Tadej Pogacar precede Mattias Skjelmose Jensen e Mikel Landa sul Mur de Huy © A.S.O.
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La gloria di colHuy che tutto move

Tutto secondo pronostico: dopo l’Amstel Gold Race, Tadej Pogacar vince anche la Freccia Vallone, dodicesima perla dello straordinario 2023 dello sloveno. Sul podio Skjelmose e Landa. Quinto Ciccone

C’era una volta un giovane ragazzo sloveno, con qualche ciuffo che spuntava dal casco, che vinceva, vinceva e vinceva ancora. Tutte le corse, senza distinzioni: quelle di un giorno come quelle a tappe; quelle col pavé, ma anche quelle con le côte; attaccando ad anni luce dal traguardo, o aspettando la volata. Quel giovane ragazzo sloveno si chiamava Tadej Pogacar”.

Ce li immaginiamo così i racconti ai nipotini di quello che stiamo vivendo da tre anni a questa parte e soprattutto in questo 2023 che, diciamocelo chiaramente, non avremmo mai pensato di poter vivere. “Eh, un altro Merckx non ci sarà mai più, quell’epoca è irripetibile”, ci dicevano i grandi saggi del pedale. E noi credevamo loro, come potevamo fare altrimenti? Come credevamo che fosse impossibile puntare ai grandi giri e alle classiche, non solo nella stessa stagione, ma anche nella stessa carriera. Non eravamo stupidi: era semplicemente impossibile pensare che qualcosa di diverso, di così speciale, fosse realmente possibile. Poi, d’un tratto, è arrivato lui, il ragazzo terribile nato a Komenda il 21 settembre di 24 anni fa, e ha cambiato tutto.

Diciamocelo chiaramente: oggi, almeno oggi, non ha fatto niente di speciale; ha sfruttato il lavoro della squadra e la remissività degli avversari, ha preso nelle prime posizioni il muro di Huy e ha aspettato gli ultimi 200 metri per aprire il gas, ha lasciato che gli umani alle sue spalle si scannassero per il secondo posto mentre lui, l’eletto Tadej, timbrava l’ormai consueto cartellino al traguardo. A Pogacar, insomma, non è riuscito il miracolo di rendere divertente anche la Freccia Vallone – ci fosse riuscito, avrebbe colmato la distanza tra umano e divino – ma l’eccezionalità di ciò che Pogacar ci sta facendo vivere sta nella semplicità con cui riesce a fare praticamente qualsiasi cosa. Nulla, davvero nulla, sempra essergli precluso.

Noi che ci saremmo accontentati di un Van der Poel, o anche solo di un Van Aert; noi che ci saremmo sfregati le mani anche solo per la gioia di vivere la loro rivalità; noi, che dal ciclismo non avremmo mai pensato di poter ricevere cotanta classe tutta insieme, ci siamo ritrovati in mano, da un un momento all’altro, Tadej Pogacar, a spazzare tutte le nostre convinzioni da secchioni del pedale. Con quella faccia da ragazzo semplice e quel leggero sorriso un po’ da furbetto, Tadej sta segnando un’epoca che potrebbe essere solo all’inizio, o magari sta già per finire. Sta, più di ogni altra cosa, riavvicinando allo sport che amiamo anche chi, quello stesso sport, lo ha odiato per anni.

Se anche domenica dovesse falli… Dai, ci penseremo con calma, nei prossimi giorni! Giorni che saranno quelli della spasmodica attesa di un appuntamento con la storia. Ora concentriamoci sul raccondo del nuovo trionfo di Tadej Pogacar da Komenda, anche se da raccontare, sul fronte della cronaca, non c’è granché.

È sempre la solita Freccia. E alla fine vince sempre Tadej

Orfano dei non partiti Cosnefroy e Hindley, fermati da problemi alle vie respiratorie, il gruppo ha lasciato andare la fuga di giornata dopo una decina di chilometri. A comporla Jacub Hindsgaul, Raul Garcia Pierna, Daryl Impey, Lawrence Naesen, Johan Meens, Jetse Bol, Søren Kragh Andersen e George Zimmermann, con UAE Emirates e, in parte, Ineos Grenadiers a tenere sotto controllo la situazione. Vantaggio massimo di poco superiore ai tre minuti. All’inizio del secondo dei tre giri previsti sul circuito finale, Zimmermann e Kragh sono rimasti da soli al comando, in attesa che da dietro si muovesse qualcosa. Chissà, forse anche il tedesco e il danese speravano in una Freccia inedita, già movimentata ben prima dell’ultimo, terribile chilometro verso Huy. Quel che è certo è che anche George e Søren, come tanti altri, si sono dovuti accontentare - con tutto il rispetto - di Samuele Battistella e Louis Vervaeke. Poteva anche andare peggio, in fin dei conti. L’Astana e il Soudal sono evasi dal gruppo dei migliori nei chilometri subito successivi alla seconda scalata del muro di Huy, durante la quale anche Valter e Mollema avevano cercato, invano, di anticipare.

