Tadej Pogacar, tra i più attesi in vista della Milano-Sanremo © A.S.O.-Aurélien Vialatte
Lo Stendino di Gambino

Sloveno che viene, sloveno che va

La domanda che tutti si pongono, nella lunga vigilia della Milano-Sanremo, è: "Dove attaccherà Pogacar?". Quanto ai tifosi italiani, si sogna una stoccata di Ganna ma è meglio non illudersi

14.03.2023 22:38

Chissà come avrebbe espresso in note Fabrizio De André il recente avvenuto scambio culturale tra i due sommi figli del Tricorno, Tadej Pogacar e Primoz Roglic, che hanno invertito le vittorie dello scorso anno nella Parigi-Nizza e nella Tirreno-Adriatico. Non c'è troppo tempo per pensarci in quanto, preceduta domani dalla Milano-Torino, la corsa più antica del mondo, è in arrivo la prima classica monumento della stagione: la Milano-Sanremo. Un tempo essa segnava l'apertura dell'attività agonistica; oggi, invece, certifica la chiusura della sua prima fase. L'anno scorso a trionfare sul traguardo di Via Roma fu un terzo sloveno: quel Matej Mohoric che, interpretando la discesa del Poggio con spericolatezza senza precedenti, seppe scavare il solco decisivo per la vittoria.  
 
Annualmente, quando si avvicina la classicissima di primavera, escono fuori creative teorie su quale particolare punto della corsa possa risultare decisivo. In vista di sabato prossimo, ad esempio, la quasi totalità del mondo ciclistico attende l'attacco di Pogacar nel punto più duro: i cinque chilometri e mezzo di ascesa da San Lorenzo al Mare a Cipressa, lungo la salita di Costa Rainera. Il problema è che, dallo scollinamento, il traguardo dista ancora 25 chilometri; di questi, i 10 lungo l'Aurelia costituiscono la nemesi di ogni attaccante, puntualmente fagocitato dal gruppo che arriva così, ridotto nei numeri ma pur sempre folto, ad affrontare a velocità altissima il Poggio.

Alla resa dei conti, escluse le rare eccezioni che confermano la regola, la gara viene decisa tra la fine di questa ascesa e la successiva discesa, a conferma della dottrina illustrata in musica 38 anni fa da Luis Miguel. Il futuro Sol de Mexico, sul palco del Teatro Ariston non distante dal traguardo di Via Roma, rivelò una metafora dal sapore di certezza: la Milano-Sanremo somiglia tanto ai suoi ragazzi di oggi: così diversa ma, in conclusione, sempre uguale.

Diversamente dalle altre quattro classiche monumento, la Sanremo non si può preparare in modo scientifico. È l'unica grande corsa del calendario internazionale in cui istinto e buona sorte giocano un ruolo preponderante sullo stato di forma dei singoli corridori in gara. Paradossalmente, tutto ciò potrebbe favorire gli italiani posto che, se si ragionasse su talento e condizione, sarebbe meglio per i sostenitori del ciclismo azzurro tenere spenta la televisione. Sognare un Filippo Ganna che emula il successo di Fabian Cancellara nel 2008 non costa nulla ma è meglio non coltivare troppe illusioni.

Sulla carta, a contendersi la vittoria dovrebbero essere i soliti. Al già menzionato Pogacar, vanno sicuramente aggiunti gli eterni duellanti, il fiammingo Wout van Aert e l'olandese Mathieu van der Poel, cui si aggiungno il minuto britannico Thomas Pidcock, l'imprevedibile francese Julian Alaphilippe e lo sprinter australiano dagli occhi a mandorla Caleb Ewan. Personalmente, non sottovaluto il possibile bis di Mohoric, capacissimo di servire i cevapcici in una salsa diversa da quella tradizionale ma sempre gradevole. D'altronde, avendo sviluppato intolleranza al glutine, questa volta non mi potrò neanche consolare con un bignè.

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