Primoz Roglic, una nazionale di un solo uomo all'ultima corsa rosa © Giro d'Italia
Lo Stendino di Gambino

E se il Giro d'Italia lo corressero le nazionali?

Un'antica suggestione che torna nei discorsi degli appassionati, ma che nel ciclismo contemporaneo sarebbe oggettivamente improponibile: serve altro per diminuire il divario tra Giro e Tour

05.07.2023 12:47

Beppe Conti, che di ciclismo ne capisce un po', sostiene che il grande divario esistente oggi fra Tour de France e Giro d’Italia sia figlio della decisione presa dagli organizzatori d'oltralpe nel 1930 di far disputare la Grande Boucle alle squadre nazionali e non più alle formazioni di club. Questo nuovo indirizzo conferì al Tour un tasso d'internazionalità che la corsa rosa fatica ancora oggi a raggiungere al punto che, puntualmente ogni anno, RCS è costretta a inseguire quei due/tre campioni potenzialmente disponibili che garantiscano, con la loro partecipazione, un ampliamento della visibilità mediatica dell'evento. Il Tour per squadre nazionali è proseguito anche dopo la pausa causata dalla Seconda Guerra Mondiale, venendo disputato fino al 1961 e, successivamente per le ultime due volte, nel biennio 1967/'68. A tal riguardo, fu l'occhialuto olandese Jan Janssen l'ultimo vincitore a sovrapporre la maglia gialla a quella della sua rappresentativa nazionale.

Va chiarito subito che le edizioni del Tour corse in passato da rappresentative nazionali sarebbero inaccettabili nel ciclismo odierno in quanto le squadre non erano numericamente omogenee. Le tre nazioni dominanti, Francia, Belgio e Italia, schieravano compagini composte a volte anche da 12 corridori a cui si aggiungevano seconde formazioni, sovente di sei, per le due ospiti illustri mentre i transalpini mettevano in campo selezioni regionali e, in due casi, anche delle colonie nord africane. In buona sostanza, fino a metà degli anni cinquanta, la Francia forniva metà dei corridori con Belgio e Italia che, eccezion fatta per il 1954 quando gli azzurri rimasero a casa, provvedevano a un altro terzo. Il residuo, poco più che simbolico, si divideva tra rappresentative, integrali ma a volte anche miste, tedesche, britanniche, lussemburghesi, svizzere, olandesi e spagnole, con questi ultimi due Paesi in decisa crescita numerica a partire dalla seconda metà degli anni cinquanta.

Il Tour 1968, l'ultimo per squadre nazionali, vedeva ai nastri di partenza compagini di 10 corridori dei seguenti sette paesi: Belgio, Germania, Francia, Italia, Olanda, Regno Unito e Spagna. C'era poi una mista Lussemburgo/Svizzera, una seconda squadra belga e altre due compagini francesi per un totale di 11 formazioni. Fantastichiamo, sulla falsariga di questo modello, proiettandolo, a distanza di mezzo secolo abbondante, sul recentemente concluso Giro d'Italia.

Le nazioni che avrebbero potuto presentarsi a ranghi completi al via da Fossacesia, otto corridori secondo le vigenti disposizioni dell'UCI, sarebbero state, oltre all'Italia forte di 52 partecipanti, la Francia, che con 20 avrebbe potuto anche allestire un team espoirs, Belgio e Germania, comode con 11. Avrebbero raggiunto il quorum anche l'Olanda con 10, il Regno Unito con nove e l'Australia con otto. Aggiungendo João Almeida ai sette spagnoli, si sarebbe potuto comporre un team iberico. Gli USA e la Colombia, cinque e quattro partecipanti rispettivamente, avrebbero avuto bisogno di aggregarsi con altri, se non tra di loro. Stesso discorso sarebbe valso per  scandinavi e baltici, non tralasciando i vari cani sciolti provenienti dall'ex mondo sovietico.

Sulla base di quanto sopra, non sono così sicuro che un ritorno all'antico sarebbe in meglio. La Slovenia al Giro aveva solo un corridore. Sappiamo bene come si è piazzato. La verità è che la formula per nazionali è stata vincente quasi un secolo fa in una fase storica di consolidamento in cui il ciclismo era meno professionistico e, soprattutto, gli interessi economici erano limitati. Il mondo odierno della categoria élite è molto più proiettato verso la Formula 1, seppur con meno capitali. La provenienza geografica di questi fondi interessa poco. Se, quindi, serve qualcosa che ponga argine al crescente divario tra Giro e Tour, questo non  sarà il passaggio della corsa rosa a gara per squadre nazionali. Si faccia avanti chi ha qualche idea innovativa. Il ciclismo italiano ne ha disperatamente bisogno.

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