Tadej Pogacar al Tour de France 2023 © A.S.O.-Pauline Ballet
La Tribuna del Sarto

Se vince Pogacar tutto il ciclismo cambierà allenamenti?

La sfida Jonas-Tadej si misura anche su due tipi distinti di preparazione. L'avvicinamento di Vingegaard al Tour de France è stato canonico, quello del suo avversario sloveno accidentato e reinventato in corsa

15.07.2023 12:30

Il Tour 2023 sta offrendo un grande spettacolo sportivo, un duello che rimarrà nella storia di questo sport, Jonas Vingegaard contro Tadej Pocačar. La competizione tra i due fuoriclasse non è però l’unico spunto di interesse di questa corsa a tappe, perché stiamo assistendo ad uno scontro tra diverse preparazioni atletiche.

Alla Liegi-Bastogne-Liegi di quest’anno, il corridore di Komenda è stato vittima di una caduta in cui ha rimediato una frattura al polso. Questo ha decisamente cambiato i programmi di allenamento in previsione del Tour de France, costringendo lo sloveno ad allenarsi sui rulli ed “a secco”, senza bicicletta. Quindi da un lato abbiamo un corridore, Vingegaard, che ha potuto programmare, sarebbe meglio dire periodizzare, la sua preparazione, finalizzata ad avere il picco di forma al Tour; dall’altro lato un Pogačar già con una forma eccezionale in primavera per le classiche ed alla Paris-Nice (dove non a caso ha surclassato il suo rivale danese), che invece ha dovuto adeguarsi ed inventarsi un nuovo e rapido avvicinamento alla Grande Boucle.

Già nella stagione passata fu chiara una differenza tra i due: Vingegaard un corridore vecchio stampo, da anni zero e dieci di questo secolo, finalizzato tutto sulla corsa più prestigiosa al mondo; invece lo sloveno un talento più eclettico, che riesce ad esprimere prestazioni da fuoriclasse da febbraio ad ottobre. A questa dissomiglianza si è aggiunto l’infortunio al polso dello sloveno, che indubbiamente ha costretto il suo preparatore atletico a reinventarsi un nuovo piano di allenamento, per giunta con un utilizzo molto limitato della bici nelle prime settimane.

Questo ha trasformato la sfida al Tour di quest’anno in un vero e proprio esperimento scientifico sul campo: un nuovo, anche rapido, modello di preparazione atletica, con molte sessioni senza bici, contrapposto ad un tradizionale piano periodizzato di allenamento. Abbiamo letto e sentito tutto ed il contrario di tutto, da un Tadej in forma ad inizio Tour che avrebbe pagato alla terza settimana, oppure, al contrario, un corridore attaccabile nella prima parte della corsa, che avrebbe raggiunto il top della forma solo nelle ultime tappe.

Premetto che non sono in grado di fare previsioni, non ho dati sufficienti e nemmeno la competenza per farlo, ma possiamo già dire che nelle prime frazioni il corridore sloveno non è parso in eccessiva difficoltà. Nella tappa del Marie Blanque, dove ha pagato quasi un minuto di distacco dal danese, i suoi valori in salita ed il confronto con gli altri suoi avversari non hanno indicato un corridore in crisi, anzi. Per quanto sempre difficile da fare, il confronto con gli anni precedenti evidenzia un corridore uguale o migliore rispetto al se stesso di prima; la differenza è che quel giorno ha trovato un avversario più forte.

Proprio la prestazione di Vingegaard sul Marie Blanque merita di essere attenzionata. Abbiamo letto di valori intorno ai 7 Watt/kg su una salita di poco più di 20 minuti, a cui si è unito un finale in pianura tirato a tutta al fine di capitalizzare il maggior vantaggio cronometrico possibile. Una prestazione atletica straordinaria, verosimilmente il limite massimo che al momento il danese può raggiungere, ma che potrebbe aver rotto qualcosa; l’impressione è che sia stata tirata troppo la corda.

Nella tappa successiva la Jumbo-Visma, galvanizzata dal risultato del giorno precedente, più di un minuto di vantaggio sul maggior rivale, ha provato a “chiudere” il Tour, per quanto fossimo solo alla prima settimana di corsa. Tattica perfetta: Wout van Aert strategicamente mandato in fuga, con anche l’accortezza di farlo tirare davanti, quando in contemporanea i suoi compagni di squadra imponevano un ritmo infernale sul Tourmalet. Il fine era di mantenere la giusta distanza affinché il fuoriclasse belga, quando finalmente raggiunto dal suo capitano, fosse pronto a rinforzare il vantaggio sui rivali verso il traguardo di Cauterets-Cambasque.

