Jonathan Milan, uno dei nuovi acquisti Lidl-Trek © Lidl-Trek
L'Artiglio di Gaviglio

E anche quest'anno la World Tour italiana… la facciamo il prossimo

Certo, un movimento si rilancia lavorando sui giovani e allargando la base. Ma serve uno sbocco al vertice che eviti di perdere per strada dei potenziali talenti: dove andrebbero oggi il nuovo Bettini o il nuovo Ballan, se anche ci fossero?

25.08.2023 12:47

Ad agosto il ciclomercato entra nel vivo con l'ufficializzazione dei primi colpi per l'anno a venire e, talvolta, anche con qualche trasferimento immediato: su tutti, in questa sessione, ha destato scalpore il passaggio di Arnaud Démare dalla Groupama alla Arkéa. Ma più in generale, tra Tour e Vuelta, iniziano a prendere forma i roster della stagione a venire. E se ci sono nuove squadre in incubazione, questo è il momento in cui di solito vengono allo scoperto con l'annuncio dei primi ingaggi di peso.

Non essendoci niente di nuovo sul fronte occidentale come direbbe Remarque, ma nemmeno - più prosaicamente - un'indiscrezione di Beppe Conti a cui aggrapparci, tocca dunque prendere atto che non se ne farà niente neanche nel 2024, e per almeno un'altra stagione l'Italia non avrà squadre nel World Tour. Perché altrimenti, di questi tempi, qualche cosa dovrebbe già bollire in pentola. E invece:

Davide Cassani ha ormai da tempo gettato la spugna, non avendo trovato risposta da nessuno dei tanti grandi marchi che pure ha in agenda l'ex ct della nazionale. Fernando Alonso, piuttosto che lanciare il suo fantomatico squadrone italo-spagnolo (che una decina di anni fa sembrava dover nascere a momenti, ve lo ricordate?) è tornato a correre in formula uno. Il "principe" dei direttori sportivi, Gianni Savio, lasciato in mutande dalla Drone Hopper con cui si era sbilanciato di voler tentare il grande balzo, è sì rimasto a galla ma come piace a lui, divertendosi con una Continental colombiana.

E perfino il tanto atteso salto di qualità della Eolo - roba che Godot, spostati! - difficilmente si farà nei prossimi dodici mesi, se intanto la squadra di Ivan Basso e Alberto Contador ha iniziato il proprio mercato salutando i suoi due corridori migliori: il piazzatissimo Vincenzo Albanese, pure lui promesso alla Arkéa, e lo scalatore Lorenzo Fortunato, vincitore sullo Zoncolan nel 2021, in procinto di accasarsi alla Astana. Che poi, se andiamo a vedere, è quanto di più italiano sia rimasto nel World Tour, grazie al peso che ancora esercitano Beppe Martinelli e i tanti altri tecnici italiani - Cenghialta, Maini, Zanini su tutti - all'interno del team di Alexandre Vinokourov.

L'altra oasi - o, per meglio dire "riserva", come quelle in cui gli yankees confinarono gli indiani d'America - italiana nella massima seria è quella alla corte di Luca Guercilena, in seno alla Trek. Che tanto per gradire, però, concluso lo scorso Giro ha salutato l'ultimo grande sponsor nostrano, la Segafredo (ci sarebbe anche Sciotti con i suoi brand vitivinicoli sparsi in mezzo gruppo, dalla Israel alla Jayco, ma in nessun caso con un investimento tale da comparire quale name sponsor e, per quello che più ci interessa, da incoraggiare l'acquisto di più di un paio di corridori dello Stivale), sostituendola con la Lidl.

E per carità, la catena tedesca di supermercati ha immesso nuova linfa nel team, tanto da renderlo una delle squadre fin qui più attive sul mercato, anche preservando e anzi rimpinguando la colonia italiana, con Bagioli, Consonni, Felline e soprattutto Jonathan Milan pronti a raggiungere gli abruzzesi Ciccone e Cataldo. Ma l'impressione è che, anche in questo caso, si debba soprattutto ringraziare la corposa rappresentanza italiana all'interno dello staff, senza alcuna garanzia per il futuro.

Perché se all'Astana e alla Trek, ma anche alla Soudal e alla EF, alla Ineos e alla UAE, o ancora alla Jayco, alla Intermarché e praticamente in mezzo gruppo, tra le ammiraglie la presenza di dirigenti italiani è ancora forte, questo non è che l'ultimo retaggio della grandeur che il nostro movimento ha conosciuto fino a una ventina di anni fa: quando più della metà della carovana era costituita da sodalizi del Belpaese, e quando perfino al Tour capitava che il nostro contingente superasse numericamente quello francese.

