I manifestanti filo-palestinesi tengono bandiere palestinesi in cima a una barricata dopo aver invaso il circuito della tappa finale della Vuelta nel centro di Madrid ©Pablo Blázquez Domínguez/Getty Images
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Come le proteste hanno fermato la Vuelta 2025 e cosa ne abbiamo imparato, dall’inizio

Dalle tappe interrotte alle polemiche politiche: cosa hanno ottenuto le proteste, i precedenti storici, le contraddizioni dell’UCI e le incognite per il futuro del ciclismo

Fin dall’inizio della Vuelta a España 2025, le strade spagnole non sono state solo teatro di sport ma anche di protesta. Gruppi di manifestanti pro-Palestina hanno seguito la carovana in diverse località, esponendo bandiere, cartelli e organizzando sit-in per chiedere l’esclusione del team Israel–Premier Tech, accusato di essere strumento di “sportswashing”, cioè di usare lo sport per migliorare l’immagine internazionale di Israele nonostante le accuse legate all'assedio di Gaza.

Dalle irruzioni in strada alle tappe senza vincitore

La tensione è cresciuta giorno dopo giorno, fino a toccare momenti di rottura con conseguenze dirette sulla corsa. Già nella 5ª tappa, un gruppo di attivisti è riuscito a interrompere temporaneamente il team Israel–Premier Tech lungo il percorso, imponendo una prima interruzione simbolica della corsa e attirando l’attenzione dei media internazionali. Da quel momento, le azioni si sono moltiplicate e intensificate, diventando sempre più organizzate e visibili lungo tutto il percorso.

Anche la 10ª tappa è stata segnata da mobilitazioni: un corridore dell’Intermarché-Wanty, Simone Petilli, è caduto a causa di attivisti che correvano davanti al gruppo, dimostrando come la sicurezza dei ciclisti fosse messa a rischio dalle irruzioni lungo il percorso.

La situazione è culminata nella 11ª tappa, a Bilbao, dove un gran numero di manifestanti ha bloccato il traguardo, mostrando bandiere e striscioni e costringendo la direzione di corsa a neutralizzare la gara a pochi chilometri dall’arrivo. In pratica, i tempi sono stati registrati in anticipo e non è stato proclamato alcun vincitore di tappa, un evento quasi senza precedenti per un Grande Giro.

I membri dello staff e la polizia della Vuelta spingono via le barriere mentre i manifestanti filo-palestinesi manifestano al traguardo dell'undicesima tappa Bilbao ©ANDER GILLENEA / AFP
I membri dello staff e la polizia della Vuelta 2025 spingono via le barriere mentre i manifestanti filo-palestinesi protestano al traguardo dell'undicesima tappa Bilbao ©ANDER GILLENEA / AFP

Durante la 14ª tappa, alcuni attivisti sono riusciti a hackerare la frequenza ufficiale della corsa, la cosiddetta “Radio Tour”, trasmettendo slogan e canzoni a sostegno della Palestina. L’incidente, pur considerato “aneddotico” e senza rischi per la sicurezza, è stato un ulteriore smacco per l’organizzazione.

Il momento più critico per l'incolumità dei corridori si è verificato nella 15ªtappa, quando un dimostrante con una bandiera palestinese è caduto al bordo della strada, provocando una reazione a catena che ha coinvolto i corridori Javier Romo (Movistar) ed Edward Planckaert (Alpecin-Deceuninck). Romo ha riportato escoriazioni al fianco sinistro, ma è riuscito a completare la tappa, sebbene non nelle migliori condizioni.

Il giorno dopo, nella 16ª tappa, la salita finale in programma, Castro de Herville, è stata cancellata per motivi di sicurezza: il traguardo è stato spostato otto chilometri più in basso, all'inizio della salita. Anche la 18ª tappa, che sarebbe dovuta essere una cronometro individuale di 27,2 chilometri, è stata accorciata a 12,2 km perché tanto poteva fare l'organizzazione per metterla in sicurezza.

