
Pogacar fa ancora il modesto: «Vingegaard è il miglior scalatore al mondo»
Alla vigilia della partenza del Tour 2025, il campione del mondo è pronto a una nuova sfida con il rivale di sempre. «Da quando non guardo media e social, la mia vita è molto più bella»
Ve lo ricordate? Luglio 2022: Tadej Pogacar, bicampione in carica del Tour de France, non ci pensa su due volte e, alla vigilia della partenza della sua terza Grande Boucle, afferma: «Vingegaard è il miglior scalatore al mondo». Quell’anno, e pure il successivo, la strada gli diede ragione, prima della rivincita dell’anno scorso, in parte favorita dai guai del rivale dell’ultimo lustro. Bene, la notizia è che, nonostante le peripezie del rivale, alla vigilia del Tour de France 2025 Pogi non ha cambiato la sua idea: «Penso che Jonas sia in grande condizione e credo che sia il miglior scalatore del mondo, al momento come negli ultimi anni. Sulle salite più lunghe è uno dei migliori, se non il migliore, e anche a crono può andare forte, a volte più di me, altre meno». Speriamo abbia ragione, almeno in parte, ovviamente per lo spettacolo; che, secondo il campione del mondo, non mancherà: «Gli ultimi 5 anni intensi tra me e Jonas, è una grande rivalità che si ripeterà anche quest’anno. Vedremo se ci scambieremo di nuovo di posizione». Alla faccia della scaramanzia!
«Da quando non guardo media e social, la mia vita è molto più bella»
È un Pogačar all’apparenza molto sereno quello che ha “affrontato” i media giovedì, nel giorno della presentazione della squadre a Lille. Una foto con lo smartphone prima di concedersi ai cronisti e una battuta sulla qualità dello scatto. Il tre volte vincitore del Tour sé pronto a mantenere lo stesso approccio per tutto il Tour: «Parlare con i media è complicato: le persone si fanno sempre un’opinione a prescindere da quanto tu faccia o dica, è impossibile piacere a tutti. Da quando ho smesso di seguire molti media e di passare troppo tempo sui social, di non dare troppa attenzione a questi aspetti, la mia vita è molto migliore. Devi sempre pensare bene a quello che dici, ma sono pronto anche a questo! Per le prossime settimane cercherò di essere rilassato con la stampa, di rispondere con il sorriso alle domande e a non dare troppo peso a quali potrebbero essere le conseguenze di ciò che dirò».
Chissà che questa nuova fase zen non aiuti Pogačar anche nel rapporto con gli altri corridori, su tutti proprio Vingegaard. Il riferimento, è chiaro, è all’offesa – fin troppo pubblicizzata – documentata dalla serie Netflix sul Tour 2024: «Non è bello offendere qualcuno, ma nello sport capita spesso di dire qualcosa di cui ci si pente. Capita spesso in gruppo, ci sono tanti momenti di tensione, specie quando ti stai giocando le corse più importanti. Tra UAE e Visma c’è stata tensione in passato, è normale sia così ed è anche un aspetto che rende lo sport interessante, ma tra di noi c’è grande rispetto».

Dopo il ritiro in altura a Isola 2000 e qualche giorno di relativo relax passato in famiglia, Pogačar è pronto anche per la strada e per una prima settimana senza grandi salite, ma con mille trabocchetti: «I primi giorni sono sempre i più intense e stressanti. Si può perdere il Tour in un attimo, ma ci possono essere anche occasioni per guadagnare terreno. Non credo, però, che questo debba necessariamente essere un mio obiettivo. L’importante sarà stare lontano dai guai e risparmiare energie per l’ultima settimana». Quella più dura, con il tappone del Col de la Loze, non certo uno dei ricordi più belli per lo sloveno, indicato da Pogi come tappa regina; senza citare la salita che lo ha visto affondare due anni fa, ma solo i 5500 metri di dislivello di quella giornata. Chissà come mai…
«Senza tifosi, il ciclismo sarebbe uno sport noioso»
Tra i temi trattati, oltre al totale disinteresse per i secondi di abbuono rimossi al passaggio sulla cima di alcune salite e per l’ipotetico obiettivo di migliorare le sei vittorie di tappa dell’anno scorso, c’è anche quello della sicurezza: «Mi sento insicuro molto spesso quando vado in bici», ha confessato Pogačar, aggiungendo senza tanti giri di parole che «il ciclismo, molto semplicemente, non è uno sport sicuro. Si rischia la vita ogni volta che si esce nel traffico per allenarsi, c’è tanta gente nervosa in giro. In corsa le cose cambiano un po’, sei tu con altri 170 corridori, in strade chiuse al traffico e con un sacco di tifosi, ma può sempre accadere qualcosa. A volte possono esserci problemi, anche con la gente a bordo strada, ma senza di loro, il ciclismo sarebbe uno sport noioso. Sono loro che rendono le corse così belle!».
Tra le misure imposte dall’UCI nel tentativo di migliorare la sicurezza in corsa, c’è anche il sistema dei cartellini gialli, che debutterà quest’anno al Tour. Il portacolori della UAE Emirates-XRG non sembra convintissimo del modo in cui il regolamento è stato applicato fino a oggi: «Sui cartellini gialli c’è un po’ di confusione in gruppo: è capitato che alcuni corridori venissiro puniti senza che fosse chiaro il perché, altre volte l’esatto contrario. L’impressione è che , per ora, si tratti di un regolamento incoerente, ma forse non è nemmeno così male: servono però miglioramenti, speriamo ce ne siano in futuro».
Sul nuovo finale parigino, l’opinione dell’iridato è più morbida di quella di altri colleghi: «Per me non farà troppa differenza, ci sarà solo un po’ più di stress, unito alla stanchezza delle tre settimane e del trasferimento del giorno prima. La classifica generale dovrebbe essere delinerata, è ipotizzabile che possa esserci rispetto reciproco tra i corridori e che non si vada come pazzi. Di sicuro non è il percorso più semplice, le strade saranno strette e bisognerà essere ancora più concentrati di quanto già non fosse necessario negli anni scorsi».