Almanacco delle Salite Fuggenti

Una salita da KO

Il secondo episodio in rosa dell'Almanacco delle salite fuggenti ci porta sulla prima salita della tappa di martedì, il Passo Santa Barbara, teatro di colpi micidiali (fisici e metaforici)

20.05.2023 08:00

Puntata dopo puntata, di salite iniziamo ad averne raccontate molte, capendo che spesso basta poco a proporre delle storie, non sempre dettate dalle caratteristiche intrinseche della salita: ci sono destini incrociati, aure magiche, evidenze “antiscientifiche”. Abbiamo già visto che non sempre le salite più ripide sono le più spettacolari e che magari le imprese più mitiche sono decollate sulle salite meno appariscenti (La salita trampolino che fece saltare il palinsesto Rai; Il colosso in miniatura che mise le ali a Ocaña), mentre alcuni giganti non hanno mai avuto occasione di mostrarsi al massimo delle possibilità (La neve, lo sciopero e il gigante neutralizzato); o ancora altre rimaste impresse non solo per la salita ma anche per la seguente discesa (Il colle dei Morti, del Pirata e del Falco) oppure salite che erano e non saranno più (E voi sapete qual è stato il primo Gpm della storia?) Tutto questo per dire che non bastano i numeri di una salita per capirne il significato storico e l'epica potenziale.

Prendiamo ad esempio il Passo Santa Barbara, detto anche Monte Velo: per certi punti di vista incarna molte di queste vicende, avendo avuto la sua pagina epica salendo da un versante che oggi non esiste nemmeno più, o almeno non come era inizialmente; un versante che anche per il fatto di essere cambiato (alleggerendosi) adesso è riconosciuto da tutti come il più semplice. Una pagina che peraltro non è stata epica tanto per le gesta dei corridori, quanto per il gesto di un corridore.

Ma ripartiamo dall'inizio… siamo nel 2001, il Giro d'Italia ha già incontrato le prime salite e già è chiaro dove sia concentrata la sfida: Pantani è già entrato nel vortice e alle sue spalle sbocciano definitivamente Gilberto Simoni, detto Gibo, (classe ‘71) e Dario Frigo (classe ’73); il primo, scalatore puro, aveva già all'attivo due terzi posti alla Corsa Rosa, nonché un successo di tappa alla Vuelta sul terribile Angliru, mentre il secondo, più completo, era nel pieno del climax avendo appena vinto sia la Parigi-Nizza sia il Giro di Romandia. Proprio quest'ultima corsa era stata il preludio perfetto al Giro, con Frigo secondo nella cronometro che deve solo difendersi nella tappa di montagna vinta da Gibo, poi 5° in classifica generale. In mezzo a loro una mina vagante che risponde al nome di Wladimir Belli, detto Belù, (classe '70), compagno di squadra di Frigo alla Fassa Bortolo, 3° sempre nella corsa elvetica, con all'attivo una top10 sia al Tour ‘99 che al Giro dell’anno precedente.

Alla 13a tappa il gruppo incontra il tappone dolomitico, da Montebelluna al Pordoi in 225 con quasi 5000 metri di dislivello accumulati tra Rolle, Pordoi, Fedaia e ancora Pordoi. Tutti i pezzi vanno al loro posto: Pantani, a galla fino a quel momento, va in crisi salendo alla Marmolada; davanti - mentre il messicano Julio Alberto Perez Cuapio (classe ‘77) si prende il primo successo di tappa al Giro - Simoni stacca Frigo di 45" e si prende la maglia rosa; la classifica vede il trentino al comando con 43" su Frigo e 1’27" su Belli. Adesso, con il simbolo del primato addosso e la cronometro (55.5 km e sembravano pure pochi) ancora da superare, Simoni rischia di finire nella morsa dei due Fassa Bortolo, ma si sa: andando verso l'ultima settimana contano solo i valori in campo.

L'altimetria della Cavalese-Arco al Giro 2001 © www.ilciclismo.it 
 

Il giorno dopo Simoni corre in patria: si va da Cavalese ad Arco superando le ascese al Bondone e al Passo Santa Barbara, con il traguardo posto al termine della discesa. Gibo davanti alla sua gente prova ad attaccare sulla salita finale, una temibile ascesa ufficialmente misurata in 13 km al 7.3%, con una pendenza massima del 23% nell'ultimissima parte. Tuttavia c'è ancora troppa freschezza e Frigo lo segue da vicino. Poi la regia taglia e mostra al rallentatore un'immagine rimasta impressa nelle menti di chiunque fosse davanti alla televisione, ma soprattutto in faccia al malcapitato.

Un frame del momento chiave, se così si può dire, dell'ascesa al Santa Barbara
 

Belù, esasperato dalla tifoseria trentina radicalizzata, tira un pugno ad uno spettatore in maglia Lampre, che poi si scopre essere proprio il nipote della maglia rosa, Gilberto Simoni. Il bergamasco poi in discesa rientra e si gioca il successo di tappa con gli altri superstiti, giungendo secondo alle spalle di Contreras e rosicchiando 8" di abbuono. Poi, alla sera, quando le squadre si trovano già da tempo in albergo, arriva la notifica della squalifica, nonostante tra i primi a giustificarlo ci fosse proprio Loris Simoni, steso dal destro di Belù nel tratto più impegnativo del Santa Barbara.

