
Dall’assegnazione alle polemiche: perché i mondiali su strada si corrono in Ruanda, dall'inizio
Dalla storica assegnazione alle accuse di sportswashing, fino alle difficoltà logistiche e al contesto geopolitico: tutte le tappe di Kigali 2025
Inizieranno domani con le prove a cronometro i Mondiali 2025 di ciclismo su strada che si terranno a Kigali, in Ruanda. È la prima volta nella storia che la rassegna iridata lascia Europa, Americhe, Oceania e Asia per approdare in Africa. L’Unione Ciclistica Internazionale (UCI) ha presentato la scelta come una svolta epocale: portare il grande ciclismo su strada in un continente che da tempo chiede maggiore rappresentanza, dopo decenni di eventi concentrati soprattutto in Europa.
L’assegnazione a Kigali
La candidatura di Kigali è stata ufficializzata nel 2018 e ha battuto altre ipotesi africane grazie a un progetto ambizioso, sostenuto direttamente dal governo ruandese e dal presidente Paul Kagame. La città ha presentato percorsi tecnicamente impegnativi, infrastrutture in crescita e un forte investimento sull’immagine turistica. Nel 2021 l’UCI ha annunciato ufficialmente l’assegnazione: i Mondiali 2025 sarebbero stati in Ruanda, primo paese africano a ospitare l’evento.
Un Mondiale storico per il continente africano
La notizia dell’assegnazione è stata accolta con entusiasmo in Ruanda e in buona parte dell’Africa. Per la Confederazione africana di ciclismo si trattava di un riconoscimento atteso da anni: finalmente il Mondiale approdava su un continente che aveva già espresso talenti di rilievo.
Il nome più noto è quello di Chris Froome, nato in Kenya e cresciuto ciclisticamente in Sudafrica, ma poi naturalizzato britannico, che ha vinto quattro Tour de France con il passaporto inglese. A livello africano “pieno”, invece, i successi sono arrivati soprattutto dal Sudafrica, storicamente più inserito nel circuito internazionale (con corridori come Robert Hunter, Daryl Impey o Ryan Gibbons). Più di recente, atleti provenienti da Paesi dell’Africa subsahariana come l’Eritrea — basti pensare a Daniel Teklehaimanot prima e soprattutto ora Biniam Girmay — si sono dimostrati competitivi nel World Tour.
Kigali 2025 è stato quindi presentato come la consacrazione di un movimento che da tempo cerca visibilità al di là del solo Sudafrica, nel solco del cammino verso un vero radicamento del ciclismo nel continente: nel 2025 oltre 110 ciclisti e cicliste africane sono stati ingaggiati e ingaggiate da squadre WorldTour o ProTeam e Continental.
Come dichiarato dal presidente UCI David Lappartient, l'UCI si è proposta di aumentare il numero delle gare in Africa, per permettere l'ingresso nel ciclismo professionistico di più atleti provenienti dall'Africa: "Dobbiamo solo aiutare gli atleti africani a pedalare di più. Il ciclismo su strada non è qualcosa che si impara dai libri. Certo, se fai la cronometro di 1 km puoi allenarti da solo tutto l'anno e andare ai Campionati del Mondo, ma su strada non sarà mai così. Devi gareggiare, devi sapere come posizionarti nel gruppo con il vento, devi sapere come sentire lo sprint. Oggi, se vogliamo che gli atleti africani raggiungano il livello successivo, devono andare in Europa, perché le gare più importanti si svolgono in Europa. Vogliamo almeno avere più gare in Africa per aiutare questi atleti ad aumentare le loro capacità, altrimenti dovranno sempre andare in Europa. In questo caso, il numero sarà sempre limitato, quindi se avremo più gare, avremo più atleti, quindi la crescita in Africa continuerà. Vedo davvero un futuro luminoso per l'Africa."
Le polemiche sullo sportswashing
Fin da subito, però, sono sorte diverse perplessità. Diverse ONG e osservatori internazionali hanno accusato l’UCI di cedere allo sportswashing: l’uso dello sport per migliorare l’immagine di un governo contestato sul piano dei diritti umani e della politica estera.