Le cose, per quanto ben studiate, non sono andate come ci si aspettava: Pogačar ha retto il ritmo infernale sul Toumalet e sull’ultima salita è riuscito lui a staccare il capitano della squadra olandese, dimezzando lo svantaggio accumulato precedentemente; una piccola crisi (difficile parlare di crisi con corridori che viaggiano sempre abbondantemente sopra i 6W/kg, ma tant’è), il conto di una corda tirata troppo da Vingegaard il giorno prima. Chissà se sugli Champs Elysees potremmo dire che quel fuori-giri sul Marie Blaque sia stato paradossalmente il momento in cui il danese ha perso il Tour? 

Più difficile interpretare il secondo e terzo ritardo patito da Jonas rispetto allo sloveno su Puy de Dôme e Grand Colombier, 8 secondi a tappa che possono voler dire tutto e niente, come purtroppo sa bene Laurent Fignon. Nella storia del ciclismo la sconfitta per soli 8 secondi di Fignon contro Lemond nel Tour del 1989 - il ribaltamento avvenne nella cronometro finale a Parigi, città natale del compianto corridore francese - rappresenta lo spartiacque tra il nuovo ed il vecchio ciclismo.

La programmazione scientifica e la tecnologia diventano protagonisti, protesi sul manubrio, caschi aerodinamici; quel giorno finisce un epoca “romantica”, che solo Pantani in seguito saprà far rivivere, per pochi anni purtroppo, ed inizia l’era del ciclismo scientifico, nel bene e nel male. Per inciso, la biografia del biondo ed occhialuto parigino, Nous étions jeunes et insouciants del 2009, è un capolavoro di letteratura sportiva, oggi anche disponibile in una bella traduzione in italiano di Gino Cervi (Noi eravamo giovani ed incoscienti, Pagine AlVento, Mulatero editore).

Forse questo Tour di Pogačar potrebbe segnare l’inizio di una nuova rivoluzione nel ciclismo, un cambio di paradigma radicale nella preparazione atletica: meno fondo, molti rulli e lavoro “a secco” (palestra, camminate e corse in salita).

C’è un dato che bisogna aggiungere, che non viene mai preso sufficientemente in considerazione: l’età dello sloveno, 24 anni. Già molto giovane Pogačar è apparso un corridore fatto e finito, ponendo domande su quanto potrà reggere a lungo a questi livelli, molti si aspettano una fine sportiva precoce del talento di Komenda; invece non si considera che in genere il corridore raggiunge il suo massimo valore atletico intorno ai 28-29 anni. Mettiamo anche che per Pogačar il nadir sportivo sia anticipato, sarebbe ragionevole aspettarselo a 25-26 anni.

Quindi possiamo pensare che atleticamente Pogačar non abbia ancora “accumulato” tutte quelle capacità di fondo e resistenza allo sforzo tipiche del corridore maturo, anzi è possibile che queste sue qualità crescano ulteriormente, per cui in questo momento di carriera sono determinanti i volumi di allenamento, più ancora della qualità.

Se invece lo sloveno dovesse vincere questo Tour, senza, a causa dell’infortunio, aver potuto raggiungere i volumi necessari nella preparazione, ribalterebbe ogni paradigma scientifico, rapporto età e volumi, schemi per migliorare fondo e resistenza; ci troveremmo di fronte ad un punto di svolta per un nuovo ciclismo. È vero che parliamo del nuovo Merckx, non di un ciclista qualsiasi, e dobbiamo anche aggiungere che i chilometraggi non lunghissimi delle frazioni dei grand tour giocano un ruolo importante, determinante in questo contesto.

Nessuno oggi è in grado di fare una previsione per i prossimi giorni del Tour, questo ci terrà incollati alla tv a seguire i nostri idoli, ma non sarà solo una gara sportiva, potremmo anche assistere ad una rivoluzione nell’allenamento delle corse a tappe, che magari potrebbe portare da qui a qualche anno a tentativi di doppiare e vincere Giro e Tour nella stessa stagione, non essendo più necessarie lunghe preparazioni.

Tiferò per Pogačar, non solo perché è il corridore di cui sono innamorato, ma anche perché potrebbe mettere una pietra tombale su quel vecchio ciclismo che finalizzava tutta la preparazione e stagione ad un unico appuntamento, il Tour de France.

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