Chiudendo rapidamente la storia di quel Giro, sembra che la corsa possa ancora contare sul duello tra Frigo e Simoni, che raggiunge l'apice il giorno seguente nella cronometro che vede il primo vincere la tappa, senza riuscire però a scalzare Gibo, addirittura secondo di frazione a soli 28" e quindi ancora maglia rosa. La classifica resta invariata per alcuni giorni e a Sanremo, alla vigilia del tappone del Fauniera, i due sono separati da soli 15". Poi le celeberrime perquisizioni dei NAS incriminano tra gli altri proprio Dario Frigo, che resta regolarmente in corsa, ma viene licenziato dalla squadra prima dell'ultima tappa di montagna con la doppia ascesa al Mottarone, dove si sarebbe dovuto decidere il Giro e che invece vide la recita solitaria di Simoni. Questo solo per dire che in quegli anni, per motivi magari diversi, di ritiri illustri dalla Corsa Rosa ce ne erano molti, un po' come quest'anno, anche se la parola positività ha tutto un altro significato.

Ma tornando a noi, dicevamo che quel versante del Santa Barbara non esiste più: ebbene sì, perché la strada è stata ricostruita più ampia e lineare, così prima scansa il paese di Ronzo-Chienis e poi evita la mulattiera da ribaltamento con un più ampio tornante, che allunga la salita di 200 metri e riduce la pendenza. Adesso i numeri complessivi sono simili (12.8 km al 7.4%), ma la pendenza massima è scemata intorno al 13%. Fortunatamente Belli il cazzotto lo ha sganciato qualche centinaio di metri più su, dove la strada è rimasta identica, in modo che di lì si possa continuare a transitare.

Non ha subito variazioni invece il versante occidentale della salita, quello più assassino e oggi considerato a maggior ragione il più impegnativo. Da Bolognano di Arco sono 12.7 km all'8.3%, con lunghi tratti in doppia cifra nella prima parte. Di lì il Giro è transitato l'anno seguente, in un'altra mitica giornata di ciclismo. Il giorno prima si erano superate le Dolomiti, salendo in ordine Staulanza, Santa Lucia, Fedaia, Pordoi e Campolongo prima di arrivare a Corvara. In un'altra edizione martoriata da squalifiche ed abbandoni (basti ricordare che Casagrande si fece fuori da solo con una mossa scorretta in cima ad un GPM di 3a categoria) ritroviamo Perez Cuapio vincitore di tappa e nuovi protagonisti per la classifica generale: in maglia rosa c'è Cadel Evans, ma in un fazzoletto di soli 48" sono raccolti Frigo, Hamilton, Gonzalez, Caucchioli e Savoldelli. Il giorno seguente è in programma l'ultimo tappone di 222 km, da Corvara a Passo Coe, salendo prima anche Gardena, Sella, Santa Barbara e Bordala, per oltre 4000 metri di dislivello; tappa peraltro alleggerita, perché inizialmente doveva includere anche l'ascesa al Monte Bondone.

L'altimetria della Corvara-Folgaria al Giro 2002 © www.ilciclismo.it 
 

Il Santa Barbara fa selezione, ma non anima la corsa. Tuttavia la sua presenza rende indubbiamente più dura la già impegnativa ascesa finale verso e oltre Folgaria, dove Savoldelli mette in piedi una grande prova di resistenza, staccando tutti i principali avversari e rifilando distacchi tremendi, mentre davanti a lui un Pavel Tonkov già trentatrenne si prende il successo di tappa. Prima Evans, poi Frigo ed infine Gonzalez crollano, giungendo rispettivamente a 17'11", 12'16", 10'39": è la tappa che più di tutte è diventata proverbiale per definire cosa sia una “cotta”, nonché tuttora uno degli episodi più utili per far capire che i tapponi, anche con un andamento lineare e poco pirotecnico, rimangono il modo migliore per disegnare la classifica di un Grande Giro. Alle spalle di Savoldelli gli unici a rimanere a galla sono Caucchioli (6° di tappa) e Tyler Hamilton, che difende il podio per pochi secondi dall'attacco di Garate. Pochi giorni dopo, a cronometro, il Falco concretizza il suo primo successo alla Corsa Rosa a 29 anni appena compiuti, mentre alle sue spalle Gonzalez e Caucchioli difendono il podio, ma chiudendo la corsa a posizioni invertite.

Il Passo Santa Barbare si è giocato subito entrambi i versanti in due edizioni consecutive, segnando per certi versi la storia del ciclismo in entrambi i casi. Martedì sarà la salita di apertura di una delle tappe più attese del Giro d'Italia in corso d'opera: resta da capire chi subirà il prossimo colpo da KO.

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Volevo fare lo scalatore ma non mi è riuscito; adesso oscillo tra il volante di un'ammiraglia, la redazione di questa testata, e le aule del Dipartimento di Beni Culturali a Siena, tenendo nel cuore sogni di anarchia.