La primavera, il mare, la Classicissima © MilanoSanremo.it
La Tribuna del Sarto

I miti pomeriggi di febbraio e la Classicissima

Una corsa che non tutti amano, ma che ha in sé il senso dell'attesa che permea il ciclismo e che poi culmina in un orgasmo: "La tua festa ch’anco tardi a venir non ti sia grave"

11.02.2023 22:20

Per noi, impazienti di goderci la nuova stagione, la temperatura mite dei pomeriggi di febbraio è ingannevole, sembra dirci che quest’anno l’attesa della primavera sia già terminata. Poi al calar del sole ecco avvertire i primi brividi di freddo, abbottonare la giacca che avevamo con gioia incautamente aperta, cercare conforto in una bevanda calda, ritornare nelle nostre case. L’attesa deve proseguire, bisogna pazientare ancora qualche settimana prima di godere del dolce clima.

Così come sempre arriva il dolce ed illusorio pomeriggio di febbraio, ogni anno puntualmente monta tra gli appassionati di ciclismo la solita polemica: la Milano-Sanremo è “una ciofeca di corsa”, “la più noiosa”, “la più insulsa”, contro chi invece ama questa monumento, con il suo pronostico incerto e la sua natura “piatta” di emozioni nella prima e lunghissima parte e con un breve picco adrenalinico nel finale.

Che tipo di appassionato di ciclismo è chi disprezza la Sanremo? In genere giovane, ma non è detto, sicuramente impaziente come Johan van Der Velde in maglia ciclamino sul Gavia.

Che a scender dopo tutto quello sforzo
Sudato e bagnatissimo a cinque gradi sotto zero
Indossando solamente una maglia ciclamino
Ci vuole del coraggio
E una certa dose d’impazienza
(Tulipani, Offlaga Disco Pax)

L’innamorato della Classicissima di Primavera invece è colui che gode degli spazi vuoti, del silenzio.

Tra una moto e l'altra c'è un silenzio
Che descriverti non saprei
(Bartali, Paolo Conte)

È un romantico, al punto da credere che prima o poi qualcuno attaccherà di nuovo dal Turchino, un illuso felice di esserlo, un bambino che ricorda quando suo padre diceva che oggi doveva vedere la Sanremo e non poteva uscire, perché allora per noi la corsa verso la città dei fiori era il capodanno della stagione ciclistica.

L’attesa, questo tempo sospeso che si riempie di pensieri, di noia, di desiderio. Un’abitudine antica che i tempi odierni ignorano con il loro ritmo frenetico, così i detrattori della Classica di primavera.

Un “vecchio” sport come il ciclismo conserva questo piacere, quelle lunghe ore davanti alla tv nella speranza di un’attacco spettacolare, che non sempre accade, oppure a bordo strada, giornate intere per vedere per pochi attimi scorrere i corridori davanti agli occhi.

L’appassionato di ciclismo è il più allenato (alienato?) a questi tempi sospesi, a quei vuoti che aspettano di essere riempiti, e nessuna corsa più della Milano-Sanremo esprime meglio questo concetto. La più lunga della stagione con i suoi quasi 300 km è per lunghi tratti la più noiosa e prevedibile: “Il Turchino non è decisivo da decenni!”.

A pensarci bene il tranviere milanese Piero Diacono non aveva torto! Egli nel 1978 propose nella fortunata trasmissione di Enzo Tortora, “Portobello”, di abbattere il colle del Turchino per eliminare la nebbia dalla Pianura Padana grazie ai venti del Tirreno. Certo la nebbia di allora non c’è più, il cambiamento climatico è stato più rapido del tranviere, ma per la Classicissima spianare il Turchino farebbe arrivare prima in riva al mare.

Il famoso passo appenninico è ancora lì solo a far mettere chilometri e dislivello nelle gambe dei ciclisti, ed a noi continua ad allungare l’attesa per la parte più divertente della corsa. La galleria del Turchino è stata descritta già in passato da vari e nobili commentatori del velocipede come un passaggio simbolico, “l’uscita del paese dalla guerra” (grazie all’impresa di Coppi il 19 marzo 1946, quando vinse la Sanremo con una lunga fuga e 14 minuti di vantaggio sul secondo, il francese Teisseire).

