina dove porre il giusto limite, dove osare e dove no, sempre in sintonia con il pensiero e desiderio dell'atleta, senza dimenticare il capitolo sicurezza.

Il Giro d'Italia perde il faro della corsa, da appassionato mi dispiace moltissimo, ma il ciclismo forse ha fatto un passo in avanti, ha dato l'ultima parola al corridore, aiutato dal suo medico. Chiedere a Evenepoel di "onorare" la maglia rosa è un linguaggio, permettetemi di dire, violento non tanto nei confronti del ciclista, ma dell'uomo.

Non nascondiamo la nostra delusione dietro una questione di forma e tempi di comunicazione del ritiro, non è questo il punto, siamo onesti. La strada per uno "sport pulito", come si chiede da mille cantoni, passa inevitabilmente da scelte dolorose come queste.

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