Editoriale

La Vuelta 2026 e il rovesciamento delle aspettative

A volte, aspettandosi il peggio, si viene sorpresi in positivo: può forse essere che per la prima volta la Vuelta offra il miglior percorso dell'anno? Mettiamo i tre Grandi Giri a confronto per capirlo

Ogni anno l'attesa della presentazione del percorso della Vuelta provoca in me, come penso in molti di voi, due sensazioni contrapposte: il timore degli orrori a cui potrei essere sottoposto, la curiosità di scoprire su quali follie potrò far leva per sbeffeggiare l'organizzatore, disciplina in cui mi sono dilettato con un certo divertimento negli ultimi 2 anni. Eppure ieri sera scorrendo una per volta le tappe della Vuelta 2026 non potevo credere ai miei occhi: non riuscivo a trovare nemmeno una tappa che mi provocasse conati di vomito; anzi, peggio (o meglio), alcune tappe mi son proprio piaciute. Unipublic non poteva mancare di inserire una nuova partenza dal Carrefour per tentare di mantenere il tenore da meme, ma ci si imbatte in questo soltanto all'ultimo giorno, che regala a sua volta la sorpresa di un'ultima tappa non adatta ai velocisti dove ci si potrebbe divertire.

Tanto l'entusiasmo quanto lo sgomento di questo momento apocalittico mi hanno obbligato a rivedere il percorso nel suo insieme, esercizio che quasi sempre rivela pecche nascoste che riducono l'entusiasmo provato nell'osservare le singole tappe. E invece niente: salvo qualche difetto storico della Vuelta, che è comunque legittimo che mantenga la sua identità, tutto fila. Addirittura ci si accorge che sarà l'unico Grande Giro a presentare due cronometro individuali, entrambe sostanzialmente pianeggianti risultando dei tre quello col numero più alto di km contro il tempo (anche se comunque troppo pochi in valore assoluto). Incredibilmente c'è pure un numero consono di tappe per velocisti, cosa che alla Vuelta equivale a un miracolo divino.

 

Quanto c'è di buono

Scorrendo le tappe una per una al buio, si ha subito la sensazione di un déjà-vu: dopo la cronometro iniziale si incontra infatti la classica volata non-volata della Vuelta con arrivo sostanzialmente in salita, mentre al terzo giorno si entra nei Pirenei con un unipuerto pedalabilissimo degno di Montevergine (anche se i quasi 2000 metri di altitudine stemperano lo sdegno). Quando ci si appresta a vedere la quarta tappa in terra andorrana si dà per scontato il rischio di trovarsi di fronte al solito orrendo compromesso di una tappa di montagna sacrificata; invece arriva tra capo e collo una tappa di 104 km senza un metro di pianura, con passaggi in quota e pendenze cattive. Quindi ecco la quinta, che si scopre essere una normale volata (stupore bis), e poi la sesta verso Castelló dove un grande classico (il Desierto de las Palmas) viene riproposto nella versione incattivita e sterrata a 19 km dal traguardo con conseguente nuovo stupore: hanno scoperto che le rampe da garage son più belle se non sono a ridosso dell'arrivo.

Senza continuare a commentarle una per volta, in ogni caso il canovaccio è già chiaro. In parte quest'esperienza mistica viene stemperata dalla comparizione di molti arrivi in salita non necessari, dei quali però nessuno è realmente unipuerto e/o anonimo: ad esempio la salita ad Aramón Valdelinares non è tremenda ma si torna a quasi 2000 metri di quota; oppure l'Alto de Aitana è una salita di 22 km che sarà posta ad una tappa di quasi 190 km priva di pianura (la parola tappone sarebbe sprecata, ma non fuori luogo); infine Sierra de la Pandera, che per natura è difficilmente concatenabile a salite di pari durezza ma è molto bella di per sé e la prendiamo così com'è. Per stupire di nuovo, in mezzo a queste frazioni salta fuori una combo perfetta come Velifique-Calar Alto, impreziosita da tante altre salite a fare da antipasto.

Altimetria 20a tappa
Il capolavoro, a suo modo, proposto dalla Vuelta 2026

Ma soprattutto si scopre che per la prima volta dopo secoli, l'ultima settimana offre terreno adeguato a ribaltare tutto: cronometro lunga per specialisti, l'arrivo in salita a Peñas Blancas (ascesa di quasi 20 km) posto al termine di una frazione di oltre 200 km (incredibile ma vero) e un tappone (stavolta davvero) di 187 km che sulla Sierra Nevada mette in fila quattro ascese durissime, ma con pendenze da ribaltamento solo nella prima e nella terza, quindi lontano dal traguardo. E poi clamorosamente a Granada, per l'ultima frazione, si sono inventati un circuito con arrivo in salita all'Alhambra, tanto spettacolare quanto tecnicamente interessante.

 

Diamo i numeri

Avendo occupato l'editoriale sul Tour e quello sul Giro a questione più alte, se vogliamo esagerare, di cultura ciclistica, è questo il momento di riepilogare un po' di dati dei tre Grandi Giri. Come sempre si parte dalla distanza, questione sempre interessante in tempi in cui il desiderata (cit. Mauro Vegni) conduce altrove. Il Giro d'Italia con 3459.2 km complessivi è nettamente il più lungo dei tre, ma al netto della cronometro propone una lunghezza media di 171 km, decisamente inferiore agli anni passati. Il Tour de France con 3333 km complessivi tiene una lunghezza media delle tappe in linea di 173.4 km; la Vuelta una media di 170.6 km per un totale di 3275 km. Già da qui anche i numeri risultano schizofrenici un po' come l'anno a cui troviamo di fronte: il Giro che presenta 4 tappe sopra i 200 km (la più lunga di 246) e la Vuelta che ne presenta 2 (la più lunga di 215), sono mediamente più corti del Tour che ne presenta una sola di appena di 205 km. Questa è la dimostrazione che si può alleggerire il carico complessivo senza perdere di vista la completezza, esercizio in cui il Tour de France 2026 fallisce in pieno, come avevamo già visto anche in merito al dislivello.

Il Giro d'Italia conferma l'andamento al ribasso del 2026 anche su questo piano, ufficializzando (è bene ricordare che le stime sul dislivello vanno sempre tarate) per la prima volta un dislivello complessivo inferiore a 50000 metri, 49150 per l'esattezza. Il Tour de France, spacciato per soft e in crescendo, ne presenta addirittura 54450, cifra pressoché record. Viceversa la Vuelta raggiunge la cifra veramente record di 58156 metri, dunque 4000 metri in più dell'anno prima con 2 arrivi in salita in meno e un numero inferiore di tappe per velocisti.

Insomma, al contrario degli anni passati è quasi impossibile trovare delle tendenze nei numeri complessivi del prossimo anno, ma in compenso si dimostra come fare le cose bene rende tutto possibile: una corsa molto dura può essere più equilibrata di una molto facile, così come una corsa che si vuole facile a tutti i costi può trasformarsi nel contrario.

Il Giro che verrà: prima settimana su e giù dagli Appennini
Addio a Michele Dancelli, l'eroe della Milano-Sanremo 1970
Francesco Dani
Volevo fare lo scalatore ma non mi è riuscito; adesso oscillo tra il volante di un'ammiraglia, la redazione di questa testata, e le aule del Dipartimento di Beni Culturali a Siena, tenendo nel cuore sogni di anarchia.