Personalmente è il mio equinozio di primavera, l’inizio astronomico perfetto, non di una stella, il sole esattamente sopra l’Equatore, ma molte stelle del ciclismo in sella alle loro lucide biciclette che si gettano in discesa verso il mare ligure. Il mare è protagonista di questa lunga corsa, pronto a riempirci gli occhi, a farci sognare le vacanze ancora lontane, ai freschi bagni nell’acqua salata. La foto perfetta della Sanremo, che ogni stagione vediamo sulle riviste patinate e sui siti specialistici, con la roccia della scogliera, i colori del gruppo ed il blu del mare ci emoziona, anno dopo anno.

Con il passare dei chilometri e le acrobazie dei telecronisti alla ricerca di argomenti per coprire la lunga diretta, i nostri pensieri vagano tra gustose mangiate di pesce fresco accompagnato da un freddo vino bianco leggermente mosso, meglio se in dolce compagnia, e le ipotesi di come finirà la corsa, dell’esplosione di potenza sul Poggio, della discesa mozzafiato e pericolosa su Sanremo.

Poi arrivati a capo Mele inizia la corsa ad animarsi, i primi velocisti incominciano a patire la lunga fatica e inesorabilmente vedono la coda del gruppo allontanarsi. Capi Cervo e Berta, il destino dei fuggitivi è segnato. Lo sapevamo dall’inizio, lo sapevano anche loro fin da quando ancora nella pianura pavese hanno lanciato l’attacco, ma vederli stringere i denti, cercare di arrivare ai piedi della Cipressa con le ruote ancora davanti al gruppo, ci strappa una sincera ammirazione.

Gli ulivi della Cipressa scorrono frenetici, i gregari spingono a fondo per i loro capitani, lo scopo è tagliare le gambe agli avversari, sperando che quelle del tuo leader siano in giornata. Ora i nostri pensieri sono tutti per la corsa, i battiti salgono e maledici quella manciata di chilometri che mancano al Poggio.

Il Poggio compare improvvisamente, quella leggera deviazione dall’Aurelia sembra la pedana di un salto, stridono i freni nelle curve in salita! La velocità è impressionante, poi iniziano i tatticismi. I nostri occhi ballano sul gruppetto di testa nel tentativo di scorgere il primo colpo di pedale dell’attacco decisivo. Conosciamo tutto di questa salita, i muretti, le serre, la rete a bordo strada e la sua cabina telefonica, la più famosa nel mondo delle corse.

La discesa è folle, pericolosa, e preghi ogni anno che i materassi siano sufficienti ad attutire l’impatto del corridore che prende la curva troppo larga. Poi quel lungo rettilineo verso l’arrivo, il sole a quell’ora crea riflessi in controluce che rendono ancora più difficile percepire i metri di vantaggio del temerario di turno, miraggi.

Curva a sinistra, poi destra, fontana ed arrivo in via Roma, trionfo.

Tutta l’attesa, la noia patita è esplosa. Il corpo gode nel ritorno alla normalità, il piacere breve come un orgasmo lascia una dolce ed intensa sensazione, come dopo l’amore.

Sentirmi il sole in faccia e non vederti,
Ma capir dalla tua mano che sei qui
(Wanda, Paolo Conte)

La nuova stagione ora è davvero partita, corse forse più spettacolari e “ciclistiche” di questa sono lì a venire, vento e pietre del nord, maglie rosa e gialle, ma non avrebbero lo stesso valore senza questo esercizio di pazienza, senza quella lunga noiosa attesa in cui matura il desiderio. La Milano-Sanremo è il nonno che ti regala una perla di saggezza e ti lascia i soldi per il gelato.

Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo’; ma la tua festa
Ch’anco tardi a venir non ti sia grave
(Sabato nel villaggio, Giacomo Leopardi)

Intanto febbraio continuerà ad illuderci con le sue gelate mattutine ed i suoi miti pomeriggi, a costringerci all’attesa della primavera, come la Sanremo a dividerci tra innamorati e detrattori.

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