Anche durante la penultima tappa (la 20ª), con arrivo alla Bola del Mundo, un gruppo di attivisti si è messo a presidio dell'attacco della salita finale, ma i corridori sono riusciti a evitarli utilizzando la sede stradale ampia

L’apice delle mobilitazioni è arrivato con la 21ª tappa, il gran finale a Madrid. Qui la capitale spagnola è stata il cuore della più grande protesta: centinaia di dimostranti hanno occupato tratti del percorso, eretto barriere e costretto la direzione di corsa a fermare definitivamente la tappa quando mancavano ancora circa 50 chilometri all’arrivo. La cerimonia di premiazione, con il podio finale e la consegna del trofeo al vincitore della Vuelta, è stata annullata. La corsa si è chiusa così in modo surreale, con Jonas Vingegaard proclamato vincitore finale, ma senza la tradizionale passerella conclusiva.

Le motivazioni della protesta

Sulle motivazioni della protesta, intrinsecamente legate alla storia del team Israel-PremierTech e alla sua presenza alla Vuelta, abbiamo già dedicato una precedente spiegazione.

A quanto già detto, occorre aggiungere che i principali leader delle manifestazioni si sono poi espressi chiaramente perché hanno scelto di intervenire lungo il percorso. Stephanie Adam, portavoce del PACBI, ha definito la partecipazione del team Israel–Premier Tech come “sportswashing puro e semplice”: secondo lei, la squadra serve a migliorare l’immagine internazionale di Israele e a distogliere l’attenzione dalle accuse di violenze contro la popolazione palestinese.

Lidón Soriano, referente della piattaforma BDS Deportivo, ha sottolineato il livello di coordinamento tra i gruppi locali lungo tutte le tappe della Vuelta. Le azioni, sempre pacifiche ma decise, hanno un obiettivo chiaro: chiedere l’espulsione di Israel–Premier Tech dalla Vuelta e, più in generale, da tutte le competizioni sportive internazionali.

Secondo quanto riportato da Gabriele Gianuzzi nel podcast "Fuori Tempo Massimo” alla base delle proteste ci sarebbe stato anche un fraintendimento iniziale, da quanto si desume da certi volantini distribuiti in Catalogna (regione in cui la Vuelta è transitata dalla quinta alla settima tappa) che accusavano l'organizzazione della Vuelta di aver invitato di sua volontà la Israel-PremierTech, mentre l'invito sì c'è stato, ma come da regolamento che prevede l'invito obbligatorio per le due migliori professional dell'anno precedente

Le dimostrazioni hanno trovato un parziale riscontro anche nel dibattito politico spagnolo. Il primo ministro Pedro Sánchez ha parlato apertamente di gravità delle azioni israeliane, e il Ministro degli Esteri José Manuel Albares ha espresso sostegno alla possibilità che la squadra lasci la corsa. Questi segnali hanno contribuito a dare visibilità politica alle rivendicazioni degli attivisti.

Non sono mancate le reazioni dei corridori. Alcuni, come il vincitore finale e a lungo maglia rossa Jonas Vingegaard, hanno osservato che la Vuelta non è il luogo ideale per protestare, pur riconoscendo che le persone agiscono “per una ragione”. Tom Pidcock, invece, ha messo in guardia dal rischio che certe azioni possano compromettere la sicurezza, limitando l’efficacia del messaggio delle proteste stesse. 

Jonas Vingegaard sale in macchina dopo l'annullamento della tappa di Madrid della Vuelta a España 2025 ©Getty Images
Jonas Vingegaard sale in macchina dopo l'annullamento della tappa di Madrid della Vuelta a España 2025 ©Getty Images

Che cosa hanno ottenuto le proteste

Nonostante l'obiettivo principale, l'esclusione della Israel Premier-Tech dalla competizione, non sia stato raggiunto, le manifestazioni hanno ottenuto una serie di risultati parziali

Innanzitutto, hanno garantito una visibilità mediatica enorme. Le mobilitazioni sono state riportate da testate internazionali non solo sportive, ma anche generaliste, e hanno acceso un dibattito sul tema dello sportwashing, sulla libertà di protesta e sul ruolo delle squadre legate a Stati considerati controversi. In pochi giorni, quello che poteva sembrare un episodio di cronaca ciclistica è diventato una notizia di portata globale.

