Remco Evenepoel, attesissimo al Giro d'Italia 2023 © GirodItalia.it
L'Artiglio di Gaviglio

Roglič vs Evenepoel: tra i due litiganti, il terzo godrà

Se c'è un GT in cui i pronostici vengono spesso sovvertiti, è il Giro d’Italia: e potrebbe succedere anche quest’anno, perché i due grandi favoriti hanno comunque dei punti deboli, e le alternative non mancano

04.05.2023 20:45

Erano anni che il Giro d’Italia non si allineava alla partenza con un testa a testa di così alto livello, e così incerto, come quello atteso tra Primož Roglič e Remco Evenepoel. Lo sloveno ed il belga sono, infatti, gli indiscussi favoriti della vigilia e già l’anno scorso, un mese dopo l’epico scontro tra Pogačar e Vingegaard al Tour de France, se le erano date di santa ragione alla Vuelta. Corsa da cui ad uscire – letteralmente – con le ossa rotte era stato Primož, ritiratosi alla 17esima tappa per le conseguenze della rovinosa caduta del giorno prima nella volata di Tomares, mentre Remco, già saldamente in maglia rossa, di lì a pochi giorni avrebbe celebrato, a Madrid, la conquista del suo primo grande giro.

L’impressione, vista l’inerzia che aveva già preso la corsa, è che l’epilogo sarebbe stato lo stesso anche se lo sloveno fosse stato della partita fino alla fine, tant’è, però, al primo incrocio di quest’anno Roglič ha rimesso le cose a posto, vincendo, sia pure di stretta misura, la Volta a Catalunya. Un duello, quello andato in scena a marzo sui Pirenei, nel quale tutti gli altri hanno fatto da semplici sparring partner, a cominciare da João Almeida, il campione portoghese terzo in Catalogna – ma a più di due minuti – e che, anche al Giro, sarà tra le principali alternative a quei due.

Già, le alternative: per quanto il capitano della Soudal-Quick Step e quello della Jumbo-Visma appaiano forti su ogni terreno e supportati da squadre assolutamente all’altezza delle rispettive ambizioni, non è detto che a mettere le mani sul Trofeo senza Fine debba essere per forza uno dei due. Lo stesso precedente catalano conta fino ad un certo punto perché in una sola settimana di gara, si sa, c’è poco da inventarsi, mentre il discorso cambia – e di molto – quando le settimane diventano tre, le tappe da imboscata si moltiplicano, i dislivelli lievitano e, più in generale, il fattore recupero assume un’importanza preponderante su tutti gli altri fondamentali. E parlando di recupero si sa che Roglič ha più di uno scheletro nell’armadio, avendo spesso palesato dei limiti sulla distanza. Altro suo tallone d’Achille è, come noto, l’amore per l’asfalto, che in carriera ha baciato ripetutamente e con più parti del corpo, specie sulle strade del Tour ma, come abbiamo già visto, anche all’ultima Vuelta, o allo stesso Giro – e pensiamo alla tappa di Bergamo del 2019.

Quanto ad Evenepoel, il perentorio successo colto in Spagna sul finire della scorsa estate ha rappresentato un indubbio salto di qualità rispetto all’unico precedente sulle tre settimane, risalente al Giro 2021: un debutto poco probante perché avvenuto in condizioni molto particolari, a soli 21 anni e soprattutto di rientro dal terribile infortunio patito al Lombardia dell’anno prima che, in un primo momento, sembrava potesse addirittura costargli la carriera. Lo storico del campione del mondo sulle tre settimane, dunque, è ancora troppo scarno e sebbene talento, classe e motore non si discutano, lasciamo ad altri l’onore di mettere le mani sul fuoco per lui, quanto alle capacità di tenuta sui ventuno giorni.

D’altra parte, se anche Primož e Remco si confermassero ai loro massimi livelli dalla Costa dei Trabocchi fino a Roma, sarebbe comunque troppo sbrigativo restringere il discorso a questa coppia. Anzi, proprio quando due corridori svettano sulla concorrenza può darsi il caso che questi si controllino fino ad annullarsi a vicenda, a beneficio del proverbiale terzo incomodo. E Roglič lo sa bene, avendo perso il Giro 2019 (anche per) aver fatto surplace con Nibali salendo verso il Nivolet e avere replicato lo stesso teatrino il giorno dopo, tra il Colle San Carlo e Courmayeur, mentre quel furbacchione di Carapaz ringraziava, prendeva cappello e se ne andava a conquistare la maglia rosa.

Chi potrebbe essere, allora, il Carapaz della situazione? Senza dilungarci in una sgarbozziana rassegna di tutti i potenziali uomini di classifica, vale la pena puntare i fari su alcuni nomi che potrebbero davvero essere in grado di far saltare il banco, nel caso in cui approfittassero delle tre settimane alle porte per fare il salto di qualità a cui sono attesi.

