
L'anno che verrà a quadrettini - Pensieri in libertà vigilata
Ayuso, Pogacar, Evenepoel e alcuni degli scenari più affascinanti del ciclismo che ci attende nel 2026
Può un solista integrarsi in un’orchestra quasi perfetta? È il tipo di domanda che frulla nella testa pensando alla prossima stagione in cui Juan Ayuso correrà per la Lidl-Trek. Quest’anno, a prescindere dal quantitativo straordinario delle vittorie della UAE, la compagine tedesca è quella che è sembrata essere la più squadra fra le squadre a vederla da fuori. A cominciare da una distribuzione di forze ponderata, ordinata e condivisa dai corridori ai nastri di partenza delle varie gare. Pedersen al Giro, Milan al Tour, nessun conflitto. Un’armonia che traspare e si concretizza quando il momento si fa propizio. Come appunto durante la Corsa Rosa. Pedersen che si sbatte per Ciccone, Ciccone che fatica per Pedersen, Vacek che lavora per tutti ma che ha l’occasione di ritagliarsi la sua opportunità, salvo poi non sfruttarla, ma questa è un’altra storia.
One Man Band

In questo paesaggio bucolico in cui tutti si vogliono bene, ridono e scherzano, arriverà “l’uomo non squadra”, a detta di qualcuno, Juan Ayuso. Se al Tour 2024 non lavorò per Pogacar sul Galibier, nel 2025 si è visto prima scippato – anche per sfortuna, intendiamoci – delle insegne di leader al Giro da un ragazzotto messicano, Isaac Del Toro, che Tadej, sembra aver collocato sotto la sua ala, almeno fino a che, se mai lo sarà, non diventerà un problema. E alla Vuelta? Anche lì i titoli di capitano erano in condominio, questa volta con Joao Almeida, che sempre del suo passo regolare quasi mette a repentaglio la roja scontata di Jonas Vingegaard. Mentre qualcosa dietro le quinte si muoveva al fine di risolvere anticipatamente il contratto che lo legava all’UAE, Ayuso, come un prestigiatore, si divertiva a far comparire la sua debordante condizione fisica quando la vittoria di tappa era nelle sue corde, per poi farla svanire come una carta nel mazzo, quando bisognava lavorare per il compagno portoghese. L’annuncio, la risposta e la storia che tutti sappiamo. Un divorzio a cui mancava solo la firma in calce, un matrimonio mai veramente consumato. Tanti saluti e a mai più.
A farlo sentire subito a casa nella nuova squadra, ci ha pensato Mattias Skjelmose, che le sue ambizioni da uomo da grandi giri non le ha ancora accantonate, a differenza di Giulio Ciccone che forse le ha definitivamente stipate in cantina. Il caso, tra un miliardo di virgolette, sembra essere già rientrato come dichiarato dai dirigenti della Lidl-Trek. E allora torniamo alla domanda iniziale: può un solista intonarsi alla melodia di un’orchestra? Difficile rispondere. Renderebbe le cose molto più semplici se Ayuso dimostrasse già quest’anno, per la prima volta, di essere un primo violino non solo sulla carta. Dello spartito, ovviamente.
Oscure premonizioni
Fra 5, 10, 15 anni, quando Tadej Pogacar deciderà che il suo tempo nel ciclismo professionistico si è concluso, apparirà da qualche parte un titolo, un post sui social, una scritta su un muro, un anatema, una premonizione: “Mi rimpiangerete”. Il ragazzo di Komenda ha sbaragliato, come nel 2024, anche nel 2025 la concorrenza degli altri, che quasi la danno su: non scattano, non attaccano, non ci provano per manifesta inferiorità. Per qualcuno quest’epoca ciclistica ha le sembianze di un pugile alle corde che perisce dinanzi ai colpi ben assestati da un ventisettenne che ha questo sport fra le mani e quasi ci gioca, ci scherza. Il canovaccio tattico è più o meno sempre lo stesso: attacco da lontanissimo in modo da evitare problemi nel finale, chi prova a stargli dietro esplode, chi cerca di recuperarlo sul lungo arriva secondo. In una parola imbattibile.
La distanza che c’è fra lui e gli altri è siderale. A parte per uno, che al suo livello almeno in tre, quattro corse l’anno ci sta. Mathieu Van der Poel, l’ultimo ostacolo rimasto sul cammino di “Tadej Il Conquistatore”, a cui – Vuelta a parte – mancano solo due mostrine da appendere alla sua divisa da generale. La Sanremo e la Roubaix delle quali il figlio di Adrie conosce e padroneggia le strade, che diventano sotto le sue ruote un tappeto volante cui a volte neanche Pogacar sembra resistere. La missione del prossimo anno è chiara: conquistare le ultime due monumento rimaste. Se ci riuscirà anche questa volta, appesantirà ancor di più il peso sullo stomaco di coloro che non vedono l’ora finisca questa ricreazione e che si ritorni il prima possibile seduti tra i banchi a studiare le materie di una volta: eziologia del trenino Sky, antologia degli scattini di Roglic e geometria degli allunghi naïf di Quintana.
Il Verstappen del ciclismo ma più simile a Norris
Un personaggio come Remco Evenepoel non lo trovi facilmente. Talento fuori media, naturalmente dotato per lo sport; vedasi la sua carriera da calciatore trascorsa fra le selezioni giovanili della Nazionale Belga, del PSV Eindhoven e dell'Anderlecht in compagnia di un certo Alexis Saelemaekers, attuale uomo chiave del Milan di Allegri. Da quando ha abbandonato il pallone per salire su una bici, la pressione si è innalzata di pari passo con i suoi risultati. “The Next Big Thing” del ciclismo fiammingo, “il Merckx del terzo millennio”, il nuovo che avanza pronto a ridare lustro alla terra delle due ruote su ogni percorso, orfana di quella leggenda rimasta senza erede - fino alla venuta di Tadej - osannata come una divinità. In realtà - e per fortuna - Remco non ha nulla di una divinità.
Sbraita, frigna, s'incazza, polemizza. Una serie di pensieri, parole, opere e omissioni che lo rendono umano, più vicino ad ognuno di noi. Non ha paura di disvelare le proprie vulnerabilità, un po' come il neocampione del mondo di F1 Lando Norris. Di rendere pubblica la sua conversione religiosa o di commettere atti rivoluzionari per il tempo che viviamo (il suo nome completo all'anagrafe è Remco Evenepoel Rayane, dopo aver acquisito il cognome dalla moglie). Uno così non lo trovi facilmente. E adesso, nel 2026 si è deciso ad assaporare un calice di taurina, continuando ad essere protagonista a modo suo. Sì, forse avrebbe dovuto inserire nel suo programma il Giro d'Italia, maledetto fino ad oggi per lui e che quest'anno gli strizzava compulsivamente l'occhio, dato il percorso recentemente annunciato. Sì, vederlo al Fiandre avrebbe soddisfatto la curiosità di chissà quanti appassionati ma il tempo per ammirarlo sui muri ce n'è: la carta d'identità dice 25, anni compiuti. Ma spesso la formazione dei programmi delle squadre si basa su un coacervo di logiche che rimangono, giustamente, a noi oscure. Dal canto suo, la Red Bull non avrebbe mai potuto rinunciare al suo Max Verstappen del ciclismo alla partenza del Tour de France. Una Grande Boucle che, probabilmente, non vincerà. Echissenefrega.
