Torna il sole sul Giro, ma si eclissa Bernal!
Daniel Martin vince a Sega di Ala dopo una grande fuga, ma la notizia è la prima crisetta di Egan: attaccato e staccato da Yates e Almeida, il colombiano si tiene la rosa ma pure nuovi dubbi. Caruso sempre splendido secondo
E ora che vogliamo dire, cari amici? Che il Giro è aperto più che mai, che si è aperta una fenditura imprevista ma profonda nello splendido affresco che la Ineos e Bernal avevano sin qui dipinto sullo sfondo rosa della corsa italiana? Che quando una startlist è ricca di protagonisti, ne può saltare uno o ne possono saltare due o ne possono saltare cinque, ma alla fin fine un Simon Yates che spazzi via tutte le certezze, a quattro giorni dalla fine, lo puoi sempre trovare.
Simon risorto col sole, Almeida risorto con la tigna, di cui è costituito pare al 97%, quella che lo fa masticare amaro per due settimane, gli fa mandar giù rospi e stagni interi, poi però lo tiene sempre lì in zona pericolo (per gli altri), e quando si entra nell'iperspazio degli ultimissimi giorni di un GT, questo, ragazzi, c'è. Pare ci sia sempre, c'è stato l'anno scorso, c'è pure stavolta.
Nel giorno dell'infinita gioia di Daniel Martin, pezzo pregiato in fuga con altri 18, selezionati in salita e staccati (gli ultimi di loro) sul durissimo arrivo di Sega di Ala, per quello che è il completamento, da parte del simpatico irlandese, della tripla coroncina: per 102esimo nella storia, Dan mette nel palmarès almeno una tappa in tutti e tre i grandi giri. Effetto collaterale della fuga, Martin fa un gran balzo in classifica.
Classifica che resta guidata da Egan Bernal, però lo capite da voi che cambia tutto, dopo il finale di oggi: quelle che erano certezze scoloriscono un po', e prende invece vigore il progetto di chi ha in mente (e non è mai recesso da tale intento) di provarci, di mettergli il pepe nella minestra, al colombiano, di contendergliela finché sarà possibile, quella rosa. Da oggi, all'improvviso, quest'idea non pare più così fantascientifica.
E, fantascienza per fantascienza, vogliamo dire che Damiano Caruso è sempre secondo, anzi addirittura si è avvicinato di un passetto a Bernal, e che le cose a volte succedono? Come, "quali cose"? Le cose.
Per un Giulio Ciccone sfortunatissimo e poi pesantemente attardato all'arrivo, per un Davide Formolo risaltato ampiamente all'indietro, per un Vincenzo Nibali che continua a galleggiare nelle retrovie, per un Gianni Moscon oggi in fuga ma sempre al servizio del capitano, quando quello chiama, per un Diego Ulissi e un Alberto Bettiol oggi ottimi e all'altezza dei migliori del Giro, per un Lorenzo Fortunato che continua a macinare ottimi piazzamenti, c'è un Damiano Caruso che si è ritrovato addosso i panni di rappresentante di tutti quelli che abbiamo citato nel paragrafo: in pratica, il numero uno degli italiani, il capofila, quello che - credeteci, tu per primo Damiano - si sta giocando un Giro d'Italia contro alcuni dei più forti corridori al mondo.
Vediamola un po' nel dettaglio, allora, questa Canazei-Sega di Ala, 17esima tappa della corsa rosa, 193 km e finalmente una giornata di sole. Uno dei protagonisti del Giro, Victor Campenaerts (Qhubeka Assos), vincitore tra l'altro della frazione di Gorizia, non ha preso il via. Idem la fuga, almeno nella prima ora di corsa o giù di lì: una serie infinita di attacchi, ma per quasi 40 km nessuno ha fatto la differenza. Al km 38, per la precisione, il seme dell'attacco da lontano l'hanno piantato, col loro allungo, Geoffrey Bouchard (AG2R Citroën), Dries De Bondt (Alpecin-Fenix), Quinten Hermans (Intermarché-Wanty) e Pieter Serry (Deceuninck-QuickStep). Subito si sono accodati altri 4 uomini: Andrea Pasqualon (Intermarché), Matteo Jorgenson (Movistar), Valerio Conti e Alessandro Covi (UAE-Emirates); via via si sono portati sugli 8, a formare la fuga definitiva, altri 11 uomini: Simone Ravanelli (Androni-Sidermec), Giovanni Carboni (Bardiani-CSF), Luis León Sánchez (Astana-Premier Tech), Gianni Moscon (Ineos Grenadiers), James Knox (Deceuninck), Jan Hirt (Intermarché), Dan Martin (Israel Start-Up Nation), Felix Grossschartner (Bora-Hansgrohe), Matteo Badilatti (Groupama-FDJ), Antonio Pedrero (Movistar) e Jacopo Mosca (Trek-Segafredo). Qualcuno invece la fuga l'ha mancata di poco, pur provando a rientrare sullo strappo di Sveseri: in particolare George Bennett (Jumbo-Visma), Einer Rubio (Movistar) e Davide Formolo (UAE).