Lasciamo perdere, dunque, corridori pur forti – se non fortissimi – di cui però conosciamo già i limiti: a cominciare da Geraint Thomas, che avrà pur fatto terzo dietro ai due fenomeni al Tour di un anno fa, ma va per le 37 primavere ed è dunque entrato in una fase della carriera in cui ogni anno in più sulle spalle conta per sette, come per i nostri amici a quattro zampe, e che per di più in questo 2023 non è ancora riuscito a trovare un colpo di pedale decente. Per motivi analoghi soprassediamo sui geologici Rigoberto Urán, Domenico Pozzovivo e Damiano Caruso, ma anche sui più giovani Hugh Carthy e Jack Haig, sul ritirando Thibaut Pinot o sui “gregariandi” Brandon McNulty e Pavel Sivakov, due cioè che, passati professionisti da predestinati, tra una caduta ed una cotta di troppo paiono ormai rassegnati ad una carriera da luogotenenti, per quanto lautamente pagati (ma sempre molto meno di Rugani!). Sia chiaro, a nessuno di questi è preclusa una top ten ma, se cerchiamo qualcuno capace di rovinare la festa a Evenepoel e Roglič, dobbiamo guardare altrove.

Di João Almeida si diceva in apertura, e in effetti il percorso con tanta cronometro gli si addice, ha una squadra forte, grandi doti di fondo e sufficiente esperienza al Giro per essere considerato il primo degli underdog. Ma strada facendo il portoghese potrebbe anche perdere i gradi di capitano della UAE in favore di quel Jay Vine che, riposti in cantina i rulli su cui si è consacrato campione del mondo di specialità, è esploso con due vittorie di tappa alla Vuelta dell’anno scorso, ha iniziato la stagione vincendo nel giardino di casa, al Tour Down Under, e ha margini del tutto inesplorati – anche a sé stesso – sulle tre settimane. Uno come Chris Froome, per intenderci, esplose più o meno all’età di Vine e avendo dato, in precedenza, meno avvisaglie dell’australiano.

Coetaneo di Vine è Tao Geoghegan Hart, che un Giro lo vinse, a sorpresissima, nel 2020, e che altrettanto a sorpresissima (?) potrebbe anche rivincerlo: dalla Valenciana al Tour of the Alps passando per la Tirreno-Adriatico, in questa stagione il londinese ha ritrovato una competitività che non gli vedevamo da allora, e sfoggiato una continuità di risultati mai vista. In più corre per la INEOS, squadra che ha vinto tre delle ultime cinque edizioni, e con altrettanti corridori. Tao potrebbe appunto essere il primo a ripetersi, e di certo è quello che parte un gradino avanti a tutti gli altri, nelle gerarchie dello squadrone britannico.

A proposito di squadroni, tale è, senz’altro, anche la Bahrain dove, oltre ai già citati Caruso ed Haig, scalpita Santiago Buitrago: il colombiano ha vinto la tappa di Lavarone un anno fa, quando sfiorò anche quella di Cogne in cui per poco non andava a riprendere Ciccone, e in questa prima parte del 2023 ha inanellato tre terzi posti di importanza crescente in ordine esponenziale: a febbraio nelle classifiche del Saudi Tour e della Vuelta a Andalucía e, due settimane fa, alla Liegi-Bastogne-Liegi. A 23 anni potrebbe tranquillamente essere lui la grande rivelazione in salita: e pazienza se a cronometro dovesse prendere carrettate di minuti perché, non essendo certo tra gli osservati speciali, potrebbe recuperarli con gli interessi muovendosi con intelligenza nelle tappe di montagna. Il suo limite, semmai, sembra essere la continuità, che è invece dote essenziale per chi voglia primeggiare in un grande giro: ma è un aspetto su cui si può sempre migliorare, no?

Proseguendo, occhio alla Bora, che a sua volta si schiera al via con più di una punta: il capitano dovrebbe essere Aleksandr Vlasov che, in quanto russo, corre senza bandiera, e in caso di successo procurerebbe più di un imbarazzo a tanti politici. E non avendo, il buon Alex, alcuna colpa per quanto sta succedendo in Ucraina, la cosa ci divertirebbe moltissimo. Ma in squadra c’è anche Lennard Kämna, già decisivo, un anno fa, per l’aiuto dato a Jai Hindley nel ribaltare Carapaz sulla Marmolada: il tedesco ha sicuramente i numeri per ottenere risultati ben più altisonanti di quelli fin qui raggiunti in carriera, se solo riuscisse ad aggiungere ad ottime gambe una testa altrettanto forte.

Infine, due bonus track: nella DSM, formazione abituata a sfornare talenti a ripetizione, c’è Andreas Leknessund, norvegese che compirà 24 anni proprio durante il Giro e che le squadre dei big farebbero bene a non sottovalutare, nel caso entrasse in una di quelle fughe bidone che tanto ci piacciono. Non di solo Evenepoel, poi, brilla la Quick Step e se, per qualsiasi motivo, Remco dovesse saltare, il Wolfpack farebbe bene ad avere tenuto in classifica anche il coetaneo Ilan van Wilder. Che non sarà il nuovo Merckx ma, come cantava Elio, non è nemmeno l’ultimo degli stronzi. Proprio per niente.

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