Austina Killips, atleta transgender, davanti a due colleghe donne: una scena destinata a sparire dal ciclismo © Tour of the Gila
La Tribuna del Sarto

Quale sport per le atlete transgender? Il ciclismo risponde così

Un difficile percorso normativo-legislativo sul tema ha interessato negli ultimi anni il CIO e le federazioni internazionali. Per l'UCI una soluzione sofferta ma coerente

04.11.2023 15:30

Nel 2021 il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) lasciò una patata bollente nelle mani di ogni federazione sportiva: decidere se le atlete transgender (transwomen) possano o meno partecipare alle competizioni femminili.

Molti pregiudizi iniziano a cadere nel mondo dello sport, e non solo, ed il CIO ha dimostrato sensibilità sull’argomento redando un nuovo regolamento in materia. Sarebbe stato molto più facile e politicamente corretto cancellare una discriminazione generandone però un’altra - consentire semplicemente alle transwomen di partecipare alle competizioni femminili - invece il vertice dello sport mondiale ha dimostrato il giusto equilibrio: da un lato rispettare e proteggere la scelta di genere di ognuno, dall’altro lato garantire una leale competizione sportiva tra donne (ciswomen).

Fino al 2021 un’atleta trans poteva partecipare ad una gara femminile solo se il valore ematico di testosterone si fosse mantenuto sotto una determinata soglia negli ultimi 12 mesi; ora, invece, ognuno è libero di gareggiare nella categoria che più lo rappresenta. È compito di ogni federazione verificare, da un punto di vista strettamente scientifico, che non vi siano vantaggi eccessivi.

Sempre dal 2021 è proibito effettuare qualsiasi test che possa determinare il sesso biologico di appartenenza; un esame umiliante e violento, che mina la dignità di una persona. Un passo davvero importante ma che appunto lascia ad ogni federazione il compito di risolvere la parte più delicata della questione. La scienza da sola non sarebbe stata sufficiente a dirimere l’argomento, poiché alla base di questa decisione è necessaria una chiara idea (culturale) dell’essenza del proprio sport.

L’UCI (Unione Ciclistica Internazionale) ha recentemente risposto all’invito del CIO e dal 17 luglio 2023 non è  più possibile per un’atleta transwomen partecipare ad una competizione ciclistica femminile. La decisione non si fonda su solide basi scientifiche, anzi la risposta data dal professore Xavier Bigard, che per conto dell’UCI è autore di una revisione della letteratura in merito, è sintetizzabile con una parola: “Impossibile”.

Impossibile confermare che un livello di testosterone più basso di 2,5 nmol/L sia sufficiente ad eliminare qualsiasi gap uomo-donna accumulato in pubertà; altrettanto impossibile sottoscrivere che persistano vantaggi atletici maschili dopo due anni dal GAHT (Gender Affirming Hormone Treatments), la cura ormonale necessaria ad indurre caratteristiche sessuali secondarie al fine di allineare il proprio corpo alla propria identità di genere, tramite inibizione della produzione di testosterone.

Il presidente UCI, David Lappartient, ha così riassunto la posizione della federazione internazionale: “Prima di tutto, L’UCI desidera riaffermare che il ciclismo - come sport competitivo, attività ricreativa o mezzo di trasporto - è aperto a tutti, comprese le persone transgender, che incoraggio come tutti gli altri a partecipare al nostro sport. Vorrei anche riaffermare che l’UCI rispetta pienamente e sostiene il diritto degli individui di scegliere il sesso che corrisponde allo loro identità di genere, qualunque sia stato assegnato alla nascita. Tuttavia, ha il dovere di garantire, soprattutto, pari opportunità per tutti i concorrenti nelle gare di ciclismo. È questo imperativo che ha portato l’UCI a concludere che, dato che l’attuale stato di conoscenza scientifica non garantisce tale uguaglianza di opportunità tra le atlete transgender e le donne cisgender partecipi, non è stato possibile, come misura precauzionale, autorizzare le prime a correre nelle categorie femminili”.

Nello stesso tempo, la stessa federazione ciclistica internazionale si impegna ad organizzare un programma di ricerca volto a studiare i cambiamenti prestazionali fisici delle atlete altamente qualificate sottoposte a trattamento ormonale, non chiudendo definitivamente la porta ad un possibile cambio di decisione in futuro.