Alcune autorità spagnole, tra cui il Primo Ministro Pedro Sánchez, hanno espresso sostegno o comprensione per le manifestazioni, e si è parlato di possibili misure come un embargo militare e della partecipazione israeliana nelle competizioni sportive internazionali. Sánchez stesso ha espresso ammirazione per chi protesta e ha chiesto che le organizzazioni sportive valutino “Se sia etico per Israele continuare a partecipare alle competizioni internazionali. Perché la Russia è stata espulsa dopo l’invasione dell’Ucraina, ma non Israele dopo l’invasione di Gaza?”. Il sindaco di Madrid, avversario politico di Sánchez, lo ha poi accusato di istigare i disordini. Queste prese di posizione sono state un riconoscimento importante delle ragioni dei manifestanti e hanno spostato la discussione dalla strada alla politica.

Il team Israel–Premier Tech, principale bersaglio dei dimostranti, ha subito pressioni tangibili. Dopo 14  tappe, la squadra ha rimosso la scritta “Israel” dalle proprie maglie oltre che dai mezzi per motivi di sicurezza, pur continuando a partecipare alla corsa. Prima ancora l'organizzazione della Vuelta aveva chiesto alla squadra di prendere in considerazione l'opzione di abbandonare per la sicurezza di tutti.

La maglia della Israel-Premier Tech senza la scritta Israel  ©Israel-Premier Tech via X
La maglia della Israel-Premier Tech senza la scritta Israel  ©Israel-Premier Tech via X


Il paradosso della situazione, i precedenti e l’insostenibile incoerenza dell’UCI

I fatti della Vuelta 2025 portano ad alcune conclusioni chiare, anche se i loro portati sono complessi. Prima di tutto, hanno mostrato una volta di più quanto lo sport ciclistico su strada sia vulnerabile a interruzioni di natura politica e sociale: percorsi aperti, lunghe tappe e tratti cittadini rendono facile per piccoli gruppi di manifestanti attirare l’attenzione e, talvolta, modificare il corso stesso della gara. I fatti della Vuelta 2025 non sono senza precedenti: già nel maggio del 1966, durante l’ultima tappa del Giro d’Italia, a Trieste si verificarono violenti scontri tra manifestanti comunisti e le forze dell’ordine. La protesta non era diretta contro la corsa in sé, ma coinvolgeva tensioni sociali e politiche più ampie, legate soprattutto a rivendicazioni dei lavoratori e alla mobilitazione politica del periodo. I dimostranti cercarono di usare la presenza del Giro come palcoscenico per la loro mobilitazione, il che portò a cariche della polizia, tafferugli e alcuni arresti.

Più avanti, durante il Tour de France 1990, gruppi ambientalisti bloccarono la corsa per protestare contro il progetto di costruzione di un’autostrada nei pressi delle montagne attraversate dalla gara. Anche al Giro d’Italia del 2001, alcune tappe furono rallentate per permettere il passaggio di mobilitazioni pacifiche contro lo sfruttamento del territorio. Più recentemente, nel Tour de France 2018, azioni di protesta locali e contadini occuparono tratti di strada per attirare l’attenzione sulle loro rivendicazioni, obbligando gli organizzatori a rallentare o deviare la corsa. Ancora, la prova maschile élite del Mondiale di Glasgow 2023 fu interrotta da una protesta di ambientalisti che si incollarono all'asfalto.

Il gruppo fermo durante la prova maschile élite su strada dei Mondiali di Glasgow 2023 ©Pauline Ballet/SWpix.com
Il gruppo fermo durante la prova maschile élite su strada dei Mondiali di Glasgow 2023 ©Pauline Ballet/SWpix.com

Gli attivisti hanno dimostrato di poter usare la visibilità dello sport a proprio vantaggio: le immagini delle bandiere palestinesi ai bordi delle strade, le interruzioni ai traguardi e persino l’hackeraggio di Radio Tour hanno raggiunto un pubblico globale, compresi media generalisti e internazionali.

