Le proteste contro la Israel-Premier Tech alla Vuelta a España. (Photo: Tim de Waele/Getty Images)
L'Artiglio di Gaviglio

Hai voluto lo sportwashing? E adesso pedala (fuori dai piedi)!

Il trattamento ricevuto dalla Free Palestine (Israel) sulle strade della Vuelta è del tutto legittimo, perché uguale e contrario all’operazione di immagine per cui quella squadra è nata

04.09.2025 15:30

Di fronte al genocidio in atto a Gaza (e alla pulizia etnica perpetrata da anni in Cisgiordania: non dimentichiamocene mai, nemmeno di quella!), cosa c’è di più ipocrita che storcere il naso per le imponenti proteste anti-israeliane inscenate sulle strade della Vuelta a España, sostenendo che la politica dovrebbe restare fuori dallo sport?

Sport e/è politica 

Perché parliamoci chiaro: qual è il momento in cui la politica fa invasione di campo? Quando la gente a bordo strada sventola le bandiere palestinesi e ulula all’indirizzo di una squadra ben precisa? Oppure, in questo caso, la politica era già entrata mani e piedi nello sport, nel momento stesso in cui un miliardario israelo-canadese, Sylvan Adams, aveva deciso di creare una squadra di ciclismo proprio con quel nome ed il chiaro intento di promuovere nel mondo l’immagine proprio di quel paese?

Sylvan Adams, con ciclisti della Israel Cycling Academy, nel 2019 ©Jack Guez | AFP
Sylvan Adams, con ciclisti della Israel Cycling Academy, nel 2019 ©Jack Guez | AFP

D’altra parte la politica non permea, per definizione, ogni ambito delle nostre vite? E proprio lo sport non è sempre stato sfruttato a fini propagandistici dai regimi di qualsiasi ordinamento e colore politico? Secondo voi Hitler volle i Giochi a Berlino mosso da un innato spirito olimpico, e i generali argentini organizzarono il Mondiale del ’78 in quanto semplici calciofili? Fu un caso che alle Olimpiadi di Mosca 1980 e relativo boicottaggio occidentale, seguirono quelle di Los Angeles 1984 e l’altrettanto conseguente boicottaggio dei paesi del blocco di Varsavia? La Coppa del Mondo di rugby del 1995 non servì a sancire il ritorno del Sudafrica tra i paesi civili dopo l’abolizione dell’apartheid? E di esempi se ne potrebbero fare fino a domani mattina.

Sportwashing: una pratica più diffusa di quanto si potrebbe pensare

Per restare all’oggi, e al ciclismo, i vari potentati mediorientali che stanno dietro a UAE, Bahrain e Jayco-AlUla, secondo voi, sono degli accaniti suiveur che non perderebbero per niente al mondo le volate dell’Étoile de Bessèges e le tappe di montagna del Giro di Polonia? Ecco, appunto: tutto questo, naturalmente, è sportwashing, e qualsiasi istituzione o azienda, pubblica o privata, che decida di investire nello sport, lo fa perché pensa, in questo modo, di ottenerne un ritorno positivo in termini di immagine e di riconoscibilità.

Ora, nel caso della Free Palestine (che però, contravvenendo alla linea editoriale di Cicloweb, qui ha senso chiamare col suo vero nome di Israel-Premier Tech, altrimenti diventa difficile seguire il filo del ragionamento), possiamo dire che di certo il risultato è stato positivo sul piano della riconoscibilità. Ma proprio per questo – e per quello che oggi, quel marchio (d’infamia), rappresenta – non si può certo dire che il ritorno d’immagine sia stato altrettanto soddisfacente. Ma sono, appunto, le regole del gioco, non vi pare?

Le proteste durante l'undicesima tappa della Vuelta a España hanno costretto l'organizzazione a neutralizzare la tappa © El Pais / Miguel Toña (EFE)
Le proteste durante l'undicesima tappa della Vuelta a España hanno costretto l'organizzazione a neutralizzare la tappa © El Pais / Miguel Toña (EFE)

Se finora, e nonostante tutto, squadre e rappresentative israeliane possono legittimamente partecipare ad ogni competizione internazionale, altrettanto legittimamente cittadini comuni possono manifestare la loro contrarietà manifestando a bordo strada al passaggio di una corsa (ma sempre senza mettere i corridori in situazioni di pericolo, per informazioni chiedere al povero Simone Petilli buttato a terra, involontariamente ma anche imprudentemente, da un manifestante pro-Pal) oppure raccogliendo oltre 300 tonnellate di generi alimentari da destinare alla Global Sumud Flotilla che proprio in questi giorni sta veleggiando alla volta di Gaza. In attesa – e, soprattutto, nella speranza – che a questa straordinaria mobilitazione dal basso faccia presto seguito anche una presa di coscienza e un’assunzione di responsabilità da parte dei nostri governi. Con buona pace di chi vorrebbe la politica fuori dallo sport.

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