Da adesso, dunque, negli eventi master internazionali UCI in calendario (UCI Gran Fondo World Series, UCI Gran Fondo World Championships, UCI Gravel World Series, UCI Gravel World Championships e UCI Masters World Championships) sarà presente una nuova categoria al posto di quella maschile: Men/Open, in cui sarà ammesso senza alcuna restrizione ogni atleta che non ha le condizioni per partecipare ad un evento femminile.

La revisione scientifica fatta dal professore Xavier Bigard, citata nella dichiarazione ufficiale dell’UCI, è utile a capire che la stessa federazione vede il ciclismo come “sport”, cioè prima di tutto un confronto tra abilità atletiche di base (forza, potenza, fondo) e tra caratteristiche fisiche antropometriche e biologiche (altezza, fenotipi ormonali, livelli di emoglobina).

Per i vertici del ciclismo il concetto di equo non è sinonimo di uguale opportunità di successo, ma di leali (fair) condizioni di successo. È una scelta culturale quella di preservare un concetto di lealtà sportiva, senza dimenticare che la competizione è pur sempre uno strumento che deve evidenziare di fatto differenze atletiche, a patto che siano naturali o frutto di preparazione fisica, non determinate dal sesso biologico e, ça va sans dire, da doping.

Non c’è alcun intento discriminatorio nella decisione dell’Unione Ciclistica Internazionale, ma un’idea di ciclismo, la stessa che ci più essere utile anche per approfondire il gesto sportivo di un corridore e di una corritrice da un punto di vista prettamente fisico.

Entrando nei dettagli scientifici della questione transgender, infatti, si compie un valido esercizio di analisi delle caratteristiche atletiche, antropomorfe e biologiche del ciclista, che non può che essere utile come riferimento per eventuali studi sulla materia: dimostrazioni di performance enhancing, differenza tra fenotipi, eventuali terapie mediche consentite o meno nello sport, ruolo dell’esercizio fisico nel modificare l’effetto di un agente biologico come può essere una terapia farmacologica, persistenza di benefici atletici a distanza dall’utilizzo di alcune sostanze.

In conclusione, possiamo affermare che i vertici del ciclismo mondiale hanno ben gestito la patata bollente del CIO, con un approccio sì scientifico, ma soprattutto culturale, dove il concetto di equità è stato declinato a favore di una categoria “agonisticamente” protetta come quella femminile.

Approfondendo la relazione del Professor Xavier Bigard, possiamo determinare come manchi una statistica forte alla base delle conclusioni secondo cui al momento è “impossibile” affermare con certezza che, rispetto alle donne, i transgender godano di un vantaggio secondario al sesso biologico maschile alla nascita. Ma entrando più nei dettagli, i pochi dati delle pubblicazioni scientifiche a disposizione tendono a sottolineare che i soggetti sottoposti a GAHT mantengono un bonus biologico accumulato durante la pubertà, piuttosto che perderlo irrimediabilmente.

Diventa dunque interessante analizzare, seguendo appunto il lavoro del Professor Bigard, la questione di sesso e genere nella prestazione sportiva, poiché permette di approfondire alcuni aspetti fisiologici alla base del ciclismo, utili anche in altre questioni critiche come, ad esempio, il doping.

Differenza nelle prestazioni atletiche tra uomini e donne

Nella performance il vantaggio dell’uomo rispetto alla donna non è uguale in ogni sport; ad esempio, secondo uno studio di Hilton e Lundberg (2021) si osserva un gap a favore del sesso maschile di circa 11% nel canottaggio ed uno del 34% nel sollevamento pesi.

Nel ciclismo, prendendo come riferimento i record del mondo nella varie discipline, si osserva una superiorità di circa 10-13% nel ciclismo su pista e di 11-13% in quello su strada. La cosa interessante è che, malgrado una maggiore partecipazione femminile, la disparità tra  uomini e donne è rimasta relativamente stabile dagli anni ottanta ad oggi, a dimostrazione che non sia dovuta ad una differenza culturale e di accesso allo sport, ma sia prettamente biologica.

Cosa ci possono dire in più questi dati?

Analizzando a fondo la questione, si può leggere un certo trend che accomuna le varie discipline: più allunghi la prestazione, minore è la differenza tra sessi. Questo non significa che l’uomo non conservi un vantaggio anche nella resistenza, ma nel fondo il gap tende ridursi con l’allungamento della prova. Le vere ragioni di questa differenza non sono note.

