Tadej Pogacar al recente Tour de France © UAE Team Emirates-SprintCycling
L'Artiglio di Gaviglio

Vegni, sai cosa fare: un Giro per Pogačar e Van Aert!

Alla luce dell’effettiva Vanaertizzazione di Tadej certificata dall’epilogo del Tour, lo sloveno, proprio come il belga, avrebbe tutto l’interesse a puntare la corsa rosa nel 2024. E RCS Sport dovrebbe disegnare un percorso adatto ai due

28.07.2023 21:49

Poche ore dopo avere scritto, su questa stessa rubrica, della presunta Vanaertizzazione di Pogačar – intesa come destino, comune ai due polivalenti per eccellenza del ciclismo odierno, di trovare sulla loro strada specialisti più forti nei singoli fondamentali – eravamo stati sonoramente spernacchiati dallo sloveno, capace di staccare Vingegaard sull’arrivo in salita di Cauterets e rimontare subito parte dello svantaggio patito rispetto al danese il giorno prima, nella tappa di Laruns. E in effetti, per tutta la fase centrale del Tour, l’inerzia era sembrata tornare a favore di Pogi che, tra una progressione sul Puy de Dôme e un’accelerazione violentissima sul Grand Colombier, si era riportato a una decina di secondi dalla maglia gialla.

La marea slovena, però, ha iniziato a indietreggiare sullo Joux Plane, dove Vingegaard è riuscito a rintuzzare l’attacco di Tadej prima ancora dello scollinamento, per poi rifluire completamente tra la cronometro di Combloux e la definitiva disfatta sul Col de la Loze. La classifica finale ha così fotografato una situazione effettivamente piuttosto vanaertiana, per Pogačar: nettamente battuto dal grande specialista, Jonas Vingegaard, ma a sua volta altrettanto chiaramente superiore a qualsiasi altro contender e autore, comunque, di una Grande Boucle di assoluto livello.

Dunque, a bocce ferme, non avevamo poi tutti i torti a paragonare i destini di Tadej e di Wout, a sua volta ritiratosi anzitempo dalla corsa francese per assistere alla nascita del secondo figlio, Jérôme, senza nemmeno la soddisfazione di un successo di tappa. Entrambi i campioni, alla fin fine, tornano dalla Francia con più dubbi che certezze circa il loro status, ed un comune tarlo in testa: che forse, almeno per il prossimo anno, sarebbe bene disintossicarsi dal Tour de France.

Per quanto riguarda Van Aert, anzi, non vogliamo nemmeno prendere in considerazione l’idea che il belga corra la Boucle anche nel 2024, a prescindere dal fatto che resti o meno in Jumbo-Visma: in termini di soddisfazioni individuali non c’è più niente, infatti, che il RollingStone di Herentals abbia ancora da chiedere al Tour de France e, sinceramente, continuare a vederlo in testa al gruppo dei big (o dei fuggitivi) a tirare per Vingegaard, ci fa sanguinare il cuore. Ma lo stesso Pogačar, che ha già dimostrato non solo a parole, ma soprattutto nei fatti, di voler vincere tutte le corse più importanti al mondo, farebbe bene a non focalizzarsi troppo sulla recherche du maillot jaune perdu, e guardare altrove.

Altrove che dunque, tanto per Wout quanto per Tadej, non può che significare Giro d’Italia. Nessuno dei due l’ha mai corso e… “se non ora, quando”, verrebbe da chiedersi? I tempi sono maturi affinché sia Van Aert che Pogačar tentino l’assalto alla corsa rosa nel 2024: naturalmente per vincerlo Tadej che, a quel punto, potrebbe poi affacciarsi anche al Tour per cercare una doppietta storica, ma senza addosso pressioni particolari. Certo, avendo il Giro nelle gambe non ci arriverebbe al top ma, in fondo, anche quest’anno ha conteso il successo a Vingegaard fino all’inizio della terza settimana nonostante l’avvicinamento complicato dalla frattura al polso. E comunque, vista la forza del danese, non avrebbe la certezza di strappargli la maglia gialla nemmeno preparando scientificamente la Grande Boucle. Quindi, tanto vale, cercare di mettere in armadio almeno quella rosa.