Altri tempi, irripetibili nel ciclismo globalizzato dei giorni nostri, e che non ha senso rimpiangere, né tantomeno confrontare con un presente in cui - Francia e Belgio a parte - la sopravvivenza di ciascuna nazione nel massimo circuito mondiale è garantita da non più di una o due squadre, magari nate in stretta sinergia con la propria federazione (pensiamo alla britannica Sky oggi INEOS, o all'australiana GreenEdge ora sponsorizzata Jayco) o ultime superstiti di un'altra epoca (dalla Movistar erede della mitica Banesto di Indurain, e prima ancora Reynolds di Delgado, fino alla stessa Jumbo dominatrice delle ultime stagioni, sorta sulle ceneri della Rabobank che fu) ma comunque fondamentali nel dare uno sbocco a tutto ciò che sta sotto.

Cosa che a noi manca come il pane e che, appunto, verrà definitivamente meno quando anche i Martinelli, i Guercilena, i Piva e i Bramati decideranno di fare altro nella vita, e non troveranno altri connazionali pronti a raccoglierne il testimone perché, semplicemente, non essendoci oggi abbastanza corridori italiani in gruppo, in futuro mancheranno anche i tecnici e gli addetti ai lavori, italiani. Chissà, magari anche i procuratori, se ad un certo punto i Carera decideranno di godersi le provvigioni maturate con Pogacar (e tantissimi altri) e Acquadro si sistemerà in qualche buen retiro sudamericano, magari in compagnia dello stesso Savio e di quel che resta di Quintana e di Bernal.

Poi, per carità: un Vincenzo Nibali o un Filippo Ganna troveranno sempre posto in un top team di qualsiasi nazionalità, ma di Nibali e Ganna - se va bene - ne nascono uno ogni dieci anni. E tutti gli altri? Perché si ha un bel dire che non è tanto la squadra World Tour a mancare, quanto il lavoro sui giovani e, più ancora, un'ampia base di praticanti a cui attingere - verissimo! - ma alla fine della fiera anche la World Tour conta, eccome! Perché non tutti i campioni nascono predestinati. Tanti lo diventano, strada facendo, prima di tutto per i propri meriti, ma anche grazie ai capricci della fortuna e alle maggiori o minori occasioni che un aspirante corridore può avere a seconda del contesto in cui si viene a sviluppare la propria carriera.

Senza farla troppo lunga, pensiamo alle traiettorie dei nostri ultimi campioni del mondo, Paolo Bettini e Alessandro Ballan: nei suoi primi anni da pro' il Grillo era il gregario più fidato di Bartoli, e proprio un infortunio di Michele gli spalancò le porte del capitanato alla Mapei, la squadra più forte al mondo, alla Liegi del 2000. Paolo fu bravissimo a sfruttare quella chance vincendo la prima delle sue Doyenne che diede il la ad una sfolgorante collezione di classiche. Ballan, dal canto suo, faticò addirittura a passare professionista, non avendo certo rubato gli occhi da Under 23, ma tra tante squadre italiane, alla fine, una la trovò e a 25 anni, grazie alla Lampre, ebbe finalmente l'occasione di intraprendere un viaggio che l'avrebbe portato a vincere il Fiandre, Amburgo, tappe al Tour e alla Vuelta e, dulcis in fundo, il Mondiale, appunto.

Ma oggi, anche ammesso che tra i tanti giovani italiani si celi il nuovo Bettini, ebbene, quanti altri capitani devono finire ko prima che la squadra belga, olandese, britannica, francese o venusiana in cui corrono scelga di investire proprio loro, e non altri, della responsabilità della corsa? Quanto al nuovo Ballan, se nel 2023 hai 24-25 anni e non sei ancora passato professionista, ma dove vuoi andare, quando alla tua età c'è gente che ha già vinto Tour de France, grandi classiche e mondiali a ripetizione? Tanta lana se ti arriverà, al più, una chiamata dai Reverberi (con tutto il rispetto per chi, comunque, da oltre quarant'anni si sbatte a portare avanti la carretta con budget sempre più risicati) o più probabilmente da una Continental. E figuriamoci se arriverai mai anche soltanto a correrlo, un Fiandre, partendo da una Continental!

Quale sport per le atlete transgender? Il ciclismo risponde così
Un altro orribile lutto: Tijl De Decker è morto oggi a soli 22 anni