Nel momento in cui l’esercizio fisico è molto prolungato, potrebbe iniziare a venire meno l’influenza degli ormoni maschili, di elementi biologici e di forza, a vantaggio di altri fattori. Non è un caso che nell’ultra-running siano state scritte imprese sportive femminili alla pari di avversari maschili.

Potrebbe il fattore mentale giocare un ruolo chiave?

Non c’è dubbio che il testosterone permetta di aumentare velocità, capacità di salto, potenza ed anche resistenza; ma nello stesso tempo non bisogna ignorare i suoi effetti psichici: maggiore aggressività, elemento che può dare un vantaggio nello sport, ma, forse, anche una maggiore fragilità mentale negli sforzi molto lunghi, determinanti in una prova ultra.

Esiste un vantaggio nel metabolismo energetico nel sesso femminile?

La stessa percentuale di grasso più alta nelle donne - riserva utile alla preservazione della specie? - potrebbe essere letta in questa luce: minor predisposizione a brevi compiti fisici intensi con una maggior garanzia in un lavoro prolungato nel tempo.

Non abbiamo una risposta a queste domande, ma studiare ed approfondire queste differenze può aprire a conoscenze innovative, portarci a scoprire aspetti energetici e metabolici ancora ignoti e, perché no, magari utili a combattere malattie come la cefalea, l’epilessia o i tumori.

Negli ultimi anni c’è un recupero di interesse, con notevoli progressi, in merito alla questione nutrizionale ed energetica, probabilmente alla base di molte prestazioni atletiche eccezionali nel ciclismo; pensiamo alla dieta chetogenica ed ai chetoni esogeni, allenamenti a digiuno e digiuni intermittenti oppure alla sperimentazione di farmaci che spingano verso un tipo di metabolismo piuttosto che un altro.

Avere dunque più chiare queste differenze prestazionali nell’endurance tra uomini e donne, può davvero essere un grande balzo nella medicina e dato che il vantaggio ormonale maschile viene a ridursi con l’allungamento della competizione, è indirettamente una prova che gli stessi effetti delle sostanze dopanti classiche, testosterone ed anabolizzanti, vengono ad essere meno incisivi nei lunghi tempi di gara.

Fattori chiave che sono all’origine del gap di genere

Gli studiosi concordano che il testosterone giochi un ruolo fondamentale nel gap di genere. Sono davvero pochi gli sport dove questo ormone non favorisca una prestazione, infatti non può che essere incluso nella lista delle sostanze dopanti (forse solo le discipline di precisione non se ne avvantaggiano, forse).

Bermon, in un suo studio del 2014, dimostra che atleti iperandrogenici per natura (deficit 5 alpha-reduttasi o parziale ipersensibilità agli androgeni) furono iper-rappresentati nei campionati del mondo di atletica leggera del 2011; mentre Eklund (2017) dimostra che vi è una correlazione positiva e significativa tra livelli endogeni di testosterone e performance sportiva, sia atletica che tecnica.

È la pubertà il momento in cui il gap ormonale diventa enorme, gli uomini hanno in media valori di testosterone 15-20 volte superiori alle donne, è in questa fase che il divario si allarga, possiamo dire definitivamente. E questo ci deve portare a riflettere su un’altra questione. Se un atleta ha utilizzato il testosterone come forma di doping, magari subendo anche qualche anno di squalifica, è verosimile pensare che permanga un vantaggio accumulato anche dopo la sospensione dell’integrazione ormonale illecita.

Pur con tutti i limiti dei pochi studi a disposizione, possiamo affermare che nei soggetti sottoposti a GAHT, transwomen, l’inibizione farmacologica del testosterone non è in grado davvero di annullare il gap biologico sessuale; poi si può discutere se questa differenza rimanga significativa o meno da un punto di vista di lealtà sportiva.

Come può, dunque, la semplice interruzione della pratica dopante con testosterone oppure anabolizzanti garantire che quell’atleta non goda comunque di un surplus illecito nel tempo? Per determinati tipi di doping, che generano un vantaggio anche a distanza e senza necessità di proseguire con l’assunzione della molecola, sarebbe utile ragionare se sia il caso di comminare una squalifica a vita, non per ragioni morali, ma solamente tecniche.