Gli organizzatori della Vuelta hanno capito che è necessario definire protocolli più chiari: come gestire proteste lungo il percorso, garantire la sicurezza dei corridori e decidere in quali casi neutralizzare, accorciare o cancellare una tappa. La gestione finora è stata reattiva, e i fatti di Madrid e Bilbao ne sono l’esempio più evidente.

Sul piano internazionale, l’episodio mette in luce l’incoerenza dell’UCI, l’organo di governo del ciclismo. Dopo i fatti di Bilbao, è stato emesso un comunicato dove si condannavano le azioni di protesta e si aggiungeva “L'UCI desidera inoltre ricordare a tutti che lo sport, e in particolare il ciclismo, ha lo scopo di colmare il divario tra i popoli e non deve mai essere utilizzato come mezzo di punizione.”. Ieri lo stesso organo ha di nuovo diramato un comunicato attaccando duramente le prese di posizione di Sánchez e condannando “lo sfruttamento degli eventi sportivi per scopi politici, specie se tutto questo arriva da un governo. Lo sport deve rimanere indipendente per raggiungere l'obiettivo di essere uno strumento di pace.- si recita nel comunicato- È inaccettabile e controproducente per il nostro sport essere affrancato dalla sua missione universale.”

Pur nella sua piena libertà di avere un'opinione simile, all'Unione Ciclistica Internazionale si deve però chiedere coerenza: è noto a tutti che la stessa UCI escluse il team Gazprom–RusVelo dalla competizione a partire dal 1º marzo 2022, in risposta all'invasione russa dell'Ucraina. Questa decisione è stata presa in linea con la raccomandazione del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), che aveva suggerito alle federazioni sportive internazionali di non invitare né consentire la partecipazione di atleti e ufficiali russi e bielorussi nelle competizioni internazionali. Non venne loro concesso né di correre senza sponsor né di cercarsene uno nuovo, ma la scure si abbatté sulla Gazprom, e il conseguente ricorso al TAS della formazione russa venne respinto.

La scelta dell'UCI di non bandire la squadra al centro delle accuse è legittima, ma non risulta coerente: né la raccomandazione del CIO di allora era necessariamente interpretabile in quei termini (ricordiamo che agli atleti russi e bielorussi è ora concesso di gareggiare come atleti indipendenti nelle competizioni internazionali, e di tesserarsi con qualsiasi squadra di altre federazioni, sempre per decisione autonoma dell'UCI), né oggi all'UCI è vietato ammettere o escludere squadre e atleti dalle proprie competizioni, applicare autonomamente sanzioni disciplinari e regolamentari: quella del 1° marzo 2022 fu una decisione autonoma, che oggi costituisce un precedente ingombrante.

Le preoccupazioni e cosa ci aspetta per le prossime gare

La Vuelta 2025 lascia dunque alcune indicazioni chiare su come potrebbero evolvere proteste e gestione delle gare. L’UCI e gli organizzatori potrebbero introdurre regolamentazioni preventive, stabilendo in anticipo quando e come neutralizzare o accorciare tappe, valutare il rischio dei percorsi e definire limiti per la partecipazione di team controversi (in questo caso uno).

© AP Photo/Manu Fernández
© AP Photo/Manu Fernández

Michał Kwiatkowski (INEOS Grenadiers) al termine della Vuelta si è espresso con viva preoccupazione sul futuro delle corse ciclistiche e sull'inazione dell'UCI: “Se l'UCI e gli organi competenti non sono riusciti a prendere le decisioni giuste in tempo, allora a lungo termine sarà molto negativo per il ciclismo che i manifestanti siano riusciti a ottenere ciò che volevano. D'ora in poi, è chiaro che una gara ciclistica può essere utilizzata come efficace palcoscenico per le proteste e la prossima volta la situazione non potrà che peggiorare, perché qualcuno ha permesso che accadesse e ha guardato dall'altra parte".

Anche Pello Bilbao (Bahrain Victorious) è intervenuto con parole dure contro l'UCI, ma schierandosi apertamente a favore delle ragioni dei manifestanti, e auspicando che la Israel possa correre con licenza e sponsor canadesi.

