I pezzi più pregiati di una collezione più allucinata che allucinante
Editoriale

(Il movimento vorticoso dei marrons glacés è) in crescendo

A fronte di un percorso che pare concepito da gente che non ha mai visto una corsa in vita sua, prendiamo la filosofia dichiarata del Tour 2026 e smontiamola

24.10.2025 10:00

In crescendo: questo è il titolo che ASO ha dato al comunicato stampa con cui viene sintetizzato il percorso del Tour de France 2026 presentato da poche ore. Il conceto è stato poi tradotto in varie interviste sia dal direttore generale della Societé du Tour de France, Christian Prudhomme, sia da chi si occupa attivamente di disegnare il tracciato nel dettaglio, Thierry Gouvenou: la volontà è quella di tenere la corsa aperta fino all'ultimo, perché si possa vivere anche l'ultima tappa di montagna senza avere idea di chi vincerà la corsa. Premesso che dichiarare con orgoglio un'idea che ha la stessa originalità e la stessa portata rivoluzionaria di cantare Io vagabondo ad una serata di karaoke (anzi peggio, perché Io vagabondo è una bella canzone, mentre l'idea di ASO è un'idea da cui nascono i fiori, per citarne un'altra), l'afflato di acume e genialità svanisce definitivamente quando si ammirano certi capolavori che compongono il percorso del Tour 2026. Vediamo insieme nel dettaglio quali sono i problemi di fondo di questo approccio e cosa sarebbe bastato a cambiare completamente lo scenario.

 

Poche idee, ma confuse

Pochissimi giorni fa su questa pagina pubblicavo una riflessione sul fatto che la sparizione del ruolo del direttore di corsa vecchio stampo portava con sé il rischio, se non la certezza, di smarrire la retta via, di finire per organizzare le corse inseguendo solo il soldo facendo a meno di una filosofia di fondo, di un'idea di ciclismo da perseguire che invece prima segnava le stagioni di questo sport. Anche i percorsi più orrendi spesso trovavano una spiegazione, che portava a compiere scelte simili per lunghi periodo: per esempio i percorsi facilissimi visti al Giro tra anni ‘70 e ’80 vivevano della popolarità di Moser e Saronni ed avevano un significato storico, indipendentemente dal fatto che quella scelta si possa ritenere corretta o sbagliata, ma era una direzione chiara, strategica.

Il Tour de France è da qualche tempo l'emblema della schizofrenia, che si palesa attraverso percorsi che sembrano concepiti ogni anno da una persona diversa, mentre invece se ne occupano sempre le stesse persone da 20 anni, ai quali però evidentemente vengono servite pappardelle ai funghi allucinogeni a loro insaputa. Negli ultimi anni si è visto tutto e il contrario di tutto e le uniche due cose che continuano a restare più o meno costanti sarebbero anche le prime a dover cambiare: una riduzione perenne delle distanze e delle prove a cronometro. Entro questi binari per le ultime due edizioni erano stati comunque costruiti dei percorsi accattivanti, in grado di affiancare l'innovativo al tradizionale e che in effetti, nonostante l'ingombrante presenza di un cannibale come Pogacar, sono stati piacevoli da seguire quantomeno per una buona parte. Per il 2026 la manualistica è stata sacrificata sull'altare di uno dei concetti più odiosi del ciclismo contemporaneo: l'incertezza fino all'ultimo minuto. Concetto odioso perché ipocrita: se i big sono livellati ci sarà incertezza anche con un percorso durissimo; se hai un dominatore non ci sarà incertezza nemmeno con un percorso facilissimo. Concetto odioso perché presuntuoso: i fattori in gara sono talmente tanti che non puoi pretendere di stabilire come sarà la classifica alla 20a tappa e spesso le corse che vengono ribaltate sono proprio quelle che sembrano già chiuse (Nibali 2016, Froome, 2018, Pogacar 2020, Yates 2025 e, perché no, Pantani 1998). Concetto odioso perché idiota: le corse non sono belle se non succede niente, ma se succede di tutto; non sono belle se le tieni chiuse fino all'ultimo, ma se offri molteplici occasioni di riaprirle. Concetto odioso perché inutile: nell'era di Pogacar devi trovare un modo di metterlo in difficoltà; fare un percorso alleggerito ritarda l'effetto ma non lo sovverte. Concetto odioso perché controproducente: barattare una corsa con una settimana divertente e due noiose con una dove ci si annoia per tre settimane consecutive è un nonsense, ci arriva chiunque.