Infatti, così come le conclusioni del professor Bigard non hanno alla fine consentito alle atlete transgender di partecipare a competizioni femminili, allo stesso modo un atleta che ha utilizzato per doping il testosterone deve essere escluso da qualsiasi competizione, non potendo garantire di aver perso i vantaggi avuti dal pregresso utilizzo della sostanza.

Fattori determinanti nella prestazione ciclistica

Nel lavoro del professor Bigard sono stati analizzati quali siano i fattori che giocano un ruolo in generale nella prestazione in bicicletta e, nello specifico, quelli che permettono all’uomo di avere un vantaggio rispetto alla donna: VO2max, efficienza muscolare, potenza massima e potenza anaerobica, Q-angle. Nel ciclismo di endurance sono predominanti nella prestazione la massima potenza sostenuta ed il costo energetico per mantenere la velocità data; mentre la potenza muscolare è il maggior fattore nelle prove sprint.

VO2max

Il massimo assorbimento Ossigeno (VO2max) non è di per sé un valore predittivo nel fondo, il Maximal Lactate Steady State (MLSS), la più alta intensità di esercizio a lattato stabile, e la LT2-VO2 (la soglia di lattato al 90% di VO2max), predicono con maggiore precisione la lunga prestazione.

Efficienza muscolare

L’efficienza meccanica dell’esercizio in bicicletta, sia negli sforzi intensi, sia negli sforzi più lunghi, dipende dalla percentuale di fibre muscolari di tipo I (rosse) nel vasto laterale (muscolo della coscia) e dal ridotto costo di ossigeno durante un’esercizio massimale.

Potenza massima (Pmax) e potenza anaerobica

La Pmax, anche se meno intuibile, ha un ruolo importante nell’endurance. In una cronometro di 20 minuti, l’82% della variabilità della prestazione è dovuta al Pmax ed all’OBLA (Onset Blood Lattate Accumulation). La potenza massima dipende direttamente dalla massa muscolare. Nelle donne, ad esempio, con un 1 kg in più di muscoli nella parte inferiore del corpo vi è un incremento del 4% della prestazione in un test di 10 minuti.

Ovviamente anche la potenza anaerobica nello sprint e nell’accelerazione dipende molto dalla Pmax e massa muscolare. Con un solo kg di muscoli in più agli arti inferiori si osserva un incremento del 9% di Pmax in sforzi di 1-6 secondi, con un incremento di circa 50-80 Watt, oppure un +35 Watt in uno sprint di 30 secondi.

Forma ed allineamento delle ossa agli arti inferiori (Q-angle)

Nel cislismo gioca un ruolo importante il Q-angle, angolo tra la direzione di forza del quadricipite ed il tendine patellare. Nel gesto atletico della pedalata, i muscoli anteriori della coscia usano la patella come una puleggia, questo determina una minore efficienza di spinta sul pedale nelle donne, essendo maggiore l’angolo Q suddetto. È importante sottolineare che l’angolo Q non dipenda dalla massa muscolare e che la sua minore o maggiore ampiezza è secondaria ai livelli di testosterone presenti alla pubertà (Sutherland 2012).

Il Q-angle tra uomo e donna

Dunque, prima ancora di analizzare la questione transgender, nel ciclismo le diverse performance sportive tra atleti e tra i due sessi hanno la loro ragione in differenti capacità di assorbimento di ossigeno, di efficienza muscolare e potenza, ma hanno alla base anche distinti fattori antropometrici e di massa muscolare tra uomini e donne; se mai ve ne fosse bisogno, giustificano l’esistenza di una categoria protetta femminile in tutte le competizioni ciclistiche, sprint ed endurance.

I vantaggi maschili che si perdono con una cura ormonale che inibisce il testosterone (GAHT)

L’ormone maschile per eccellenza, il testosterone, ha molteplici effetti sul fisico di ognuno, è fondamentale nell’incrementare la massa muscolare del corpo, nello stimolare l’eritropoiesi, nell’aumentare l’aggressività e, non ultimo, anche nel determinare un miglior allineamento degli arti inferiori, permettendo una pedalata più efficiente; tutti fattori determinanti una maggiore forza e potenza oltre che una preferibile capacità aerobica, con un conseguente incremento in generale della prestazione atletica in bicicletta. Di fatto alla base dell’esistenza di una categoria protetta per le donne c’è il diverso livello di ormoni androgeni tra i due sessi.