Di spazio, la UAE Emirates e Pogacar ne hanno concesso pochissimo, per non dire niente; 40 secondi il vantaggio massimo del quartetto di testa, con gli emiratini pronti a controllare la corsa anche nei chilometri decisivi. Con un capitano come Pogacar, del resto, le enegie si moltiplicano. Sulla  Côte de Cherave, mentre Varvaeke rimaneva da solo in testa alla corsa, Diego Ulissi trainava – e scremava – un gruppo ancora assai numeroso, da cui perdeva contatto, tra gli altri, anche Higuita, uno dei possibili outsider di oggi. Anche nella lunga volata per attaccare il muro di Huy, Pogacar non ha mai perso le prime cinque, dieci posizioni del gruppo, minimizzando gli sforzi e il dispendio energetico, anche in vista della Liegi di domenica, e massimizzando il lavoro dei suoi compagni. Anche quello – non eccezionale, ma nemmeno da buttare – di Hirschi, dopo il quale Pogacar si è messo nella sua posizione preferita, quella di comando, affiancato da Michael Woods e con Giulio Ciccone ottimamente piazzato alla sua ruota.

L’unico a provare un colpo di mano è stato Romain Bardet, ma l’azione del francese è stata involtariamente frustrata da Woods, che ha chiuso l’angusto spazio in cui il portacolori della Dsm aveva provato a intrufolarsi. All’ingresso della celebre esse, faceva capolino nelle prime cinque posizioni anche Tom Pidcock, prima di arrendersi alle fatiche di domenica scorsa e a una condizione non eccellente. Parallelamente, prendevano quota Mikel Landa, ben pilotato da Mohoric nei primi metri del muro, e Mattias Skjelmose, compagno di squadra di Ciccone - per chi non se ne fosse accorto. Che i due Trek-Segafredo abbiano corso per il piazzamento, ognun per sé, è pure comprensibile – e, diciamocelo, anche si fossero dati una mano non avrebbero cambiato la storia di questa Freccia – ma sta di fatto che, nell’uno contro tutti che i due hanno contribuito ad alimentare, ad avere la meglio non poteva che essere il numero uno per definizione.

Anche perché chi ci ha provato, sempre Bardet, ha finito per mettersi involontariamente al servizio del cannibale 2.0: ai 300 metri, il transalpino ha spostato con una spallata lo sloveno e si è inserito tra la sua bici e quella di Woods, accelerando fino ai -200. Un metro dietro, Pogacar si apprestava a fare quello che ormai era chiaro a chiunque: Tadej si è alzato sui pedali, alla fine del tratto più duro, e ha scatenato sui pedali tutti i watt che gli erano rimasti in corpo, facendo immediatamente il vuoto. Alla faccia della “maledizione di Huy” e del muro non adatto alle sue caratteristiche! Non un modo originale per vincere la Freccia, è vero, ma vogliamo biasimare Tadej? Non scherziamo… Alle sue spalle, Skjelmose si andava a prendere un secondo posto – che è anche il risultato più importante ottenuto fino a oggi nella sua ancor giovane carriera – davanti a Landa, che dopo il terzo posto all’ultimo Lombardia si sta scoprendo piazzato d’onore non solo nei grandi giri, ma pure nelle classiche. Quarto l’immarcescibile Woods, quinto Ciccone, ennesimo risultato positivo di una stagione che sta regalando tante soddisfazioni allo scalatore abruzzese. Lafay, Benoot, Van Gils, Bardet e Barguil completano la top ten, in cui non figurano due delle delusioni di giornata, Mas e Pidcock, rispettivamente 17esimo e 18esimo.

Tutto o quasi, insomma, è andato secondo le previsioni. Domenica prossima, Pogacar avrà l’occasione di diventare il primo corridore della storia a vincere il Giro delle Fiandre e tutte e tre le prove del Trittico delle Ardenne nella stessa stagione. L’ultimo a vincere Amstel, Freccia e Liegi nella stessa stagione è stato Philippe Gilbert, secondo a riuscire nell’impresa dopo l’indimenticato Davide Rebellin. A premiare Pogacar è stato proprio il Principe Filippo, che un lustro fa, dopo il trionfo a Roubaix, era sembrato un alieno. Allora conoscevamo già Tadej, ancora giovanissimo ma nessuno, proprio nessuno, avrebbe mai pensato che, appena cinque anni più tardi, sarebbe riuscito a far sembrare così piccolo e normale, sul palco delle premiazioni di Huy, un gigante come Gilbert. Era un ciclismo che potevamo solo sognare, attraverso i racconti dei nostri padri e dei nostri nonni. Ora che è realta, non ci resta che goderne fino all'ultimo sorso, prima di poterlo raccontare a chi verrà dopo di noi.

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Nonostante tutto, il ciclismo è la mia unica passione.