
Siamo nel 2025: le tappe di pianura andrebbero sempre neutralizzate
Non ai -60 come accaduto in via eccezionale a Napoli, ma quantomeno ai 10 km: perché le strade cittadine sono sempre più pericolose per le biciclette, e perché certe carneficine nei finali non aggiungono niente allo spettacolo
La decisione presa dalla direzione corsa del Giro d’Italia nella tappa di Napoli – quella, cioè, di neutralizzare i distacchi per la classifica generale ad una sessantina di chilometri dal traguardo, in considerazione della maxi caduta occorsa in precedenza e della pericolosità della strada ancora viscida, lasciando però libertà, a chi volesse, di battagliare per la vittoria di giornata – potrebbe fare scuola e portare ad una riforma sistematica nella gestione delle frazioni pianeggianti delle grandi (e piccole) gare a tappe. Quante volte, infatti, abbiamo assistito a finali pericolosissimi, e a conseguenti cadute con danni anche gravi per i diretti interessati, che si sarebbero potute serenamente evitare?
“Sopravvivere” su strade pensate per le automobili
D’altra parte cosa aggiunge, al valore tecnico di un Giro d’Italia o di un Tour de France – ma anche, naturalmente, di un’Ètoile de Bessèges o di una qualsiasi altra gara a tappe –, contare ad ogni edizione decine e decine di ritirati per incidente, uomini di classifica compresi? C’è davvero bisogno – all’insegna del «si è sempre fatto così» e della considerazione che «le cadute fanno parte del gioco» – di costringere anche chi non è interessato al traguardo di giornata a gettarsi nei sempre più intricati toboga a cui il gruppo è costretto per arrivare nei centri cittadini infestati di rotonde, semafori, cartelli, aiuole e spartitraffico pensati per la sicurezza degli automobilisti, certo, ma potenzialmente letali per chi invece inforca una bicicletta?

Siamo tutti d’accordo che i grandi giri devono esaltare la costanza di rendimento del corridore, la sua capacità a destreggiarsi su ogni tipo di terreno e a recuperare dalle fatiche di ogni singola tappa, ma cosa aggiungono, al valore tecnico di un grand tour, i carnai a cui assistiamo con sistematicità in frazioni che, sulla carta, dovrebbero invece essere ininfluenti? Perché un conto è farsi trovare pronti, anche su percorsi totalmente pianeggianti, in caso di ventagli o altre situazioni impreviste che possano venirsi a delineare in un qualsiasi punto del percorso; ma altra cosa è sopravvivere a certe roulette russe degli ultimissimi chilometri, nelle quali anche l’abilità a guidare la bicicletta conta fino a un certo punto se a cadere, e tirarti giù, è il corridore che ti sta davanti o, magari, quello che ti sta accanto.
A strade sempre più pensate per la sicurezza del traffico a quattro ruote, ma proprio per questo sempre più pericolose per chi, invece, si sposta su due, aggiungiamoci pure biciclette sempre più performanti, ed un ciclismo nel quale la ricerca del risultato ad ogni costo, fosse anche un semplice piazzamento ai fini del ranking UCI, è sempre più esasperata: tutti questi ingredienti rendono anacronistici i confronti coi bei tempi andati tanto cari alle vecchie glorie, e impongono ad una presa di coscienza che vada nella direzione di scongiurare il più possibile le situazioni di pericolosità per i corridori, fermo restano che non si potrà mai arrivare al rischio zero, e che la priorità da perseguire restano le protezioni da mettere direttamente addosso al corpo dell’atleta.
Neutralizzare le tappe ai -10km: una proposta
Visto e considerato tutto questo, però, che male ci sarebbe a rendere sistematica la neutralizzazione ai -10 km in tutte le tappe palesemente di pianura? E una neutralizzazione, si badi bene, che intervenga non solo in caso di caduta o di problema meccanico, ma che tenga conto anche dei buchi e prescinda dalle condizioni meteorologiche, perché altrimenti gli uomini di classifica saranno comunque costretti a limare fin sulla linea d’arrivo per non rischiare di perdere qualche secondo di troppo. Una neutralizzazione tout court, dunque, decisa a monte e utile a minimizzare i rischi per tutti coloro che non abbiano interesse a partecipare allo sprint, senza nulla togliere allo spettacolo né al valore intrinseco della frazione, né a quello dell’intera gara a tappe. A vantaggio anche degli stessi velocisti, a quel punto liberi di battagliare fino al colpo di reni senza il rischio di trovarsi tra i piedi limatori improvvisati o comunque impreparati alle alte velocità.
È una valutazione che va fatta, in primis, per tutelare la salute dei corridori, e comunque anche i legittimi interessi delle squadre (e degli sponsor) che pagano loro lo stipendio, nonché degli organizzatori, che certo non sono felici di perdere per strada, ogni volta, pezzi importanti della startlist, e naturalmente del pubblico.