Le cose si complicano quando invece è necessario studiare la differenza tra transwomen (uomini che hanno cambiato genere in donna) e ciswomen (donne biologiche), poiché i dati scientifici a disposizione sono pochi e spesso deboli, inoltre mancano veri e propri studi su atleti transgender.

Nell’analisi dell’eventuale perdita di un vantaggio atletico nei soggetti sottoposti a GAHT (Gender Affirming Hormone Treatments) due questioni sono fondamentali: il timing (quanto tempo occorre affinché avvenga un cambiamento performativo) ed il corretto target del valore di testosterone, sopra il quale non è ancora considerabile avvenuto il cambio di genere.

Come abbiamo già detto, è impossibile dare una risposta scientifica certa, ragione per cui, come misura precauzionale, l’UCI non ha avuto la possibilità di autorizzare i transgender a correre nelle categorie femminili. I pochi studi a disposizione sui GAHT riguardano la massa e forza/potenza muscolare ed alcuni marker dell’endurance come i livelli di emoglobina ed ematocrito.

Massa muscolare

Nel primo anno di cure ormonali per la transizione di genere (GAHT), a base di farmaci inibitori del testosterone, si osserva una riduzione del 3% di massa muscolare, che arriva a -12% a 3 anni e -17% a 8 anni. Lo stesso diametro muscolare tende a ridursi, da un -9.5% nel primo anno a -24% all’ottavo anno. Sono necessarie, però, diverse precisazione nella lettura di questi dati.

La prima cosa da dire è che i soggetti interessati in questi studi non sono atleti, e l’allenamento è un fattore determinante; basti pensare che ai pazienti operati di tumore alla prostata, che necessitano una deprivazione androginica indotta da farmaci, viene consigliata l’attività fisica al fine di contrastare l’effetto collaterale di perdita di massa magra (Overkamp 2023). Quindi è immaginabile che atlete sottoposte a GAHT abbiano una minore riduzione di quantità muscolare. 

Altro punto è che i soggetti transgender si pongono al 90esimo percentile rispetto alle ciswomen, in altre parole solo il 10% delle donne hanno un valore simile a quello delle transwomen. Infine, la densità delle proteine contrattili dei muscoli, pur diminuendo il volume, rimane inalterata nei GAHT, persistendo simile a quella maschile.

Forza muscolare

La forza muscolare è chiaramente maggiore nell’uomo rispetto alla donna, differenza che va oltre il gap tra le diverse masse muscolari. Nei soggetti GAHT si osserva una riduzione di 4.75% della forza, di cui il 66% di questo calo avviene tra il nono ed il dodicesimo mese di cura (Scharff, 2019), rimanendo comunque al 95esimo percentile più alto delle donne ed al 25esimo più basso degli uomini cisgender. La semplice misura di una forza isometrica di flessione ed estensione al ginocchio in transwomen e ciswomen, vede nei primi un vantaggio di circa il 50% (Wiik, 2020), vantaggio che tende a conservarsi nel tempo, 47% a 8 anni (Wong, 2016).

Potenza muscolare

Nel 2020 è stato eseguito da Roberts e i suoi collaboratori un importante studio su 46 transwomen arruolate nelle forze armate aeree americane. Non sono atlete a tutti gli effetti, ma comunque persone in buono stato di forma, con un livello di esercizio fisico in genere oltre la media della popolazione. Lo studio evidenzia che le transwomen performano circa 41-68% in più delle medie delle ciswomen (per quanto il dato non sia statisticamente significativo), in ogni caso si conferma che l’attività fisica tende a ridurre gli effetti negativi della cura ormonale, specie nel tempo.

Ulteriori studi sono necessari per capire il reale effetto dell’allenamento nel modificare le oggettive conseguenze di una GAHT, dimostrando che si potrebbe annullare o rendere poco significativa la differenza rispetto ai non trattati uomini.

Emoglobina ed ematocrito

Bassi valori di emoglobina (Hb) ed ematocrito (HCT) riducono la capacità aerobica nell’atleta. Gli uomini in genere hanno circa un 12% in più di emoglobina rispetto alle donne. Sono solo 9 gli studi in letteratura sui valori sanguigni che interessano il trasporto di ossigeno nei transgender (la maggior parte con anche la prova laboratorista di valori di testosterone inferiori ai 2 nmol/L nel sangue). Questi confermano che la cura ormonale riduce l'Hb, HCT ed il rapporto Hb/HCT già dopo solo 3-4 mesi, con valori allineabili a quelli delle ciswomen, e che dopo 3 anni questi cali rimangono stabili.