È possibile anche che emergano boicottaggi da parte di squadre, corridori o sponsor, qualora la presenza di Israel–Premier Tech (che in questi tre anni si è guadagnata i punti necessari al ritorno nel WorldTour) generi rischi o tensioni eccessive: togliere il nome “Israel” dalle maglie o correre con la sigla IPT come nel dittico di corse in Canada non può essere certo un modo perché chi vuole manifestare rinunci a farlo.

D'altra parte la Spagna è stata l'unico Paese dove finora chi ha protestato ha avuto le forze per tenere in scacco l'organizzazione intera di una corsa. Non è un caso che siano state più efficaci in regioni come la Catalogna (5ª tappa), i Paesi Baschi (11ª tappa) e la Galizia (16ª tappa), tutte comunità con un'identità nazionale distinta dalla Spagna e con una maggiore sensibilità per altri popoli che lottano per l'autodeterminazione, spesso in conflitto con il centralismo di Madrid e i cui governi (escluso quello galiziano) hanno maggior sensibilità alla causa palestinese. Lo stesso non vale per la Comunidad de Madrid, governata da anni dal Partido Popular con posizioni molto più filo-israeliane, ma pur sempre fulcro nevralgico per i grandi movimenti sociali come il 15-M. La situazione creatasi in Spagna sembra quindi difficilmente replicabile nel resto dei Paesi che ospitano gare World Tour, ma nulla è da escludere.

Proprio per questo, vedremo con grande probabilità un incremento delle misure di sicurezza (si pensi alle proposte più o meno concrete di mettere dei biglietti d'accesso alle salite), separazioni più nette tra pubblico e percorso e maggiori risorse logistiche investite nel presidiare le corse. Quando in Cina si corre il Tour of Qinghai Lake, regione non particolarmente problematica ma pur sempre sensibile, l'intero percorso di gara è presidiato da personale militare o paramilitare, o da semplici volontari, disposti ogni 100 metri sui due lati della strada, oltre ai militari che scortano la carovana.

Le proteste e la comunicazione

Dal lato dei manifestanti occorre attenzione costante alla comunicazione. Come già avviene, c'è sempre la possibilità di reazioni negative, sia da parte del pubblico, dei corridori e degli sponsor, sia sul piano politico o diplomatico. Alcuni interventi troppo vistosi o aggressivi rischiano di rendere “antipatica” la causa stessa, diluendo il messaggio e riducendo il sostegno dell’opinione pubblica, mentre azioni ben calibrate possono invece generare visibilità e pressione politica. È nel loro interesse che la protesta avvenga sempre in maniera pacifica, trasparente e coordinata, e con piena consapevolezza dei rischi. Il Tour de France 2026, che partirà da una zona sensibile come Barcellona, potrebbe offrire nuove occasioni di visibilità per le proteste, questa volta con l'evento itinerante più imponente del mondo.

Resta poi aperto il nodo della posizione ufficiale dell’UCI, delle conseguenze legali e delle possibili reazioni degli sponsor o delle località dove si svolgono le corse: tutti fattori il cui sviluppo sarà determinante per le dinamiche future. Antonio Morales, presidente del consiglio comunale di Gran Canaria, ha dichiarato ieri che la sua isola non ospiterà il finale della Vuelta, che nel 2026 è previsto tra Gran Canaria e Tenerife, se tra le squadre in gara ci sarà anche la Israel-Premier Tech.

Ciò che è accaduto alla Vuelta 2025 è qualcosa da cui difficilmente il ciclismo potrà tornare indietro. Per alcuni è stato un attacco alla sacralità dello sport, per altri un esempio di come le corse possano diventare palcoscenico di rivendicazioni più grandi. Quel che è certo è che la linea di confine tra sport e politica, già fragile, è apparsa più sottile che mai. Saranno ora gli organizzatori, i corridori, gli sponsor e gli spettatori a decidere se queste settimane rappresentino una frattura da ricomporre o un nuovo scenario con cui fare i conti.

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