Il gruppo, selezionato sulla strada di Sveseri, ha infine decelerato, si è un po' ricompattato, e i 19 al comando hanno preso margine; intanto De Bondt ha beffato Bouchard al Gpm (3a categoria, km 58, a 135 dal traguardo). Il vantaggio è lievitato fino a 5'30", dopodiché, finita la lunga discesa su Trento, intorno al km 90 la BikeExchange si è messa a tirare forte. Cadono inevitabilmente le maschere negli ultimi giorni di gara, e Simon Yates ha così palesato l'intenzione di dare battaglia sulla salita di Sega di Ala o, chissà, già sul San Valentino. Di sicuro la penultima ascesa di giornata è stata approcciata dal gruppo con 3'40" di distacco dai battistrada, con la Ineos autrice di una trenata proprio sull'ultimo tratto di pianura. Qualche ritiro, si segnalava quello di Rémy Rochas (Cofidis, Solutions Crédits).
Sul San Valentino De Bondt è stato il primo a staccarsi tra i 19: del resto si era assicurato, oltre al Gpm precedente, anche i traguardi volanti di Trento e di Mori (è in corsa nella speciale classifica) per cui giornata ampiamente in attivo per lui; quindi ha perso contatto dal drappello Pasqualon, che aveva ampiamente lavorato fin lì a beneficio di Hirt; stessa cosa che sulla salita ha fatto Hermans, altro compagno del ceco. Quinten ha tirato per un po', poi si è staccato pure lui, non mi prima di aver selezionato ulteriormente il gruppetto: out anche Jorgenson, Grossschartner, Mosca e Covi. Restavano davanti in 12: Moscon, Bouchard, Ravanelli, Sánchez, Carboni, Knox, Serry, Badilatti, Hirt, Martin, Conti e Pedrero. In particolare esibiva brillantezza, sulle strade di casa, Gianni Moscon.
La BikeExchange - disossandosi, va detto - ha ancora limato il distacco, e ancora selezionato il plotone, causando qualche defezione anche nelle fila di Bernal (staccato Jhonatan Narváez per esempio). Tra gli altri ha perso contatto dai migliori Remco Evenepoel (Deceuninck), ma il ragazzino sarebbe riuscito a rientrare a fine salita. Quando il margine per i fuggitivi è sceso a 2'30", Daniel Martin (si era ai -42, a 4 dalla vetta) ha accelerato portandosi via Pedrero e - per l'appunto - Moscon. Ai -39, dopo essersi gestito benino, Bouchard è riuscito a portarsi sul terzetto, pronto per lo sprint al Gpm ai -38, 40 punti per il francese che ha riallungato nella classifica degli scalatori. Da segnalare, in gruppo, una foratura per Giulio Ciccone (Trek) nei pressi della vetta; l'abruzzese è poi rientrato agevolmente aiutato anche da Vincenzo Nibali.
In discesa dal San Valentino una caduta in gruppo ha coinvolto diversi uomini di grido in una curva (ampia ma veloce, o veloce in quanto ampia) a destra: mezza Trek di fatto (Ciccone e Amanuel Ghebreigzhabier, e piede a terra pure per Nibali), gli uomini di Yates (Mikel Nieve e Nick Schultz), un paio di Eolo-Kometa (Mark Christian e piede a terra per Edward Ravasi), un non meglio identificato Bahrain-Victorious, Jimmy Janssens della Alpecin e, ahi ahi, Remco: il belga si è disteso su un largo guardrail, di spalle, ma l'impatto con la barriera gli ha prodotto un profondo taglio sull'avambraccio sinistro, subito medicato con abbondante fasciatura dai sanitari del Giro.