La dimostrazione di tutto questo è rapida, perché chiunque ami questo sport quando si trova di fronte i profili di alcune delle tappe del prossimo Tour sente che sta per venirgli un infarto. Dovendo attraversare i Pirenei quasi subito, visto che si parte da Barcellona, ma volendo evitare che Pogacar distrugga la concorrenza, si sono messe in piedi tre frazioni destinate a finire praticamente in volata: lo sloveno potrà agevolmente portarle a casa con uno sforzo massimale negli ultimi km e avremo lo stesso leader ma con una corsa molto meno spettacolare. Sono sicuramente disegnate meglio le Alpi, dove però non ci si è privati di una tappa completamente inutile ad Orcières-Merlette che è degna delle Vuelte più orrende. Il paradosso finale? Ci sono 3000 metri di dislivello in più dell'anno scorso, palesemente buttati via.

Altimetria 18a tappa

 

La strada da percorrere

Premesso il fatto che proporre un percorso ordinario ma ben concepito come quello del 2025 - se non addirittura accattivante come quello del 2024 - va sempre bene a prescindere dai corridori che vi partecipano, se si vuole tentare davvero di rendere una corsa con Pogacar ancora più interessare, si deve mettere Pogacar in difficoltà. È evidente che in questo momento c'è un'unica remota possibilità che si è palesata a tutti tramite una delle immagini più indimenticabili di questo 2025: Evenepoel che raggiunge e passa Pogacar sull'ultima ascesa della prova a cronometro dei campionati del mondo. Dal momento che il pluricampione del mondo in carica di specialità è già salito sul podio del Tour, perché non mettergli a disposizione 100 km di cronometro perlopiù pianeggiante in cui (cercare di) guadagnare qualche minuto su Pogacar? Allora sì che anche un percorso apparentemente disegnato coi piedi acquista di senso, perché lo sloveno avendo poco terreno disponibile per recuperare terreno sul belga sarebbe costretto a muoversi da lontano, cosa che sappiamo riuscirgli benissimo, e magari alla 20a tappa otterresti comunque quell'effetto di non sapere chi vincerà la corsa poco dopo.

Diciamocelo chiaramente: alcune tappe prese singolarmente non sarebbero nemmeno male, prima fra tutte proprio la 20a che ha i connotati di un tappone, sbilanciandosi con il chilometraggio futuristico di 171 km che al giorno d'oggi è grasso che cola; anche la tappa precedente, con arrivo all'Alpe dal versante tradizionale, la 14a sui Vosgi e la 15a con arrivo al Plateau de Solaison offrono l'occasione di muoversi da lontano o comunque inventarsi strategie offensive, ma chiudendosi su salite molto impegnative risulterebbero spettacolari solo con una situazione di classifica che costringa i più forti a muoversi da lontano. Viceversa la tappa di Gavarnie ha un'ascesa finale troppo pedalabile dunque attaccare sul Tourmalet è un rischio che si prende solo si è costretti. Plausibilmente Pogacar avrà invece tutto sotto controllo, visto che le due cronometro in programma sono brevissime, peraltro con la prima che prevede l'aiuto dei compagni di squadra e la seconda che su 26 km ne ha 10 di salita.

Sarà forse che le cronometro lunghe sono anti-televisive, o almeno si ritengono tali. Ma non si può continuare ad ignorare che senza cronometro di 60 km non ci sarebbero state la fuga di Chiappucci verso Sestriere o quella di Pantani verso Les Deux Alpes, perché banalmente non sarebbero state necessarie. Vi sembrano lontane nel tempo? Allora facciamo che Carapaz ha vinto un Giro d'Italia nel 2019 che aveva 60 km a cronometro (spezzati in tre prove) nei quali aveva perso da Roglic 3'48". Si chiama bilanciamento e il ciclismo tutto ormai se lo sta dimenticando.

Altimetria 16a tappa

 

Tour Femmes in controtendenza

A riprova della schizofrenia che regna in ASO, tutt'a un tratto si è riscoperto che le cronometro hanno un senso nella corsa femminile. Dopo due edizioni palesemente sbilanciate verso la salita, viene proposto un percorso molto più equilibrato ed incerto, che però offre frequentemente terreno per attaccare, soprattutto dopo una cronometro di 21 km, che in una gara di 9 tappe avrà effetti più che rilevanti. Il solo Mont Ventoux favorirà nettamente le scalatrici, mentre il resto del percorso tiene le porte aperte anche a cicliste più eclettiche, che potrebbero inventarsi qualcosa nelle tante tappe-trabocchetto in programma. Si sono ritagliate anche tre giornate che potrebbero chiudersi con una volata, tutte però con insidie che renderanno la vita difficile alle velociste più pure, mantenendo la gara interessante ogni giorno.

Arriverà forse un giorno in cui riusciranno a proporre un percorso equilibrato per uomini e donne nella stessa stagione? 

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Francesco Dani
Volevo fare lo scalatore ma non mi è riuscito; adesso oscillo tra il volante di un'ammiraglia, la redazione di questa testata, e le aule del Dipartimento di Beni Culturali a Siena, tenendo nel cuore sogni di anarchia.