
Tour prevedibile? Quando l’abituazione spegne l’emozione
Il nostro cervello è capace di ignorare stimoli familiari quando si ripropongono: il disinteresse di molti tifosi per il Tour potrebbe avere origine cognitiva
È difficile descrivere quello che sta accadendo a un appassionato di ciclismo in questa stagione: da un’esaltante sfida in primavera tra Pogačar e Van der Poel al confronto scialbo, sempre con il fuoriclasse sloveno, questa volta contro Vingegaard. Il problema, però, potrebbe non essere solo nella corsa, ma anche nella natura del nostro cervello e della sua capacità di abituarsi.
La “forza dell'abituazione"
L’abituazione, nelle scienze cognitive, è un meccanismo di apprendimento in cui la risposta del sistema nervoso a uno stimolo diminuisce con la ripetuta esposizione allo stesso. In pratica, l’organismo è in grado di ignorare un impulso familiare e irrilevante, liberando risorse cognitive per concentrarsi su stimoli più importanti. È una funzione cognitiva non solo umana, comune a una vasta gamma di organismi in natura, poiché permette di selezionare le afferenze sensoriali più rilevanti per la sopravvivenza e il benessere.
Alcuni soggetti, affetti da patologie come l’autismo o il Parkinson (per citarne solo un paio), soffrono della perdita o riduzione, più o meno grave, di questa capacità (lack of habituation), evidenziando in negativo quanto essa sia utile. Sono state avanzate anche alcune teorie, come quella che collega la larga diffusione nella popolazione dell’emicrania, anch’essa con una lack of habituation di grado molto lieve, a un possibile vantaggio evolutivo: nell’era preistorica, chi si distraeva aveva più probabilità di essere cacciato e ucciso. Questo spiegherebbe perché, solo in Italia, si contino circa sei milioni di emicranici, con una prevalenza mondiale stimata intorno al 15%. Negli ultimi anni questa teoria è stata in buona parte scientificamente confutata, ma non del tutto abbandonata.
Tornando al ciclismo, è proprio l’abituazione – questa volta intatta – a spiegare una certa disaffezione di alcuni tifosi. La mente si adatta, si abitua anche all’eccellenza, e alla lunga smette di emozionarsi. In altre parole: è annoiata. Un Tour de France senza brividi, con distacchi marcati e pochi colpi di scena, ha messo a dura prova anche i più fedeli. Quanti si sono ritrovati a lottare contro il sonno, persino negli ultimi chilometri? Ma se il tifoso si annoia, cosa accade all’atleta? Le immagini di Tadej Pogačar, spesso malinconico in volto, sembrano restituire la fatica non solo fisica ma anche mentale di un corridore abituato a corse ben più adrenaliniche. Aggiungiamoci uno stato di salute non ideale, magari anche con qualche linea di febbre, e anche noi al suo posto staremmo contando i chilometri che mancano all’arrivo a Parigi. (Tralascio in questa sede il discorso, ben più complesso, sullo stress e la psicologia dell’atleta di élite.)

Il fascino discreto delle (storie di) periferie
Questo Tour sta lasciando un retrogusto amaro, a cui eravamo un po’ disabituati. Niente di grave: sono fasi storiche che vanno e vengono, e che forse ci aiutano ad apprezzare di più ciò che avevamo iniziato a snobbare — un Giro d’Italia senza i due o tre maggiori fuoriclasse del momento.
Perché i nostri cervelli hanno mille risorse straordinarie a cui affidarsi. Una è proprio quella di prestare attenzione alla periferia del nostro campo visivo: a sfide e storie meno gridate, ma dal fascino e significato enorme. Per quanto mi riguarda, il fantastico Tour dell’Irish Wild Rover, Ben Healy, con il suo stile di corsa naïf, con la sua testa storta, ha in parte riempito il vuoto lasciato dalla mancata sfida tra Tadej e Jonas — troppo grande il distacco per crederci. Più che meritato il premio di Super Combative del Tour 2025 e grande gioia per chi come me e Alessandro Autieri di AlVento siamo suoi tifosi dalla prima ora.
Ognuno avrà cercato la propria via di fuga dalla monotonia. Una noia diversa da quella "strategica" che precede ogni anno il finale di Sanremo: questa volta mancava del tutto l’attesa. Sarebbe interessante capire se un appassionato di ciclismo emicranico si sia annoiato meno di un non-emicranico. Magari darebbe forza a quella teoria oggi meno in voga rispetto al passato.
Proviamo a giocare, nel nostro piccolo, con un sondaggio:
- Siete emicranici (accertati da un medico)? Quanto vi siete annoiati, da 1 a 10, in questo luglio francese?
- E se non soffrite di mal di testa, quanto allora?
- Più giorni di cefalea emicranica avete al mese e meno vi annoiate in questo Tour?
Non avrebbe alcun valore scientifico, sarebbe ridicolo solo pretenderlo; è solo un gioco per passare il tempo durante una corsa che, purtroppo, quest’anno ha offerto poche scintille.