Il Ruanda di Kagame è infatti spesso al centro di denunce per limitazioni alle libertà politiche interne e, soprattutto, per il ruolo nelle tensioni con la Repubblica Democratica del Congo. Portare il più grande evento ciclistico dell’anno a Kigali, secondo i critici, rischia di oscurare questi problemi dietro alla vetrina sportiva.
La decisione di assegnare i Mondiali di ciclismo su strada 2025 al Ruanda è stata oggetto di discussione anche a livello politico internazionale. In particolare, il Parlamento Europeo ha espresso preoccupazioni riguardo al coinvolgimento del Ruanda nel conflitto nella Repubblica Democratica del Congo, sostenendo il gruppo ribelle M23, benché il governo ruandese neghi formalmente di sostenere il M23 in modo diretto, o di avere truppe sul suolo congolese. È difficile stimare quante vittime abbia causato il conflitto, ma siamo probabilmente nell'ordine delle decine di migliaia dal 2022. Kigali afferma che il Ruanda agisce per proteggere la propria sicurezza nazionale, in particolare rispetto al gruppo FDLR (Democratic Forces for the Liberation of Rwanda), che è composto da membri colpevoli del genocidio del 1994 e che risiedono in RDC. 
Con una risoluzione adottata con 443 voti favorevoli e solo 4 contrari, l'Europarlamento a febbraio di quest'anno ha chiesto all'Unione Europea di sospendere il partenariato con il Ruanda per le materie prime e di annullare i Mondiali di ciclismo previsti a Kigali nel settembre 2025 .
Nonostante queste sollecitazioni, l'Unione Ciclistica Internazionale ha confermato che l'evento si sarebbe tenuto come previsto, sottolineando che il conflitto è confinato alla Repubblica Democratica del Congo e che il Ruanda rimane sicuro per il turismo e gli affari. David Lappartient ha dichiarato in un'intervista: “I Campionati del Mondo UCI di quest'anno a Kigali sono incredibilmente speciali per noi perché saranno un momento unico, in quanto l'UCI celebra il suo 125° anniversario, quindi abbiamo deciso di andare in Africa. Questo era il mio sogno, il mio obiettivo, quando sono stato eletto Presidente dell'UCI e sono orgoglioso di dire: eccoci qui"”
Le defezioni
Con l’avvicinarsi dei Mondiali di ciclismo su strada 2025 a Kigali, alcune squadre e corridori hanno scelto di non partecipare o di limitare la loro presenza. Le ragioni principali non riguardano motivi etici legati ai diritti umani, ma sfide pratiche e logistiche, oltre a considerazioni sulla sicurezza e sull’incolumità degli atleti.
Per esempio, la Danimarca ha deciso di non inviare le squadre junior e under-23, citando i costi elevati dei viaggi e la complessità dell’adattamento all’altitudine di Kigali come motivi principali. Anche Jonas Vingegaard, fresco vincitore della Vuelta a España e secondo al Tour de France, ha scelto di non partecipare dopo aver messo in un primo momento in programma la sua partecipazione, motivando la decisione con la necessità di recuperare dopo un’intensa stagione e concentrarsi su altri obiettivi.
Altre squadre, come quella belga, hanno adottato misure precauzionali sanitarie molto rigorose: vaccinazioni contro epatite, tetano, difterite e febbre tifoide, profilassi antimalarica, e indicazioni precise sull’acqua e sull’alimentazione durante il soggiorno: per gli atleti significa prendere costantemente farmaci per scongiurare infezioni.

Le difficoltà logistiche
Oltre alla politica, ci sono i problemi pratici. Portare squadre, biciclette, ricambi e mezzi di supporto a Kigali è un’operazione molto più complessa e costosa che spostarsi in Europa. Gli organizzatori hanno predisposto facilitazioni e corridoi dedicati per gli ingressi, ma per molte federazioni resta una sfida senza precedenti. Le federazioni hanno dovuto fare i conti con costi di trasporto elevati, sia aereo che terrestre, procedure doganali per l’importazione temporanea delle attrezzature, condizioni climatiche e altitudine, che richiedono preparazioni specifiche: Kigali, situata a 1.850 metri di altitudine, e la prova in linea maschile élite presenta un percorso estremamente impegnativo, con un dislivello totale di 5.475 metri nella gara maschile élite, rendendo questo evento uno dei più difficili nella storia dei Mondiali.