Ciccone, dopo la foratura e la caduta, si è ritrovato pure col cambio malfunzionante (a causa dell'impatto), a dover ricucire un mezzo minuto sul gruppo maglia rosa... con Nibali e Ghebre alle sue spalle dopo il capitombolo, di fatto Giulio era solo contro tutti, e con un mezzo non al meglio. E infatti non è un caso che quelli abbiano allungato: il distacco dell'abruzzese è salito a 40" a fine discesa. Fine discesa (-19) proprio laddove Ravanelli e Carboni, con gran volontà, sono rientrati su Moscon, Bouchard, Martin e Pedrero. A inseguire restava solo un quartetto con Hirt, Badilatti, Serry e Knox, almeno fino a quando questi ultimi due non sono stati fermati dall'ammiraglia Deceuninck per lavorare a beneficio di João Almeida; il gruppo maglia rosa sempre a 2'30" circa. Ciccone a 3'10", e a 17 km dalla fine ha potuto finalmente cambiare bici, per poi rientrare sui migliori zompettando tra un'ammiraglia e l'altra giusto in tempo per la scalata finale.
Approcciata la salita di Sega di Ala, il ritmo di Martin è risultato presto troppo alto per tutti gli altri, che alla spicciolata si sono staccati (per ultimo Pedrero) già prima di arrivare ai -10 dall'arrivo. In gruppo c'è stato il lavoro dei Deceuninck prima e dell'Astana poi, con Fabio Felline al servizio di Aleksandr Vlasov; il problema è stato che lo stesso Vlasov è andato in difficoltà sul ritmo del compagno...
Con Bernal son rimasti nel frangente i soli Jonathan Castroviejo e Daniel Martínez, e allora hanno preso loro le redini del plotone quando, ai -9.5, il buon Vlasov si è malinconicamente staccato. Grazie al lavoro del suo gregario Vadim Pronskiy, il russo è riuscito per il momento a limitare i danni, restando a vista dei migliori; stessa cosa ha fatto Ciccone, che a sua volta ha perso contatto dai big ai -9, ma si è aggregato al trenino Astana. Ma alla lunga per costoro sarebbe stata una pesante deriva. In gruppo restavano in 18: Bernal con Castroviejo e Martínez, gli Jumbo Tobias Foss, Koen Bouwman e George Bennett, i DSM Romain Bardet e Michael Storer, Damiano Caruso (Bahrain) con Pello Bilbao, Hugh Carthy (EF) con Alberto Bettiol, e poi un ottimo Diego Ulissi (UAE), il citato Almeida, la sorprendente coppia Eolo Lorenzo Fortunato-Edward Ravasi, il resistente Matteo Fabbro (Bora) e, ovviamente, Simon Yates, ma da solo. Fabbro e Bouwman hanno perso contatto ai -7.
Ai -6 un momento della verità, Carthy e Bardet hanno visto le streghe, tirava ancora Castroviejo, e nel drappello son rimasti in 8: i tre Ineos (che peraltro davanti avevano pure Moscon), i due Bahrain, Ulissi, Almeida e Yates. Tutti gli altri staccati, a parte Foss che è stato riportato sotto da Bennett.
Intanto Martin: agli 8 km aveva riportato il suo vantaggio sul minuto e mezzo, poi aveva provato a gestirlo, ai -5 gliene restava ancora uno intero. Dietro di lui Bouchard e Moscon facevano a staccarsi l'uno con l'altro, ma il giochino è finito ai -5 quando Gianni - dopo aver passato David - si è fermato per aspettare il trenino dei suoi (ormai vicino) e tirare per quanto di competenza. Col trentino il ritmo è un po' calato, tanto che Martin si è riportato a +1'20". Ai 4.5 km è partito Almeida, ha preso qualche secondo, poi ai -4 lo scatto più atteso della giornata: quello di Simon Yates.
