
Sport e cambiamento climatico: un spazio di riflessione culturale e politica
Profondamente investito dalle conseguenze della crisi climatica, il mondo dello sport deve ora gestire la sfida per un cambiamento di paradigma
Lo sport non si limita a essere un terreno di dialettica e di lotta, come ho sostenuto sulle pagine de La Tribuna del Sarto; un fenomeno culturale largamente dominato dall’ideologia prevalente, con tecniche sempre più avanzate e ruoli sempre più politici dei suoi leader istituzionali. Allo stesso tempo, rappresenta uno spazio in cui possono svilupparsi politiche democratiche di educazione, inclusione sociale e benessere psicofisico, come sancito dalla nostra Costituzione, ma anche di carattere ecologico, intese nel senso più ampio del rapporto tra uomo e natura.
Il cambiamento climatico e il ruolo dello sport
A sostegno di questa tesi vi è l’ultima puntata del podcast Areale di Ferdinando Cotugno, pubblicato per il quotidiano Domani e intitolata “Lo sport come Ground Zero del clima”. Cotugno, giornalista esperto di ecologia, politica e crisi climatica, analizza gli effetti del riscaldamento globale sugli eventi sportivi: partite di calcio o tennis disputate a temperature tropicali, stazioni sciistiche senza neve – nel corso di questo secolo, ventuno città già sedi di Olimpiadi invernali non potrebbero più ospitarle perché troppo calde –, sport estivi come il baseball, diventati per necessità all’avanguardia nella “scienza del sudore”, come afferma il New York Times, e molti altri casi.

Il mondo dello sport - sostiene Cotugno - è allo stesso tempo vittima e carnefice, sia causa che luogo delle conseguenze climatiche. L’impatto sulle emissioni è di poco meno dell’1%, già significativo; risultato dell’energia necessaria per alimentare le infrastrutture, della produzione delle attrezzature e del merchandising, ma soprattutto dai viaggi. Per questa ragione, le discipline più inquinanti sono le più ricche, poiché comportano lo spostamento di più persone.
Il ciclismo, che si impegna con fatica a costruire una narrazione ecologica, si interroga da tempo su come ridurre i trasferimenti nelle corse a tappe, su come raggruppare nel calendario le gare per area geografica, oppure con il semplice vietare di gettare borracce (già biodegradabili) nei boschi o in aree prive di pubblico felice di raccoglierle. Più di altri sport, nelle discipline in bicicletta, il tema ecologico è fondamentale anche da un punto di vista simbolico: la loro fortuna e seguito potrebbero dipendere da quanto sapranno legarsi al tema della mobilità sostenibile e del benessere di salute, in modo tale che lo spettatore sappia riconoscersi e appassionarsi più facilmente. Il simbolismo della fatica, il vero motore degli anni d’oro del ciclismo, oggi non ha più presa, soprattutto in un pubblico giovane e digitalizzato.

Tornando al podcast di Cotugno, il punto più interessante è quando il giornalista afferma che lo sport potrebbe essere il Ground Zero, il punto di non ritorno della percezione collettiva sulla crisi climatica, sia perché è un’attività fortemente esposta agli elementi esterni, sia per il valore simbolico e seguito che hanno le sue manifestazioni. Negli New York Yankees, la più famosa squadra di baseball al mondo, il consulente ambientale -impensabile in passato la presenza di una figura del genere- afferma che il 20% degli americani segue la scienza, ma l’80% segue lo sport; gli atleti sono il più forte modello comportamentale nelle nostre società occidentali.
L’adattamento dello sport a un clima che cambia è una delle sfide più complesse e affascinanti nel futuro, sia prossimo che lontano. La prova più importante e imminente, secondo l’autore di Areale, saranno i Mondiali di calcio in USA, Messico e Canada del 2026. Proprio nell’epicentro del negazionismo del surriscaldamento del pianeta, potrebbe crearsi lo spazio politico per calciatori, allenatori e tifosi per evidenziare i problemi delle temperature sempre più alte e i pericoli di giocare nell’era del cambiamento climatico: un vero test politico. Sperando, secondo l’autore, che anche questo non fallisca, come accadde sui diritti umani durante i Mondiali in Qatar nel 2022.
Lo sport come ricerca del rapporto Uomo-Natura
Ai temi interessanti trattati dal giornalista di Domani, mi sento di aggiungere che lo sport può e deve diventare una ricerca del rapporto Uomo-Natura. L’ambiente non è un semplice teatro di gioco, ma l’occasione di scoprire il proprio “essere un umano in natura”; un rapporto atavico che l’uomo moderno ha quasi del tutto perso e che proprio lo sport potrebbe offrire l’opportunità di ritrovarlo: intrinsecamente con il proprio corpo, estrinsecamente con il paesaggio e la Natura intera.

Per fare questo è necessario destrutturare l’ideologia che sta alla base dello sport moderno fin da suoi esordi: l’eugenetica; la continua ricerca del limite umano, non come esplorazione della natura propria o vicina, ma con lo scopo di superarla, il tutto nella logica del record-risultato-profitto e con ogni mezzo scientifico, etico e non.
Chi sostiene che la politica debba stare lontana dallo sport moderno rischia di non cogliere, in primis, la natura ideologica di questo importante, per quanto giovane, fenomeno culturale dei nostri tempi, ma anche i suoi pericoli e, allo stesso tempo, potenziali effetti benefici per l’essere umano singolo e l’intera umanità, con e nella Natura.