Peso e massa grassa

I soggetti (non atleti) sottoposti a GAHT lamentano in genere un incremento del 3-28% del peso corporeo, con un incremento della massa grassa. I dati, però, presentano un’alta variabilità individuale ed è facilmente ipotizzabile che atlete professioniste abbiano un minore o assente aumento ponderale.

VO2max

Dopo 14 anni di GAHT il VO2max dei transgender è superiore a quello della donne cisgender, ma se consideriamo il rapporto VO2max/peso, questo è invece simile, a causa dell’incremento ponderale dovuto alla cura. Ovviamente, è logico ipotizzare che le trans che svolgono un’attività atletica abbiano un minor peso, quindi conservino il vantaggio assoluto nella capacità di assorbire l’ossigeno.

Allineamento arti inferiori (Q-angle)

Come è stato scritto più su, la pedalata dell’uomo è più efficiente per il diverso allineamento del muscolo quadricipite rispetto alla direzione del tendine padellare. Questo vantaggio morfologico è immodificabile dopo la pubertà e dalla GAHT; bonus che nel singolo gesto della pedalata potrebbe essere poco significativo, ma nel movimento ripetuto migliaia di volte come avviene nel ciclismo competitivo, potrebbe risultare determinante.

Cosa dicono dunque tutti questi studi? Pur alla luce dei dati sopra descritti, rimane difficile prevedere “scientificamente” se le cicliste transgender conservino un vantaggio del precedente sviluppo puberale maschile. Non esistono studi specifici con transgender nel ciclismo, l’unico studio sportivo (Harper, 2015) è stato effettuato nella corsa su solo 8 atlete con GAHT. Con un così basso campione è difficile correlare i tempi impiegati nel percorrere 1,5 miglia, ma si è comunque osservato che la riduzione della performance età-correlata è simile a quella dei pari età maschili, pur avendo in media tempi maggiori rispetto ai cisgender uomini.

Anche lo studio sulle 46 transwomen delle forze armate americane (Roberts, 2020) dimostra un incremento dei tempi nelle prove di corsa rispetto a se stessi prima della cura, pur rimanendo migliori rispetto alle colleghe donne cisgender.

In conclusione possiamo affermare che è ipotizzabile una riduzione della performance nei transgender, che permangono comunque superiori a quelle della donne; inoltre certi vantaggi biologici (altezza, architettura pelvica ed allineamento arti inferiori) restano invariati. In aggiunta, non si deve dimenticare che l’allenamento intensivo potrebbe ridurre notevolmente gli effetti negativi della GAHT sulle prestazioni atletiche.

Come ha correttamente concluso nel suo lavoro il professore Xavier Bigard, non è possibile affermare che dopo 2 anni di GAHT, con livelli di testosterone inferiori a 2.5 nmol/L, siano eliminati completamente i vantaggi del sesso maschile biologico, così come  non è dimostrato che questi benefici possano permanere oltre i 2 anni di cura. Nel ciclismo, però, possiamo dedurre che le prestazioni aerobiche nelle atlete transgender diminuiscono già dopo 6-8 mesi, mentre l’effetto sulla riduzione della potenza muscolare tende ad essere evidente dopo 2 anni; quanto alle capacità biomeccaniche, non possono mai essere modificate dalla GAHT.

Alla luce di tutto questo, è corretta la decisione presa dall’UCI: non consentire più a transgender di prendere parte a gare della categorie donne, aprendo comunque a loro la partecipazione ad una nuova classe: la men/open, che sostituisce quella maschile nel eventi UCI.

Una scelta non dettata da un preconcetto ideologico, o peggio da un intento discriminativo, ma da una lettura attenta dei dati scientifici disponibili, che, benché non offrano certezze, danno comunque molti elementi a favore di una permanenza di un vantaggio atletico nei trans, e da un’idea di sport a favore di un’equità di condizioni, al fine di tutelare una gara tra diverse opportunità di successo di doti fisiche allenate, non secondarie a differenze dovute al sesso biologico.

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