Appena il britannico s'è mosso, Bernal gli è andato appresso e, con un piccolo sforzo, l'ha fatto anche Martínez; Almeida è stato messo nel mirino con poche pedalate, più indietro restava, isolato, Damiano Caruso, in difesa strenua e comunque in perfetta gestione delle risorse: non poteva certo sperare, il ragusano, di tenere i cambi di ritmo degli scalatori puri. Un secondo scatto e Yates, Bernal e Martínez, hanno agguantato Almeida. Un minuto per Martin, 3.5 km alla vetta.
Senza il benché minimo timore reverenziale, Almeida ha proposto un nuovo allungo non appena il ritmo di Yates e dei due Ineos s'è fatto più pacato, ecco allora il terzo affondo di Simon, ma pure questo non risolutivo: Egan e Daniel sempre incollati, Almeida ripreso e superato, ma sempre in scia, con la tigna tipica che ci ha fatto scoprire al Giro 2020 (quando tanti appassionati si innamorarono di lui e della sua tenacia sulle grandi salite).
Dài e dài, il clamoroso è avvenuto ai 3300 metri: colpo di scena, Bernal si è staccato! La gragnuola di colpi è stata evidentemente fatale per il colombiano, staccatosi addirittura su un forcing del suo compagno Martínez. A Yates non sembrava vero, subito ha rilanciato con Almeida, preso e superato Pedrero ai -3, mezzo minuto per Daniel solo al comando e sempre più stravolto.
La crisi di Bernal non era una crisetta, ma proprio un clamoroso spegnersi della luce. Troppo per lui anche il ritmo di Martínez, sul punto più duro. Yates ha infine staccato Almeida nello stesso momento in cui Caruso s'è portato su Bernal, e probabilmente manco a lui pareva vera la scena che gli si parava davanti, con Martínez che platealmente incitava un Egan in seria difficoltà. Sarebbe toccato al siciliano tirare per un chilometro buono, poi da dietro sarebbero rientrati Ulissi e Bilbao, con Pello incaricatosi di trainare tutti a quel punto.
Come un po' tutti a quel punto avremmo scommesso, João-io-non-mollo-mai-Almeida ha chiuso un'altra volta su Yates, ai 2500 metri, superata la parte durissima della scalata. Anzi, all'ultimo chilometro proprio il portoghese ha piazzato lì un allunghetto letale che gli ha permesso di staccare Simon.
Troppo tardi, per João, per la vittoria di tappa: Daniel Martin ha completato il proprio capolavoro di gestione e ha chiuso a braccia alzate con 13" su Almeida; Yates è arrivato terzo a 30"; a 1'20" i limitatori di danni, ovvero il gruppetto con (in ordine di passaggio) Ulissi, Caruso, Martínez e Bernal (in realtà i due Ineos cronometrati a 1'23"); a 1'38" ha chiuso Pedrero, a 1'43" Bilbao. A 2'21" Bennett e Foss e col norvegese siamo giù fuori dai 10. A 2'47" Fortunato, a 2'49" Bouchard, a 2'52" Bardet e Moscon, a 3'05" Storer, a 3'08" Vlasov, a 3'10" Castroviejo e a 3'18" Ravasi; solo a 3'52" Carthy (sempre con Bettiol). Per Ciccone il passivo arriva a 7'58".
La classifica è sempre lunga e pro-Bernal, ma si apre a scenari impensati fino a ieri, come scritto in apertura. Egan guida con 2'21" su Caruso e 3'23" su Yates, che ritorna prepotentemente sul podio provvisorio. Vlasov è ancorato al quarto posto, ma ora è distante 6'03" dalla rosa; Carthy si scambia le posizioni con Yates, è quindo a 6'09". Bardet, con la politica del meno peggio, è ora salito al sesto posto a 6'31" da Bernal, seguito da Martínez a 7'17" e Almeida in impetuosa ascesa a 8'45", ottavo. Foss è nono a 9'18", Ciccone scende dalla sesta alla decima posizione a 11'06", Martin è 11esimo a 13'37", Bennett 12esimo a 19'08".
Domani la 18esima tappa, in programma la Rovereto-Stradella, 231 km sostanzialmente pianeggianti ma con quattro salitelle nel finale a rendere tutto più incerto: volata? Ok, ma chi la tiene chiusa la corsa? Fuga? O cosa?