Quanto a Van Aert, il suo auspicabile debutto al Giro potrebbe rappresentare l’occasione per mettersi finalmente alla prova in una classifica generale, e vedere se, effettivamente, le impressionanti doti di recupero palesate in questi anni sulle strade di Francia possano essere messe a frutto per sé stesso, e non per altri, su quelle d’Italia. Anche perché, detto fra noi, se questa stagione ha confermato la polivalenza di Wout, ci sta dicendo anche che il nostro eroe pare aver perso quella punta di velocità, se non proprio quel killer instinct, necessari a capitalizzare con una vittoria la superiorità espressa sui pedali. E quindi, forse, il grande motore di cui dispone potrebbe dare maggiori soddisfazioni spalmando le performance sulle tre settimane anziché affannarsi nella ricerca, apparentemente sempre più complicata, del successo di tappa.

E qui entra in scena il terzo protagonista del nostro intrigo: Mauro Vegni. Sempre ammesso che sia ancora lui al timone di RCS Sport, a Monsieur Limorté toccherebbe il compito di cucire un percorso su misura dei due campioni. Un percorso, dunque, che senza rinunciare alle grandi montagne (ma, magari, eviti arrivi impossibili come Zoncolan o Tre Cime, che rischierebbero di rimanere indigesti a Van Aert), proponga anche tante frazioni vallonate paragonabili a piccole classiche – dagli immancabili muri marchigiani ad almeno un altro paio di tappe sulla falsariga di quella, bellissima, di Torino nel 2022 – una buona dose di chilometri a cronometro e una spruzzata di sterrati senesi, giusto per ricordare a Wout e Tadej le piacevoli sensazioni provate vincendo la Strade Bianche.

Insomma, trovare il giusto mix tale da strizzare l’occhio alle caratteristiche di entrambi è possibile, e non sarebbe certo scandaloso un Giro spudoratamente disegnato per Pogačar e Van Aert: la storia è piena di precedenti in tal senso, basti pensare ai percorsi anni Ottanta fatti su misura per alimentare la rivalità tra Saronni e Moser, con buona pace degli scalatori alla Battaglin o, di contro, ai Giri di fine anni Novanta infarciti di montagne per cavalcare il fenomeno Pantani. E in fondo lo stesso Tour de France ha rinnegato la sua vocazione alle cronometro, diventando sempre di più una corsa sbilanciata a favore degli scalatori, proprio a partire da quando si sono affacciati sulla scena corridori francesi come Bardet, Pinot e Barguil, cui poi si è aggiunto Gaudu: tutti scalatori puri, con scarsissimo feeling per le prove contro il tempo. Solo un caso?

In attesa di avere anche noi fra le mani qualche prospetto su cui disegnare i Giri di domani, dunque, ha tutto il senso del mondo che RCS Sport cerchi di accaparrarsi il miglior cast internazionale possibile ricorrendo, anche, ad un certo tipo di percorso: in fondo pure quest’anno non è stata casuale la scelta di rimettere qualche chilometro in più a cronometro allo scopo di attirare i vari Roglič, Evenepoel, Thomas ed Almeida, tutta gente che ha nel tic-tac un’arma importante e che, almeno sulla carta (perché poi, alla prova dei fatti, Vingegaard la grande differenza l’ha fatta proprio nell’unica, breve e vallonata cronometro) pareva penalizzata dal menu proposto dalla Grande Boucle.

D’altronde, stante l’impossibilità oggettiva di reggere il confronto col Tour in termini di startlist, e nella speranza (o forse, soltanto sogno?) che in futuro Vingegaard metta in cantiere il progetto Doppietta, il Giro deve saper essere camaleontico e costruire, ogni anno, una storia che meriti di essere raccontata: e se nel 2023 tutto era stato apparecchiato per la sfida tra Roglič ed Evenepoel, poi vanificata dal Covid-19 che ha messo ko Remco, per il 2024 non ci sarebbe niente di meglio di un inedito scontro tra Pogačar e Van Aert per la conquista della maglia rosa. Non trovate?

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