Lo stesso contingente italiano doveva essere inizialmente ridotto, ma la federazione è poi tornata sui suoi passi a fine agosto, optando per sfruttare tutti i posti disponibili.
Oltretutto, le federazioni europee hanno fatto notare l'inopportuna collocazione dei campionati continentali europei dopo una sola settimana dai Mondiali (oltretutto, anche l'europeo avrà un percorso adatto a corridori simili), cosa che ha portato diverse federazioni a preparare due selezioni diverse per le due prove.
La prova del percorso al Tour du Ruanda andò male
L’ultima tappa del Tour du Rwanda 2025, prevista per il 2 marzo e disegnata sul circuito di Kigali che ospiterà i Mondiali di ciclismo su strada 2025, venne stata annullata a pochi chilometri dall’arrivo (circa 13 km rimasti) a causa delle condizioni meteo avverse: intensa pioggia, vento forte, e soprattutto tratti di percorso resi pericolosamente scivolosi dal fango e dal pavé bagnato.
La giornata era iniziata con una caduta di massa durante il tratto di trasferimento, quando molti corridori scivolarono su superfici viscidissime a causa del fango. Questo spinse gli organizzatori a neutralizzare temporaneamente la gara e a rimuovere alcune parti del tracciato, fra cui le salite del Mount Kigali e il Mur de Kigali (anch’essi inclusi nel percorso previsto per i Mondiali).
Nonostante queste modifiche, le condizioni peggiorarono ulteriormente: pioggia torrenziale, vento, via via più rischi di scivolamento anche nei circuiti rimanenti.
Fabien Doubey (in forze al team TotalEnergies), che era in maglia gialla di leader della classifica generale, protestò con gli organizzatori: avrebbe fatto da «portavoce» del gruppo, sostenendo che la gara non potesse continuare senza mettere a rischio i corridori.
Dopo circa 20 km dalla ripartenza (dopo la neutralizzazione iniziale), con condizioni sempre più difficili, Doubey prese la testa del gruppo e fece fermare il plotone, ponendo gli organizzatori davanti al fatto compiuto. Gli organizzatori non ebbero alternativa che annullare la tappa.
Fabien Doubey venne poi multato di 200 franchi svizzeri per “comportamento inappropriato che danneggia l’immagine del ciclismo”.
Alcuni corridori, tra cui Henok Mulubrhan, che correva per la nazionale Eritrea ed era secondo in classifica a 6 secondi da Doubey, furono contrariati dal suo comportamento, sostenendo che una gara con condizioni di pioggia e pavé bagnato non verrebbe mai annullata in Europa.

Gli organizzatori difesero la decisione con argomenti di sicurezza, affermando che non si sarebbe permesso ai corridori di correre il minimo rischio. Tuttavia, la vicenda sollevò dubbi sull’uniformità degli standard di sicurezza, sull’impatto di tali decisioni nei paesi extra-europei, e sulle implicazioni per il test tecnico e logisitico che rappresentava quella tappa.
L'evoluzione recente del conflitto in Congo
Allo stato attuale delle cose, possiamo affermare che rispetto alla fase più cruda del conflitto, all'inizio dell'anno, ci siano stati tentativi, incluso un “declaration of principles” firmato a Doha, per negoziare un cessate il fuoco tra RDC, M23 e altri attori, con il supporto di mediatori internazionali (Qatar e paesi africani). Questi accordi includono impegni per rispettare l’integrità territoriale, per cessare le ostilità, ma la loro applicazione è problematica. A oggi il Ruanda è sotto crescente pressione diplomatica: il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’Unione Africana, vari stati occidentali chiedono trasparenza, ritiro delle truppe, cessazione del supporto al M23. Nonostante queste pressioni e accordi, i rapporti ONU più recenti continuano a confermare che il Ruanda fornisce supporto abbastanza concreto a M23 — in termini militari, logistici, comando, e altri aiuti. 
La scelta di accettare che il Ruanda faccia vetrina di sé attraverso i Mondiali su strada lascia dunque non poche problematiche dal punto di vista etico.

